Relazione intorno al riparare per quanto possibile sia la città e campagne di Pisa dall'inondazioni
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RELAZIONE
AL SERENISSIMO GRAN-DUCA DI TOSCANA
COSIMO TERZO
Intorno al riparare, per quanto possibile sia, la città, e campagne di Pisa dall'inondazioni ec.
La pianura di Pisa attraversata dal fiume d'Arno, può, come è ben noto all'A.V.S. patire inondazioni da due acque: cioè, dalle proprie piovane (in caso massime di stagioni straordinariamente piovose) e dalle straniere d'Arno stesso, quando le piene in questo sopravanzino il livello delle campagne.
All'uno, e all'altro pericolo, ne' passati secoli, fu separatamente con opportune operazioni, e con sommo giudizio provveduto; poichè que' periti, e intendenti della campagna, dentro a' due piani adiacenti ad esso fiume; l'uno a destra, detto di val di Serchio, e l'altro a sinistra di val d'Arno distribuirono, in siti proporzionati, più, e diversi fossi, capaci, ed abili a trasmetterle da loro al mare l'acque pioventi sopra essi piani, con farle prima scaricare in fiume morto da quella parte, ed in Stagno dall'altra. Ed in oltre, lungo le ripe d'Arno, alzarono grossi argini, potenti ad impedire i di lui trabocchi.
Con questi industriosi provvedimenti, e con altri appresso, finchè la città di Pisa, e il suo territorio continuò ad essere ben popolato, esse pianure si mantennero fertilissime di frumenti, e d'ogni bene necessario non tanto a' propri abitanti, che agli stranieri.
Diminuitasi poi la popolazione, si diminuì in conseguenza l'industria, necessarissima al mantenimento dell'umane, cioè a dire, delle caduche operazioni, di quelle in particolare che debbono contrastare con gli effetti perenni della natura, la quale nel suo operare, mai non si stanca.
Per questo mancamento di abitatori, esse pianure si trovano oggi soggette a venir più frequentemente inondate, con danni gravissimi de' possessori: non perchè queste sieno divenute diverse da quelle, che si fossero mille, о due mila anni addietro; poichè, sebbene il declive de' loro fossi potrebbe credersi fatto alquanto minore, per essersi allontanato assai da quei tempi in qua il lito del mare, cioè il mare stesso, dove capitano le dett'acque piovane, non è pero, che il pelo dell'acqua di esso mare, quando è in calma, ed in istato di mezzano flusso, e riflusso, nou sia ancora oggi quasi l'istesso; e non è parimente, che il suolo delle dette pianure, per sì lungo tratto di tempo, non si sia tanto, o quanto, anzi pur notabilmente rialzato, non solo con le torbide tramandatevi da' monti, e colline, che ad essi piani sovrastano, quanto con quelle dei trabocchi, о naturali, о artifiziali d'Arno, che dentro a sì gran numero d'anni vi sono seguiti: onde è, che in universale la pendenza de' detti fossi dee ragionevolmente essere divenuta maggiore che in antico, e che, per questa cagione, potrebbero tali fossi (fuor che nei tempi dell'inevitabile impedimento de' venti contrari) smaltire meglio, o almeno come prima l'acque proprie, e rendere fruttifere come prima le campagne che vi scolano.
Ma giacchè queste in oggi sono fertili, quanto furono già (tralasciando d'incolpare, o di mettere a parte di tal pregiudizio, il fosso navigabile da Pisa, fino a Livorno fatto circa.... anni sono, e quello da Ripa Fratta fino a Pisa di circa 200. anni fa, i quali benchè destinati per verità, a molti usi giovevolissimi alla città, ed al commercio, con l'attraversare l'una, e l'altra campagna, impediscono non poco a gran numero di fossi, e scoli; massimamente del piano a destra, il condurre con libertà le piovane al mare loro centro) altro non resta a dirsi, se non che ciò sia avvenuto, o dall'essersi ostrutte in fondo l'uscite dell'acque loro, e dall'esser trasandati, ripieni, e resi inutili (come è in fatto) molti di quei fossi, e sbocchi, i quali tenevano asciutte, e sane le campagne, o dall'essersi queste infrigidite per l'alzamento dell'alveo, e del livello dell'acqua d'Arno fatto superiore ad esse molte braccia.
