Polemiche relative al De antiquissima italorum sapientia/II. Prima risposta del Vico/I. Che le voci 'verum' e 'factum',...

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I. Che le voci 'verum' e 'factum',...

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II. Prima risposta del Vico II. Prima risposta del Vico - II. Che la nostra metafisica è compita sopra tutta la sua idea

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I

Che le voci «veruni» e * factum*, * caussa» e * negocium»
significarono appo i latini due cose.

E, per quello che si appartiene alle prime due voci, Fedria, nell’ Eunuco di Terenzio, domanda Doro: Cherean tuam vestem detraxit tibif E questi risponde: — «Factum». — Soggiunge il giovane padrone: — «Et ea est indutusf». — E l’eunuco similmente risponde: — «Factum». — Che un italiano, nell’ima e nell’altra risposta, tradurrebbe: «È vero». Cremete, nel Tormentator di se stesso, riprende il figliuol Clitifone : Vel bere in convivio quam immodestus fuisti? E ’l siro, che finge andare a seconda del vecchio, conferma: — «Factum». — Ma, perché potrebbesi qui dire che ne’ rapportati luoghi si ragiona di fatti, dove ben può stare «factum» per quello che noi dicemo «egli è succeduto», «avvenuto», o altro simigliarne, arrechiam luogo de’ molti, dove si favella di cose, e «factum» non può altrimente prendersi che per «verum». Lo Pseudoio di Plauto e Callidoro alternatamente ingiuriano il ruffiano Ballione; e questi sfacciatamente afferma esser tutte vere le ingiurie che gli si dicono. Psei’dolo. Impudico! Ballione. Ita est. Pseudolo. Sceleste! Ballione. Dicis vera. Pseudolo. Ver bevo ! Ballione. Quippini? Callidoro. Bus tir ape! Ballione. Certe. Callidoro. Furcifer! Ballione. Factum opiume ! [p. 205 modifica]

Che niuno può altamente intendere che: «È verissimo». Ma, delle altre due, egli è tanto volgar latino che «caussa» e «negocium» significano la stessa cosa, che questo volgar nostro «cosa» non altronde viene che dal latino «caussa». Onde ciò, che noi esplichiamo per «cosa», i latini rendono in neutro genere; e noi dicemo, per cagion d’esempio, «buona cosa» ciocché i latini dicono «bonum», ove i gramatici suppliscono «negocium*. Ma, perché altro è il parlar de’ grammatici, altro quel de’ latini, allo scevero che ne fa Fabio Quintiliano, per toglier di mezzo questa difficultá, andiamo da’ latini scrittori. I giurisconsulti, fedeli depositari della latina puritá fino a’ tempi piú corrotti, la prima idea, che formano nell’udire questa voce «caussa», ella è di «negozio», come l’avvertisce Giovan Calvino nel suo Lessico. Onde la principal differenza, ch’essi insegnano a’ principianti tra il patto e ’l contratto, ella è che «contratto» è dove si contenga il negozio, ch’essi esplicano alcun fatto, come l’imprestito, la determinazione del prezzo alla mercatanzia o le sollennitá dell’ interrogare e del rispondere; e perciò il mutuo, la vendita, la stipulazione siano contratti. Per contrario «patto» è quello che negozio o fatto alcuno non contiene, ma è un semplice trattato di fare, come sono le promesse di dare in prestito, di vendere, di stipulare; e l’appellano essi «nude promesse» o «nudi patti», perché nudi di causa, nudi di negozio, nudi di fatto. Ma potrebbe alcun dire queste esser voci d’arte riposta; e nostro proponimento fu di trarre l’antica sapienza d’Italia dalla favella volgar latina. Non resti non soddisfatto costui, e da innumerabili luoghi de’ comici, i cui parlari son volgarissimi, ne trasceglio quel di Terenzio n é\VAndriana, dove a Panfilo, il quale dice Cremete contentarsi che Pasibula resti in sua moglie: De uxore ita ut possedi, nihil mutat Chremes, Cremete risponde: — «Caussa optima est». — Che noi renderemmo in lingua italiana: «il negozio, il partito è buonissimo». La piú sottil differenza, che si possa mai addurre fra queste due voci, è la rapportata da Quintiliano che «caussa» significa [p. 206 modifica]

f’Ttó’fteaiv, «negocium» jieQicrtaGiv; che tanto è dire quanto quella il «grosso del fatto», questa le «circostanze»: lo che non fa che la voce «caussa» non importi ciò che noi «negozio» appellamo. Credo giá, se io non vado errato, che abbastanza sincerato io mi sia per uomo che abbia punto di rossore, il quale tratti col mondo letterato con quella buona fede, alla quale è precisamente obbligato colui che ragiona e scrive senza addurre luoghi, testimoni ed autoritá; e cosi cotesto vostro dubbio potea riposare sul credito che intorno a ciò era vostra gentilezza di avermi.