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Quaranta novelle/Nei mari estremi

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27. Nei mari estremi

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Hans Christian Andersen - Quaranta novelle (XIX secolo)
Traduzione dal danese di Maria Pezzè Pascolato (1903)
27. Nei mari estremi
L'ultima perla La gara di salto
Due grandi navi erano state mandate verso il Polo Nord, per verificare e stabilire i confini delle ultime terre, che si allungano lassù nel mare, e per esplorare sin dove fosse dato agli uomini di giungere. Già da un anno e un giorno lottavano per aprirsi una via tra la nebbia e i ghiacci, esposte a pericoli, a fatiche d’ogni sorta. Ed ora l’inverno era incominciato, il sole scomparso, e per molte e molte settimane non avrebbero avuto che notte continua. All’intorno tutto appariva come un unico pezzo di ghiaccio; e nel ghiaccio le navi stavano come murate; la neve era alta alta, e nella neve appunto erano scavate certe capanne, in forma d’alveari, alcune grandi come le antichissime tombe nordiche, altre appena quanto bastava a contenere da due a quattro uomini. Non era buio, però; le luci del Settentrione fiammeggiavano rosse e turchine, formando quasi un eterno immenso fuoco d’artificio, e la neve scintillava così da tramutare la notte in un lungo crepuscolo pieno di lampi. Nelle ore più chiare, venivano a frotte gli indigeni, curiosi a vedere nelle loro vesti di pelli villose, sulle slitte, formate anch’esse da pezzi di ghiaccio. Portavano grandi carichi di pelli, per riparare le capanne di neve con grossi soffici tappeti. Le pelli servivano anche da coperte e da materasse, quando i marinai si coricavano sotto ai loro tetti di neve, mentre fuori la neve scricchiolava e tutto all’intorno gelava, come qui non ne abbiamo un’idea, nemmeno nel cuore del più rigido inverno. Nei nostri paesi, era ancora autunno; ed i marinai pensavano per l’appunto a questo, ai raggi del nostro sole, alle foglie ingiallite o rossastre dei nostri alberi. L’orologio diceva ch’era sera e tempo di riposare, ed in una capanna di neve, due marinai stavano già per coricarsi. Il più giovane aveva con sè il suo maggiore, il suo più prezioso tesoro, quello che la nonna gli aveva dato al momento della partenza: la Bibbia. Ogni sera il libro posava sotto al suo guanciale; sapeva, da bambino in su, quello che c’era dentro; ogni giorno ne leggeva qualche linea, e spesso, mentr’era coricato nel suo giaciglio, gli tornava consolante alla mente la Santa Parola, là dove dice: "Se io tolgo le ali dell’aurora e mi spingo all’estremo del mare, colà pure mi guida la Tua mano e la Tua destra mi sostiene"1.

E su queste parole di verità gli occhi si chiudevano, il sonno veniva, e venivano i sogni, manifestazioni di Dio nello spirito. Pur nel riposo del corpo, durava nell’anima la vita. Ed egli sentiva questa vita: era come se fluttuassero nell’aria, all’intorno, vaghe melodie dolcissime, da lungo tempo familiari al suo orecchio. Una brezza soave, come tiepida di sole, lo avvolgeva; e dal suo giaciglio vedeva illuminarsi tutto, come se la volta di neve si aprisse e ne piovessero fasci di luce. Egli alzava il capo: quel candore abbagliante non era di neve, non veniva dalle pareti o dalla volta: veniva dalle grandi ali d’un Angelo; ed egli intendeva lo sguardo nel volto soave e luminoso di lui. L’Angelo sorgeva fuor dalle pagine della Bibbia, come dal calice d’un giglio; allargava le braccia... e le pareti della capanna di neve cadevano, squarciate, come leggeri veli di nebbia. Le verdi pianure, le colline della patria, con i boschi ingialliti e rosseggianti, si stendevano all’intorno, nel tiepido sole d’una bella giornata autunnale. Il nido della cicogna era vuoto, ma le piccole mele rosse pendevano ancora dai meli selvatici, sebbene le foglie fossero già cadute. Le coccole rosseggiavano per tutto, e lo storno cantava nella gabbietta verde, sulla finestra della fattoria, laggiù laggiù, dov’era il cuore della patria, la casa. Lo stornello fischiava, com’egli, quand’era a casa, gli aveva insegnato; e la nonna gli metteva tra le sbarre della gabbia i pippolini di centocchio, com’egli, il figlio del suo figliuolo, soleva sempre fare... quand’era a casa. La figlia del fabbro ferraio, così giovane, così bella, che stava alla fonte ad attingere, salutava la nonna con un cenno del capo; e la nonna salutava e faceva vedere una lettera, venuta di lontano lontano. Proprio quella mattina la lettera era arrivata, dai gelidi paesi nordici vicini al Polo, dove il nipote si trovava, nelle mani di Dio. Le due donne ridevano e piangevano, ed egli, che di tra il ghiaccio e la neve, sotto le ali dell’Angelo, in ispirito vedeva e sentiva tutto ciò, rideva e piangeva con esse. Leggevano ad alta voce la lettera e ci trovavano le parole della Bibbia: "...pur nei mari estremi, la Tua mano mi guida, mi sostiene la Tua destra!"

Un dolce salmeggiar di preghiere, accompagnato dall’organo, si diffuse all’intorno; e l’Angelo chiuse lentamente le ali ravvolgendone il dormente, come d’un velo: era la fine del sogno. L’oscurità regnò di nuovo nella capanna di neve; ma la Bibbia era sotto il capo del marinaio, e la Fede e la Speranza nel suo cuore. Dio era con lui e con lui era la patria... pur nei mari estremi.


Note

  1. Salmi, CXXXIX, 8-9.