Gran parte di rimedio sarebbe dunque, se senza alcun risparmio di spese, con la dovuta fedeltà, e buona economia amministrate, si tornasse dentro al tempo di pochi anni a rimettere in opera, e ridurre allo stato antico tutti quei fossi, e scoli che più or non operano, con ricavargli, e arginargli tutti insieme con gli altri che ne avessero bisogno, e tutto nella forma, che richiede l'arte, e il giudizio del buon perito, il quale anche sappia disporne, e crearne dei nuovi, dove la più seguita variazione delle pendenze, e degli esiti lo ricercasse; purchè prima si riaprano gli sfoghi di detti fossi, quello in particolare di fiume morto, con cavare anche questo, dove ne sia il bisogno; ma sopra tutto, con raddrizzarlo per la più breve, ristringerlo all'apertura de' ponti ed arginarlo in moderata distanza dalle ripe sin dentro al mare, con incassarvelo ancora рer molte braccia.
Non si debbe già intraprendere questa universale riduzione di sbocchi, fossi, e scoli, se allorchè si assegna il danaro per eseguirla, non si destinano anche l'entrate annue, e bastanti a mantenerla dipoi di continuo, con l'escavazioni solite degli altri fossi, e per rinettargli anche ogni anno, e conservargli sempre liberi, e correnti: poichè altrimenti, ogni spesa riuscirebbe infruttuosa, e totalmente gettata.
Riaperti dagli estremi Paduli in su, gli ostrutti canali di queste campagne, e così facilitate, e restituito loro lo scolo per l'acque proprie (le quali, come ho detto, non роssono mai avere commercio con quelle d'Arno, e per tal causa non possono mai venire trattenute, ed essere fatte gonfiare per ringorgo delle piene, ancorchè massime di detto fiume) non è da tralasciare di continuare a salvarle ancor dalle forestiere, che sono quelle de' trabocchi, e rotture d'argini dell'istesso Arno.
Ciò parimente (non essendo caso disperatissimo) e facile tuttavia a conseguirsi, per lunghissima serie d'anni; poichè se non bastano gli argini, che annualmente vi si mantengono in vicinanza delle ripe d'Arno, riuscirà operazione di non gran dispendio, ed anche sicura (come praticata in tant'altri paesi, che hanno le circostanze di questo) se nell'andarsi di continuo, e di sua natura riempiendo, e rialzando il letto d'Arno si continuerà, come pure si fa, ad ingrossare, ed alzare i medesimi argini, a segno sempre superiore alle dette massime piene; e se di più, a soprabbondante cautela, ne' luoghi di pericoli maggiori, si faranno dietro a questi i contrargini, alti, grossi, e potenti non meno de' primi: poichè così, per quanto potrebbe incolparsene il fiume d'Arno, si conseguirà in avvenire, e molto più nell'annate asciutte, la bramata sicurezza, ed una assai competente fertilità delle medesime campagne, ancor che basse; mentre però (oltre al tenere tutti i detti canali ben voti, e netti) tali argini, e contrargini sieno sempre ben vigilati, e custoditi, nella guisa che si osserva dall'Ingegnere, e dai Ministri a ciò destinati, e che tutti i passi, o callaie neceesarie, che gli attraversano, restino assicurate, se mai occorresse, con muri d'altezza invariabile, e superiore a quelli d'ogni piena, e rese facili a praticarsi per via delle solite pedate, e sdruccioli ben distesi da ambe le parti, come stanno di presente quasi tutte.
