Prose della volgar lingua/Libro primo/II

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Primo libro – capitolo II

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Perciò che essendo in Vinegia non guari prima venuto Giuliano, il quale, come sapete, a quel tempo Magnifico per sopranome era chiamato da tutti, nel tempo che voi et egli e Pietro e il cardinale de’ Medici suoi fratelli, per la venuta in Italia e in Firenze di Carlo ottavo Re di Francia di pochi anni stata, fuori della patria vostra dimoravate (il qual cardinale, la Dio mercé, ora papa Leon decimo e Signor mio, a voi ha l’ufficio e il nome suo lasciato) e i due che io dissi, messer Federigo, che il piú giovane era, e messer Ercole, ritrovandovisi per loro bisogne altresí, mio fartello a desinare gl’invitò seco; sí come quegli uomini, i quali e per cagion di me, che amico e dell’uno di lor fui e degli altri ancor sono, e perché il valevano, egli amava e onorava sopra gli altri. Era per aventura quel dí il giorno del natal suo, che a’ dieci dí di dicembre veniva; né ad esso doveva ritornar piú, se non in quanto infermo e con poca vita il ritrovasse, perciò che egli si morí a’ trenta dí del dicembre che seguí appresso.
Ora avendo questi tre con mio fratello desinato, sí come egli mi raccontava, e ardendo tuttavia nella camera nella quale essi erano, alquanto dallor discosto, un buon fuoco, disse messer Ercole, il quale per accidente d’infermità sciancato e debole era della persona: - Io, Signori, con licenza di voi, al fuoco m’accosterò, non perché io freddo abbia, ma acciò che io non l’abbia. - Come a voi piace - rispose a messer Ercole mio fratello; e agli altri due rivoltosi, seguitò: - Anzi fie bene che ancor noi vi ci accostiamo. - Accostiamvici - disse Giuliano - ché questo rovaio, che tutta mattina ha soffiato, acciò fare ci conforta. - Perché levatisi, e messer Federigo altresí, e avvicinativisi, e recatovi da’ famigliari le sedie, essi a sedere vi si posero al dintorno; il che fatto, disse messer Ercole a Giuliano: - Io non ho altra fiata cotesta voce udito ricordare, che voi, Magnifico, rovajo avete detto, e per aventura se io udita l’avessi, intesa non l’averei, se la stagione non la mi avesse fatta intendere, come ora fa; perciò che io stimo che rovajo sia vento di tramontana, il cui fiato si sente rimbombare tuttavia. - A che rispostogli da Giuliano che cosí era; e di questa voce, d’una cosa in altra passando, venuti a dire della volgar lingua, con la quale non solamente ragioniamo tuttodí, ma ancora scriviamo; e ciascuno degli altri onoratamente parlandone, e in questo tra sé convenendo, che bene era lo scrivere volgarmente a questi tempi; messer Ercole, il quale solo della latina vago, e quella cosí lodevolmente, come s’è veduto, in molte maniere di versi usando, quest’altra sempre sí come vile e povera e disonorata scherniva, disse: - Io non so per me quello che voi in questa lingua vi troviate, perché si debba cosí lodarla e usarla nello scrivere, come dite. Ben vorrei e sarebbemi caro, che o voi aveste me a quello di lei credere persuaso che voi vi credete, in maniera che voglia mi venisse di scrivere alle volte volgarmente, come voi scrivete, o io voi svolgere da cotesta credenza potessi e, nella mia openione traendovi, esser cagione che voi altro che latinamente non scriveste. E sopra tutto, messer Carlo, vorre’ io ciò potere con messer Pietro vostro fratello, del quale sicuramente m’incresce, che essendo egli nella latina lingua già avezzo, egli la tralasci e trametta cosí spesso, come egli fa, per iscrivere volgarmente -. E cosí detto, si tacque.