Poesie (Antonio di Guido)/XIV

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XIV

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XIII XV


 
Fra sospir dolci il cor sovente spira,
con disir vago a ’maginar sì grato,
ché bene imaginato
fa l’alma in ogni parte pazíente.
5Veduto quel che ’l vulgo errante tira,
pel suo esser sereno ha s’ beato
chi par con cieco stato
nella pastura asperrima e dolente;
né oggi si pon mente
10a opre degne e virtìose sute:
al vizio sì, ch’è stimato salute.

Piange Caliopè, madre serena,
che nel fonte Elicon la vista opprima,
perch’ogni sorda lima
15l’usa fuor d’ogni vergogna e letizia.
Speranza, fede e carità son pena;
superbia e ’nvidia ed avarizia è ’n cima
della rota, che prima
solea star sotto il braccio di giustizia;
20e spenta è la milizia
di Fabrizio e di Scipio e di Catone;
e ’l falso è ’ncoronato di ragione.

E son gl’inganni e tradimenti e torti
tenuti più sapere; e la rapina
25si tien cosa divina.
L’occulta offensíon dett’è più ingegno;
chi peggio fa son dett’i più accorti;
micidO, furti, strazi e gran ruina
è quella medicina
30che passa di sapere ogn’altro segno;
ed è lo Stige regno
grazíoso imputato e pien d’amore,
e virtù fatta ogni pessimo errore.

Non son contenti e dotti virtìosi,
35se non color che han pecunia assai,
perché con pene e guai
si stima chi non ha molto tesoro.
Drappi di seta e be’ vestir pomposi,
lontre, lattizi ed ermellini e vai
40fanno oggi l’uom d’assai;
non più l’amato mirto o ’l verde alloro,
ma le scíenze loro,
ed ozio, gola, mal parlare e furia:
ed è superchio banco la lussuria.

45E tal ne chiama e ghigna e ne favella
che n’è fatto, venendo al paragone;
la sua conclusione
sarebbe di star cheto e non parlare,
ché si beccon ciurmando le cervella.
50Fuor d’ogni segno è falsa opinione,
genia sanza ragione,
del ciel contrari e d’ogni sacra stella,
che sperazion s’appella,
per l’opre lor ingiuste; ed è dovere
55d’ogni ben far nimici, e di sapere.

— Va’, canzonetta, a questa turba cieca,
che Satanasso guida ed ha ’n balìa,
e di’ che tuttavia
fermo starò nel proposito mio,
60e lor nel lor, che ne gli paghi Iddio.