Se poi, mediante il seguito rialzamento del letto d'Arno, esse pianure si sono infrigidite, e sono restate sepolte; e si desiderasse di sanarle, e ridurle in istato di maggior pendenza verso il mare, da poter in ogni anno, ancorchè assai piovoso, tramandarvi meglio, e più presto le suddette lor acque piovane (le quali talvolta infettano i detti piani, e molto più ne' siti più bassi) e si pretendesse ancora di renderle più lontane da' pericoli d'inondarsi per le rotture di detti argini, o per i trabocchi d'Arno, ciò non si potrà ottenere mai per altra via, che col risolversi finalmente a non isdegnar le fecondanti torbide di questo fiume, ma a riceverle a luogo, a luogo, per rialzarle, o colmarle dall'una , e dall'altra parte, per riempiere ancora con essa terra (ma nei luogbi, e tempi opportuni) tutti i bassi, e paduli, che vi sono sparsi. E contuttochè questa massima, ed essenzialissima operazione apparisca impraticabile, stante la diversità, e moltiplicità de' padroni, che vi possiedono; non è però che, interponendovisi la benigna autorità, e l'incomparabile clemenza dell'A.V. ella non sia possibile a ridursi all'atto (come in altri tempi è seguito in parte) con soddisfazione intera de' possessori: come sarebbe, o col far diventare, per a tempo, tutto il раеsе, che si pigliasse a colmare, d'un padrone solo, pagando agli altri in quel mentre un aggiustata retribuzione, o col far con essi, baratti, o in altra miglior forma, parchè tali colmate si facessero in buon modo, con l'ordine, che l'arte richiede, e che vuol la convenienza, ed il fine, che debbe aversi di non infermare, o deteriorare i terreni sani, e buoni, per volere acquistare ne' paduli, o per sanare, o migliorare i terreni infermi, o di qualità inferiore.
Per evitare questi dannosi effetti, conviene prima disporre, e perfezionare in tal guisa l'uscita dell'acqua d'Arno, che ha da fare le colmate, che questa non possa impedire, o tener in collo l'esito delle piovane del paese sementivo, o gli scoli della città, o pur dar ripiego a quest'acque per altra via; e dopo messe in difesa le terre buone, cominciar a colmare, per grande altezza, e non in fretta, a impresa per impresa, le terre più lontane dal marе, ed insieme le più prossime ad Arno, cioè più remote da quegli scoli, che debbono ricevere poi le loro acque piovane, e di poi l'altre terre di mano in mano, per traverso, fino a' predetti scoli, per continuare con tal ordine a colmar l'altre tenute per di sotto, che si vanno accostando al mare.
Questa per mio antico parere, è l'unica maniera, che usar si possa con sicurezza, per restituire alla città di Pisa, ed a' suoi territori, la salubrità dell'aria, la copiosa popolazione, e l'antico pregio di essere il granaio della Toscana e di contendere in questa parte con la Sicilia; ed a questo partito o per tempo, o tardi si ha per necessità da venire una volta.
Ma (volendo lasciare, nello stato in che or si trovano, queste campagne) il pretendere di esimerle del tutto, e in perpetuo, con la stessa città di Pisa dalla necessità di alzare, e di fortificar di continuo, come or si fa, i muricciuoli di questa, e gli argini di quelle, senzа alzar le strade, e le fabbriche di еssа città (quelle almeno contigue ad Arno) e senza alzare, e colmare come ho detto, con le torbide di questo fiume le suddette campagne, sarebbe a giudizio mio, un pretendere l'impossible, per essere assolutamente impossibile, il rimuovere totalmente, e per sempre le cause naturali, e potissime di tal necessità d'alzamento di muricciuoli, ed argini, fra le quali la prima si è, la gran quantità d'arena, e di terra , che di continuo, ed oggi assai più, che ne' tempi andati, conduce con se questo fiume, o torrente, e gli altri che vi mettono le loro acque, con rapirla da' monti già vestiti di boscaglia, ed ora del tutto spogliati, e che si coltivano, e con iscavarla dalle ripe' laterali, ed inermi delle pianure, per le quali e' passano, la qual materia, come grave, e libera, non ostante l'acquisto dell'esterno impeto progressivo, è necessitata finalmente a deporsi col proprio suo discensivo, ed in tal guisa a riempiere, e rialzare perpetuamente il letto d'Arno, e mediante l'inegualità di resistenza di dette ripe tenute senza difesa, e per la diversità degli ostacoli, che le sue acque vanno incontrando, è forzata essa materia grave a creare a luogo a luogo i piaggioni, o gomiti, congiuntamente le rose, o contraggomiti opposti, e così allungando il viaggio, e togliendo all'alveo parte del suo declive, viene a formare una tortuosità dopo l'altra, nelle quali urtando l'асqua, e perciò ritardandosi, ella si alza in detto alveo assai più, che se per via diritta, e libera vi corresse. Effetti tutti necessari, ed oramai noti, e palesi a chiunque punto vi osserva.
