Piccoli eroi/Visita allo stabilimento Guerini

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Visita allo stabilimento Guerini

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Carmela La macchina fotografica
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VISITA ALLO STABILIMENTO GUERINI.

Nel punto dove la valle si allarga e il torrente scendendo dalle montagne rumoreggia fra i sassi, si vede biancheggiare un vasto fabbricato quadrato, con grandi cortili e degli altissimi fumaiuoli che sembrano toccare il cielo.

I ragazzi Morandi erano passati tante volte davanti a quel fabbricato, s’erano fermati a sentire il rumore delle macchine e il canto degli operai, ma non avevano osato entrare, trattenuti da un cartello sul quale era scritto: Non entrano che le persone addette ai lavori; perciò quel giorno, tutti contenti, uscirono di casa prima dell’ora stabilita, impazienti di ritrovarsi coi loro amici.

Maria avea pregato il professore Damiati di accompagnarli. Egli così istruito, che sapeva parlare di tutto con chiarezza, avrebbe potuto [p. 209 modifica] dare ai ragazzi delle spiegazioni sulle macchine, e la visita allo stabilimento sarebbe stata più utile con una guida come lui.

Vittorio poi, che aveva la passione delle macchine, e diceva che avrebbe voluto fare l’ingegnere meccanico, era lietissimo di quella passeggiata e la considerava come una vera festa.

Passando da villa Guerini chiamarono i loro amici, e trovarono che il signor Guerini in persona voleva accompagnarli e far loro gli onori del suo stabilimento. Egli, strada facendo, incominciò a raccontare la storia della sua azienda.

Narrò che suo padre gli aveva lasciato un filatoio, ancora incompiuto, posto nell’ala più vecchia del fabbricato, ed egli a poco a poco s’era innamorato di quel genere di lavoro, era andato in Inghilterra a studiare i nuovi sistemi di filatura, avea ampliato la sua fabbrica, vi avea aggiunto una tintoria, e finalmente la tessitura delle stoffe, che ora occupava la parte principale del fabbricato; egli parlava con amore del suo stabilimento, che avea veduto nascere e crescere sotto ai suoi occhi, ma diceva di essere stanco, e impaziente che suo figlio potesse supplirlo per riposarsi.

Così discorrendo erano giunti davanti al cancello, ed entrarono tutti nel primo cortile passando per la camera del custode; un ampio [p. 210 modifica] stanzone dove il signor Guerini, mostrò intorno al muro, attaccate ad una tabella, delle medaglie con un numero progressivo; ogni operaio ne avea una che dovea consegnare al custode quando entrava e farsela restituire all’uscita per verificare l’ora d’entrata e le ore del lavoro.

Nel primo cortile c’erano mucchi di lana e di cotone in bioccoli, che gli operai caricavano sopra carri a mano e trasportavano sotto ad una tettoia per la pulitura. Là sotto videro alcuni grandissimi recipienti d’acqua bollente, più in là, dei forni per asciugare, poi più giù delle macchine per scardare il cotone e la lana ripulita, e dappertutto una quantità di uomini, donne e ragazzi occupati a trasportare, a ripulire, separare la merce buona dalla cattiva.

Non fecero che traversare quella tettoia, fermandosi poco, perchè il signor Guerini diceva che quelle operazioni non erano molto importanti; ma fecero una sosta più lunga nella tintoria, dove dentro a grandi caldaie, bollivano materie d’ogni colore e dove degli operai sudanti per il caldo eccessivo, prodotto da quei liquidi in ebollizione, gettavano nelle caldaie matasse di filo greggio che si tingevano nei più vivi colori, poi le mettevano ad asciugare, ma spesso dovevano passare per un’altra tinta, e forse per altre ancora. [p. 211 modifica]

— Andiamo avanti, che qui c’è troppo sudiciume, — diceva Elvira, ma i ragazzi si divertivano nel vedere tutto quelle pozzanghere rosse, verdi, violette, quelle acque di tutti i colori che correvano in appositi canaletti e poi andavano a finire in un fosso, che le conduceva nel torrente.

— Ora capisco, — disse Carlo, — perchè qualche volta si vede l’acqua tinta di vari colori.

— Badate di non sciupare i vestiti, — disse il signor Guerini.

Uscirono all’aperto e s’avvicinarono a un luogo donde si sentiva il rumore delle macchine, che pareva un mare in burrasca.

— Oh bello! — esclamarono in coro quei ragazzi, quando entrarono in un bel stanzone spazioso, ben illuminato, dove c’era una quantità di macchine in moto e si vedeva un bel numero d’operai attenti al lavoro; un vortice di ruote, di pulegge, di cilindri, un luccichio di metalli, tanto che per il primo momento non poterono raccapezzarsi in quella confusione, con quel rumore assordante.

— Questi sono i filatoi, — disse il signor Guerini; — sono quasi tutti uguali l’uno all’altro, e per non far confusione, fermiamoci ad osservarne uno.

Si fermarono davanti ad una bellissima macchina, grande, rotonda, dove dal centro usciva [p. 212 modifica] il cotone e la lana a falde, e a mano a mano che passava da alcuni forellini messi in moto da ruote dentate, s’andava assottigliando, in modo che si avvolgeva in fili sottilissimi intorno alle centinaia di rocchetti, che giravano continuamente, come in una danza vertiginosa.

