Piccola morale/Parte quarta/III. Giovani e vecchi in proposito delle sventure
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III.
GIOVANI E VECCHI IN PROPOSITO DELLE SVENTURE.
Le sventure fanno impressione più profonda sull’anima dei giovani o dei vecchi? Ecco una questione la quale Dante (Inf. XXVI, 12) mostrò di aver definita.
Stimò egli pertanto che nell’andare degli anni, anziché ritemprarsi il petto dell’uomo per meglio resistere ai colpi della sventura, la tempera primitiva di quello si venga a mano a mano logorando e rendendo men salda. La pensano però tutti gli uomini alla maniera dell’esule rentino? O non vi hanno piuttosto taluni, e forse non pochi dei miei lettori, ai quali sembra che si debba modificare siffatta sentenza, almeno almeno rispetto al suo essere generale?
Chi crede che la vecchiaia più ancora che la giovinezza atta sia a rimanere commossa e aggravata dalle sventure fonda senza dubbio la sua opinione sul vincolo strettissimo che hanno fra loro il fisico e il morale dell’uomo. Certo che in membra affralite dagli anni i consigli dell’animo non sogliono venire tanto forti e vivaci come in giovani membra; ma un tale scapito, che non può essere ragionevolmente negato, non si contrappesa dall’altro vantaggio notabilissimo che viene dall’esperienza? Le sensazioni, siano piacevoli, siano disgustose, hanno alcuni punti comuni che concorrono ad accrescere e sminuire l’intensità loro. Piacere e dolore tanto sono più efficaci, quanto più nuovi ed inaspettati, e ciò mi porta a conchiudere ch’ivi sia più squisito il sentimento del dolore ov’esso giugne più insolito e sconosciuto. Vi hanno forse eccezioni, ma sono pur poche di uomini ai quali i primi stadii della vita si aprono dinanzi sgombri affatto d’impedimenti e di spine; ma siccome la sentenza fulminata sul primo padre, di dover rompere una terra restía, e nutrirsi di un pane grondante sudore, comincia ad avere adempimento molto per tempo, così la vecchiaia non saprebbe coglierci inesperti di guai che assai raramente. Oltre a ciò, anche rispetto al fisico, se da un lato cogli anni vien meno la forza che può tornare, necessaria a resistere agli aspetti delle sciagure, non è con gli anni che si viene in noi logorando il sentimento così per le cose prospere, come per le contrarie?
Non si creda che io abbia voluto con ciò contraddire alla opinione Dantesca, cui, come ho detto a principio, non ho altro inteso fuorchè di restringere quanto alla generalità. Perché, a vero dire, in opposizione alle cose finora dette a vantaggio della vecchiaia, molte altre possono allegarsi a pro della giovinezza. Quella esperienza stessa, a modo d’esempio, che rende meno nuovi all’arrivo de’ mali, non rende anche meno creduli ai rimedii onde possano rimanere sanati? Qual è per verità quel disastro, cui, dopo il primo sbalordimento, la giovanile confidenza non si creda abile a superare? Certo che al primo sopravvenire della sventura l’età in cui tutto è sentito più vivamente può gettarsi a qualche di sperata deliberazione da cui la vecchiaia saprebbe guardarsi; ma quando quel primo scontro sia vinto, e possa la mente affacciarsi alla vasta scena del mondo, brillante tuttavia di grate illusioni e di allettanti fantasmi, quanto non è facile il riprender lena, il rimettersi in cammino! Si crede il cattivo presente non altro che necessario tragitto a un felice avvenire. La vecchiaia all’incontro guardando innanzi a se vede una luce morente non più che di tramonto; e le lusinghiere apparenze che vorrebbero tutta volta allettarla sa ben ella non essere altrimenti formate che dagli uliginosi vapori da cui è preceduta la notte. Ciò che alla giovinezza è stimolo a passar oltre, alla vecchiaia è sopraccarico per abbatterla lungo la strada.
Che se ne può dunque conchiudere, considerata la cosa da ambidue i lati? Il meglio, a parer mio, è di conchiudere che vi hanno varii generi di sventure, atte ad essere più profondamente sentite quali in una età quali in un’altra. L’avvicendarsi degli anni trae con sè una inavvertita tendenza ad una specie di egoismo, perdonabile anche, se si vuole, perchè originato dalla coscienza della propria debolezza. In fatti tornando i vecchi, per necessario ricorso del tempo, alla condizione dei fanciulli, sentono al pari di essi di preferenza i proprii bisogni. Tutto ciò che li viene a ferire in questa parte fa piaga assai malagevole ad essere medicata. Il giovane all’incontro, a cui sovrabbondano le forze, sente di potersi adoperare per gli altri, non che provvedere alle necessità proprie, e quindi è più abile dei vecchi a tener saldo contro a ciò che lo tocca nella sua persona, ma meno di loro in ciò che tende a recidere alcuno di que’ cari fili pei quali l’individuo è annodato alla comunità della specie. Chi può descrivere lo spasimo di chi per la prima volta si accorge di essere stato tradito in amore? Parliamo sempre d’animi delicati; chè certo questo discorso non reggerebbe per quelli, uomini o donne che sieno, da’ quali si ode fare talvolta questo lamento: che ne sarà dopo il rompersi di questa relazione, in una età in cui altre non possono rannodarsene! Affezioni alle quali può tornare a conforto il venire surrogate da altre dovrebbero essere anomalie: se ciò stesse nelle regole generali ne avrei vergogna per la specie umana. La perdita delle sostanze all’incontro si fa sentire più intensa nell’età inoltrata, in quanto che ad essere apprezzate non abbisognano di un cuore molto sensitivo o di una fantasia molto viva, e per altra parte contentano bisogni molto continui e molto uniformi. Il giovane non le considera che come mezzo ad uno di que’ tanti fini che il volubile desiderio gli mette davanti, e perdute non dura fatica a credere di poterle ricuperare. Il vecchio all’incontro non ha troppo arbitrio nel prefiggersi una meta, il mezzo ed il fine si confondono assai facilmente nella sua estimativa; quando gli manca la canna sulla quale reggevasi, si sente mancare il piede.
Oltre queste differenze riferibili ad ogni genere di persone, altre ve ne sono le quali mirano ad alcune persone in particolare. E qui bisogna confessare ch’egli è dove ogni uomo può e deve farsi ragione da se solo. In questo intendimento è dettata la sentenza Dantesca; intendendo quel divino ingegno parlare di sè meglio che d’altri, e riducendo perciò la sua frase nei termini del singolare. Le speranze della sua anima miravano ad un fine che non segue la vicenda de’ tempi, e però tanto gli era invecchiare quanto veder torsi l’attitudine all’operare, mentre la passione e la volontà rimanevano sempre le stesse.