In oltre cause validissime, e concorrenti a far riempiere il fondo d'Arno da Pisa in su, e ad alzarsi perciò in tempo di piene la superficie dell'acqua più del suo naturale, sono i tre ponti dentro la città, i quali, mediante le medesime ripienezze, sono ridotti nell'altezza quasi incapaci dell'escrescenti, massimamente quel di mezzo di minor luce degli altri, e che ha il fondo impedito, e ripieno da gran copia di sassi, e tutti hanno i loro archi con poco sfogo, in particolare ne' loro fianchi, e questo sfogo va di continuo mancando: che però una volta converrà alzargli tutti con diverso sesto, e centinatura più capace, e più svelta ne' detti fianchi.
Concorrono potentissimamente, e forse sopra ad ogni altra causa ad operare questi mali effetti i venti contrari di libeccio, mezzogiorno, e scirocco i quali reprimono, e quasi fermano, anzi talor rispingono all'insù il corso ad Arno, lo fanno eccessivamente gonfiare, e crescere d'altezza, ed in questo mentre ei depone la materia con più facilità, ed in più copia.
Aggiugnesi il neceseario discostamento del lido del mare da Pisа, mediante le proprie arene, che con quelle di Arno vi rispingono l'onde marine, allorchè regna alcuno de' suddetti venti, i quali formano incontro alla spiaggia più ordini di scanni, banchi, dune, o cotoni, che si chiamino, ed obbligano Arno a voltar la sua bocca or ad una parte, or dall'altra, obbedendo al vento che domina, col crearvi bene spesso un argine, o capezzale, che serra la detta bocca, mentre Arno con le sue mezze piene depone in se le sue torbide in maggior copia; ma poi crescendo in altezza, e traboccando quel capezzale, vi fa l'apertura, che bisogna al suo scarico.
Da questo discostamento di lido, e perciò allungamento di canale d'Arno, ne segue apresso la diminuzione di quel poco di declive, che in distanza di più di sei miglia ha il pelo della più bassa acqua d'estate del medesimo Arno, da Pisa sino al pelo del mar quieto.
Da tale diminuzione di declive d'Arno ne viene ancora qualche scapito alla sua velocità, per condurre al mare le proprie acque: benchè nell'alzarsi alle maggiori piene, egli ricuperi da se la caduta, che gli bisogna per sgravarsene, ma non però così prestamente.
A questi, e simili effetti, che l'uomo suol chiamare disordini (benchè sieno ordini necessari, e per natura della terra, e dell'acqua, dai quali niuna parte di questo mondo va esente) non par convenevole il cedere, allor che s'intenda bene una volta d'intraprendere l'impresa massima, e sicurissima dell'universale alzamento de' terreni con le torbide d'Arno, ma differirla per ora, sul motivo del poter riuscir di troppo dispendio, e forse insoffribile da quelli soli, che vi possedono: onde potrà essere tenuta prudente risoluzione il fare intanto l'operazioni non superflue, quelle cioè, o che avrebbero a precedere, o da andar insieme con la suddetta massima operazione delle colmate.
Nel caso nostro dunque, e nel presente stato d'altezza, o bassezza, che dir si voglia, di queste campagne, debbonsi porre in campo i rimedi più facili, e praticabili, che a misura delle forze possono almeno trattenere i mali maggiori, e sieno di qualche preservativo dal cader così presto negli ultimi precipizj, ed abbiano per oggetto di ridurre primieramente la città di Pisa con le sue campagne non tanto obbligate a difendersi coll'alzamento degli argini, e de' muricciuoli, nè così sottoposte al timore de' trabocchi dell'ordinarie massime piene d'Arno, come dicesi essere state soggette da quindici, o venti anni in qua, non già, a creder mio, per l'aggiunta di nuova causa, ma per lo concorso di tutte le solite insieme, e ciascana in se medesima aumentata.