Il signor Guerini fece fermare la macchina, perchè vedessero bene, e allora il professor Damiati spiegò, come quegli arnesi dove il cotone era disposto a falde quasi in natura, facessero l’ufficio della conocchia che adoperavano le donne antiche per filare, e mostrò quale progresso si era fatto da quel tempo, in cui s’impiegavano parecchie giornate per filare un solo gomitolo di cotone, ed ora se ne filano centinaia in un’ora.

— Pare una magia, — dicevano quei ragazzi tutti attenti a vedere come in quel continuo ballare di rocchetti e di fili, le cose procedessero con tanta prestezza e precisione, ed espressero il desiderio che si rimettesse in moto la macchina; poi stettero ad osservare meravigliati, estatici, ammirando la velocità con cui andava, e la prontezza colla quale gli operai riappiccavano il filo che qualche volta si spezzava durante il lavoro, cambiavano i rocchetti e fermavano la macchina quando accadeva qualche incaglio. [p. 213 modifica]

— Pare una gran ragnatela, — disse Mario, che stava ad ammirare a bocca aperta quello spettacolo nuovo per lui.

— Mi pare che ce ne sieno tante di ragnatele! — soggiunse Angiolina, — e dire che non ho mai pensato, che per una gugliata di cotone ci volesse tanto lavoro!

— Ma credi che con quel cotone si possa lavorare? — chiese Alberto Guerini. — Senti, — e le diede un filo, che appena teso, si spezzò.

— Vedete, — disse, mostrando di essere istruito nella materia, — ora venite con me e vi farò vedere.

E li condusse vicino ad un’altra macchina, la quale serviva di torcitoio, cioè torceva i fili di due o tre rocchetti avvoltolandoli intorno ad uno solo; e qui Alberto tutto contento di poter far sfoggio della sua scienza, soggiunse:

— In questo modo si fa il cotone più o meno grosso, secondo che si torcono insieme due, tre o quattro fili; e così il cotone che serve per cucire, si può far forte quanto si vuole.

Tutti i ragazzi stavano a bocca aperta, davanti a quelle macchine in moto, a quegli operai attenti al lavoro, che parevano anch’essi far corpo colle loro macchine, ma furono ancora più maravigliati quando andarono nello stanzone della tessitura. [p. 214 modifica]

— Oh bello! — disse Giannina fermandosi davanti ad un grande telaio, dove erano tesi in bell’ordine dei lunghissimi fili, e una spola correva avanti e indietro con grande rapidità, formando, dove passava, una tela fitta e compatta.

— Pare un topolino! — esclamò Mario.

— Ecco, vedete, questo è l’ordito, — disse il professore Damiati, — e il filo che lo attraversa guidato dalla spola è la tessitura; badate come quando la spola è passata, con un macchinismo quasi automatico, una metà dei fili s’abbassa e l’altra metà si alza perchè i fili che devono essere intrecciati si alternino coi fili trasversali.

— E che cosa sono tutte quelle spole? — disse Carlo.

— È per fare un tessuto di colori diversi; ogni colore ha una spola, e l’operaio deve stare attento di cambiarla al momento giusto.

— Come è bello! — disse Vittorio, — mi piacerebbe star qui tutto il giorno, — e intanto guardava sotto alle macchine, cercando di scoprire il loro meccanismo, si arrovellava il cervello in mezzo a quell’intrecciarsi di ruote e di cilindri, e diceva che gli pareva impossibile, che tutte quelle macchine così esatte e perfette, fossero fatte dagli uomini. [p. 215 modifica]

Mentre erano là con tanto d’occhi ad osservare, la tela si tesseva con grande rapidità e si avvoltolava intorno ai cilindri; e nel medesimo tempo dalla parte opposta ne usciva altrettanto ordito, e Vittorio continuava a guardare dicendo:

— È meraviglioso, io ci perderei la testa.

Il professore spiegava come l’invenzione di quelle macchine fosse avvenuta a poco a poco, a furia di uomini d’ingegno che vi apportarono sempre nuovi miglioramenti e coll’aiuto delle nuove scoperte nell’industria; narrò che i primi tessuti erano cose grossolane, poi l’arte del tessere si perfezionò col telaio inventato da Jaquard, ma anche quello era rozzo, pesante, e la spola doveva esser guidata dalla mano, finchè a poco a poco si giunse al punto di poter ottenere colla massima facilità una immensa quantità di lavoro, specialmente dopo che s’incominciò ad adoperare il vapore come forza motrice.

Maria avrebbe voluto stare tutta la giornata in quel tempio del lavoro, ma temeva di abusare della bontà del signor Guerini, il quale trascurava in quel momento le sue occupazioni, per servire loro di guida; poi temeva che una visita tanto prolungata, potesse distrarre gli operai; sicchè dopo aver dato un’occhiata [p. 216 modifica] alle stanze meno importanti dove la tela veniva imbiancata e cilindrata, dove ai rocchetti di cotone si appiccicavano dei bigliettini colla marca di fabbrica e si mettevano in scatole per la spedizione; dopo essersi per ultimo soffermata davanti alla macchina a vapore, dalla quale partiva tutto il movimento, uscì da quel luogo riportandone un’impressione indimenticabile.