Poesie (Carrer)/Ballate/Il Sultano

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Il Sultano

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IL SULTANO.




Signor di cento popoli,
Di cento belle sposo,
Tutto che il Tauro germina
E accoglie il Caspio ondoso,
5Tutto è vassallo a te.

Sovra guanciali assirii
La voluttà sospira,
Ferve tra i nappi, e al tremito
Della gioconda lira
10Calano i sogni al re.

Nè sei felice? E indomita
Cura t’incalza e preme
Sui profumati talami,
E del dipinto areme
15Tra gli alabastri e l’ôr?

A che sì spesso intorbidi
La fronte di sospetto,
E sogni fra la porpora
E delle Urì sul petto
20Fantasmi di terror?

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Colline di Bisanzio!
Bello il lunar argento,
Che dell’azzurro Bosforo
Striscia sui flutti lento,
25Simili a terso acciar.

Al mite raggio danzano
Le vergini sui fiori,
E il pescator di Tracia,
Cantando antichi amori,
30Tuffa le reti in mar.

Esci, se lieve scorrere
Ami le placid’onde;
Sibilan pini e salici
Sulle beate sponde,
35E geme l’usignuol.

Quando ti son le splendide
Soglie di gioia avare,
Esci; la notte, i zeffiri,
La barca, i lidi, il mare
40T’addolciranno il duol. —

Muto è il serraglio; i garruli
Eunuchi e il molle stuolo
Dormono tutti. Vigile
L’altier sultano è solo,
45E seco il fido Omar.

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Alla felice Arabia
Divelto il giovanetto,
Le non palesi smanie
Legge al regnante in petto,
50Nè l’osa interrogar.

A un cenno alza la fiaccola,
E per celato calle
Movendo, l’ombre dissipa:
A lui dopo le spalle
55Lento il monarca vien.

Le sale ampie traversano,
Con piè sospeso, incerto,
E i corridoi del tacito
Serraglio: un uscio è aperto
60Respirano al seren.

Via per l’immenso empireo
Sola vïaggia e grande
La luna, e sulle cupole
E sui tetti si spande,
65Lume piovendo e giel.

Spenta la face, inutile
Ove sì vivo raggio
Le vie notturno illumina,
Fanno al giardin passaggio
70Il sire e il suo fedel.

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In parte solitaria,
Tra il verde del giardino,
Nereggia un bosco; mormora
Un fonticel vicino,
75Che rivo indi si fa.

— Passo di qua non movere,
Omar, ch’io te non chiami. —
Così allo schiavo il despota:
E tra i conserti rami
80Entra; scomparso è già.

Lungo la riva a guardia
Veglia il vassallo, e mira
L’onda che susurrevole
Tra l’erbe si rigira,
85E pensa ad altra età;

Quando, appo il suo tugurio,
L’auretta vespertina
Spirar godea tra i patrii
Roseti di Medina,
90Che più non rivedrà.

Ed ecco uscir un gemito
Dal bosco ov’è più spesso,
Qual d’uom che breve anelito
Deriva, a morir presso,
95Dall’ansio petto invan.

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— Che far? Il cenno infrangere?...
Restarmi?... E s’ei là pere? —
Vince l’amor. Degli alberi
Varca tra l’ombre nere
100Col nudo ferro in man.

In mezzo al bosco un candido
Marmo, di mirti ombrato,
Rende di tomba immagine:
A terra ivi prostrato,
105Spento il sultano appar.

Ma presto ei sorge, e i torbidi
Occhi all’audace gira:
Incrocicchiate al trepido
Seno le braccia, il mira
110Prostrarsi e prono star.

— Tanto tu osasti? — L’arbitro
Se’ tu di questa vita,
Io tuo vassallo. Uccidimi:
Recar ti volli aita;
115Son reo di fedeltà. —

— Alzati, e m’odi. — Al fodero
Il brando risospinge;
Si fa pensoso, palpita
Il fìer monarca, e tinge
120La gota di pietà.

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— Povero schiavo! Storia
D’immenso lutto udrai.
Io primo io terra, io l’arbitro
Dell’Orïente, amai:
125Empio l’amor mi fe!

Come la luce, amabile
Eri, Zoraide mia!
Non è la rosa persica,
O il giglio di Soria
130Gentile al par di te.

De’ zeffiri delizia
Nere spandea le chiome,
Scorrea sull’erbe tenere
Senza piegarle, come
135Sull’acque l’alcïon.

Al cherubino simile
Nel riso e nel saluto,
Lontano in notte placida
Concento di liuto
140Fu di sua voce il suon.

Ed io l’uccisi! Tenero
Schiavo, tu piangi, e danni
Il tuo signor? Non entrano
In petto uman gli affanni
145Del mio geloso cor.

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Fanorre, oh desiderio
De’ floridi anni miei!
Fanor, d’ogni mio gaudio
Compagno, io ti perdei!
150Pera la donna e amor!

Ama Fanor Zoraide,
Ella que’ voti accetta;
Essi d’amor si pascono,
Io d’odio e di vendetta,
155Che il brando mio compiè.

Io, di mia man, del perfido
Amico in cor l’immergo;
L’onda, che roca mormora
Sotto l’amato albergo.
160Tomba al rival si fe.

Attende invan la misera,
Del truce caso ignara,
Il bel rivale. Il placido
Flutto, la notte chiara
165L’adescano ad uscir.

E da una torre i cupidi
Occhi all’acquoso piano
Volge, se mai del giovane
Vedesse di lontano
170La barca comparir.

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E, mentre aspetta, ai zeffiri
Le sue speranze affida;
E intuona un mesto cantico,
Già tempo appreso: Oh! guida
175L’agil barchetto a me.

A me, che sulla gelida
Finestra appoggio il seno,
Gli astri spïando e l’etere,
Che, lucido e sereno,
180Men bello è assai di te.

Vieni! e la piuma candida,
Che ondeggia mollemente
Del tuo turbante al vertice,
Il palpito frequente
185Imiti del mio sen.

Vieni! e al tuo fianco il lucido
Acciar sospeso splenda...
E qui s’arresta, ed avida
Sembra l’orecchio intenda,
190S’altri risponde o vien.

Ed io, cui ragion tolsero
Ira e vergogna stolta,
Salgo alla torre. Immemore
Stava ella, al ciel rivolta
195In tutta sua beltà.

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Forse sognava i fervidi
Baci e il gioir supremo!...
Ebbra del reo delirio,
Da tergo sì la premo,
200Che capovolta va.

Dall’alto ella precipita,
E nel cader si lascia
Addietro questo candido
Velo che il cor mi fascia,
205Involontario don!

Parve gemendo l’etere
Al repentino pondo
Dividersi. Me misero,
Che udii de’ flutti in fondo
210Della caduta il suon!

Udisti? A che di lagrime
Porgi al tuo re conforto?
Piangi il tuo fato. Un genio
Maligno qui t’ha scorto,
215E troppo ardente fè.

Tremendo, imperscrutabile,
Qual sotterraneo foco,
Ch’ove trabocchi estermina
E fa deserto il loco,
220L’arcano è del tuo re.

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Finor celata agli uomini,
Nota a quest’ombre solo.
Primo l’atroce storia
Udisti del mio duolo,
225Che non potrai ridir. —

E sì dicendo, il lucido
Acciar tragge, e nasconde
In petto al fedel arabo,
E il lascia tra le fronde
230Esanime languir.