Or dopo aver io in questo, ed in altri tempi riconosciuto quasi tutto il paese, e sentito non solo a parte, che davanti al Conte della Gherardesca General Commissario per l'A.V. in questo Stato di Pisa, e premurosissimo in tali affari, le prudenti riflessioni di esso, del Cavalier Gaspero Leoni, del Prior Orazio del Seta, di Giovanni Lanfranchi, con ciò che ha voluto rappresentare il capitano Santini ingegnere, e quanto s'è potuto ritrarre dal Provveditore Lanfranchi, e da' subordinati Ministri dell'Uffizio de' Fossi, e da altri, che hanno cognizione di queste materie, sarei di parere, che tralasciando per ora l'uso del solito trabocco alla Fornacetta, come che io la reputi tanto inutile alla città di Pisa, quanto è dannoso alla pianura del Val d'Arno, e differendo di trattare dell'altro alle Bocchette, già è gran tempo dismesso; siccome sospendendo la proposta escavazione del fosso d'Arnaccio, e di far adesso l'universale addirrazamento del fiume nelle svolte che sono fra il Callone, e Pisa, parmi dico in ristretto che per adesso, oltre alla sopraccennata riduzione di tutti i canali, o scoli delle pianure, si potessero роrrе ad effetto nel fiume d'Arno tutte l'operazioni, che con sua aggiustata Relazione espone ora all'A.V.S. Cornelio Meyer espertissimo ingegnere Olandese, fatto venir qua da Roma a tal effetto, e col quale di comandamento di V.A. mi sono trovato ultimamente alle visite, e all'esame del tutto, concorrendo interamente alle quivi dichiarate proposizioni, consistenti in primo luogo, in voltar l'uscita d'Arno a sboccare in mare per quel sito più opportuno, e più breve, con quella direzione di taglio, o canale, che egli reputa più propria, ed a quel vento stimato da esso il meno nocivo; siccome per quei modi, e con quei ripari di passonate, ed altro, che come da uomo creduto pratichissimo in questi maneggi d'acque, e di sbocchi di fiumi in mare, vien proposto dalla di lui perizia, alla quale specialmente in questo particolare, debbo totalmente rimettermi, per non aver avuto mai campo di osservare, come esso, e vedere in opera diverse spiagge di mare agli sbocchi de' fiumi, che portano rena, lavori simili a quello, col quale ei pretende di liberare, ed assicurare per molte diecine d'anni, l'uscita di quest'Arno dal venir riserrata, o impedita con le proprie arene, e con quelle del mare stesso da qualsisia vento contrario, e che vi si faccia, e mantenga di continuo bastante fondo.
Dipoi per due, o trecento braccia sopra le suddette passonate verso Pisa in continuazione di esse, fare alle ripe lavori opportuni, e stabili di steccate ripiene a scarpa di fascine, e cariche a suolo a suolo di sasso, o in altro modo, che più proporzionato paresse al predetto ingegnere Meyer, parendomi necessario di tener quivi incassate le piene, dentro ad una più moderata larghezza di letto, quale sarebbe di 90. o al più 100. braccia, che è alquanto maggiore, che fra le sudette passonate, ed alquanto minore, che nel canale di sopra, affine d'obbligarle così unite, e ristrette dentro a detti ripari, e dentro agli argini, da farvisi insuperabili dalle piene, a portar via la materia grossa con più velocità, ed a farvi, e conservarvi maggior fondo, per ottenere in ogni stato d'altezza di acque lo scarico di queste al mare senza ostacolo, ed anche il libero transito delle barche, quando tale vi si desideri.
E perchè io non trovo disordine più pregiudiciale, nè di maggior impedimento alla velocità d'Arno , che l'averlo ne' tempi andati lasciato scorrere a briglia sciolta per le pianure, e prendersi eccedente larghezza di letto dove ha potuto, con perdita di suo declive dentro a' suoi giri: ed il non aver costumato di riраrаrе le sue ripe, ancorchè diritte, ma solo gli argini (poichè, dopo avere Arno corrosele quasi tutte, solo allorchè minacciava di demolire i detti argini, sono questi piuttosto stati rimossi di luogo, e tirati indietro col cedere terreno al fiume, che cercato di ridurlo, e di conservarlo dentro un alveo di non sproporzionata larghezza) vorrei per almeno ora cominciare a poco a poco, e con industria particolare a restituire ad Arno il canale almeno dalla detta riparazione in su verso Pisa dentro a diritture più proprie, con assegnargli una larghezza molto minore di quella, che egli s'è preso, riducendolo a parte a parte a braccia 120. o al più 130. per mezzo di lavori da farsi, se non come sponde andanti da ambe le parti, almeno separati, purchè l'uno difenda l'altro a se inferiore, e questi o sieno ali, o sproni di steccate ripiene con fascine, che facciаno scarpa verso la corrente, e caricate con sasso, o sieno puntoncelli in forma d'argine da fabbricarsi con sasso mescolato (in particolare ne' fondi maggiori, e di suolo meno stabile) con prunami, o con scopa, o con altro legname sottile, e per quanto possono restare fuori dell'acqua, con legname verde che possa germogliare, e far macchia: o pure sieno in forma di mezzo monte da situarsi a ripa nе' minori fondi, e più stabili; purchè tutti questi, o altri sì fatti lavori, sieno posti sotto il calor de' primi più forti, i quali sieno applicati a' capi delle rose, e dove la corrente non abbia ancor preso vigore nella caduta, e che non sieno esposti a venire separati dalle ripe, e lasciati in isola; e tutti debbono farsi, e dispensarsi ne' luoghi, che l'inferior lavoro abbia qualche sicura difesa al di sopra, e non piantati soli nel bel mezzo delle rose più prossime agli argini, dove la corrente fa manco forza, ed obbliga a spendervi perpetuamente per sostenergli in piedi. Conviene ancora, che questi sieno fabbricati più bassi, con maggiori scarpe, di forma meno acuta, di giro più ampio negli angoli, che fanno con la ripa, e meglio rincalzati di quelli, che ne' passati giorni ho veduto messi in opera qui in Arno sopra, e sotto Pisa: e soprattutto che sieno collocati in siti più opportuni de' sopraddetti, acciocchè si rendano stabili, e difendano, oltre agli argini potenti, le ripe ancora, le quali debbono scarparsi poi con maggior pendenza di quella de' predetti mezzi monti, о puntoni, e foderarsi per ultimo, e inselciarsi con sasso per quanto elle alzano; come tutto fin qui con altri simili avvertimenti, ho in altri tempi spiegato in iscritto, e ultimamente in voce, e sul fatto stesso al predetto ingegnere Capitano Santini, al quale, siccome ad ogni altro, si possono conferire le regole universali di fare questi, e simiglianti ripari; ma non già l'avvedutezza nell'eleggere le forme, le misure, la qualità, i modi, ed i luoghi proporzionati di fabbricargli, e disporgli, o d'inventare, e prendere partiti aggiustati alla varietà de' siti, e de' casi che si presentano.
Se poi l'esperienza mostrasse in fatto, che tali lavori di tutto sasso di cava sciolto, o quelli anche da mescolarsi con pruni, e macchia, o altro legname sottile, ancorchè ben collocati, e meglio costrutti, non riuscissero poi stabili, nè proporzionati in ogni luogo alla natura del suolo, e de' fondi d'Arno in questo territorio di Pisa, grand'errore sarebbe il continuargli con gettar via le spese benchè fossero leggerissime; ma in tal caso non è dubbio che l'ingegnere vi userebbe altri modi di difendere gli argini, e le ripe d'Arno; e sopra tutto, quelle fra il mare, e Pisa, acciocchè il fiume si conservi dentro alla detta larghezza rimoderata.
In oltre, dentro agli acquisti, che si andassero facendo per via de' sopraddetti ripari, si dovrà tener sempre piatate di legname d'ontano, tamerigia, salcio, vetrice, e simile, e dell'istesso armarne anche le ripe frapposte, dopo avere stabilito loro bene il piede, o fondamento con stipa, e sasso, ridottele a scarpa, e foderatele col medesimo sasso di cava.
Per accrescere ancora maggior impeto alle piene, e diminuir loro in conseguenza l'altezza dentro alla città, concorrerei al fare quel taglio, e addirizzamento nel gomito, che è immediatamente sotto Pisa, incontro a Barberecina, di evidente ostacolo al libero corso d'Аrno, contenendosi nell'operato col modo espresso nella relazione del predetto ingegnere Meyer, con introdurvi però la più bassa acqua di estate (affinchè l'operazione riesca sicura) con l'aiuto di passonata, o di altro lavoro da farsi alla parte opposta, che ve la spinga. E perchè l'acquisto del letto vecchio in quel seno si riempia, ed alzi di terra più presto, per poterlo ridurre a coltura, sarà espediente il piantar nelle prime disposizioni legname verde, sottile, e spesso, che vaglia a trattener più le torbide, poichè in breve la valuta di tal acquisto potrebbe compensare la spesa di detto taglio.
Sarebbe ancora ореrazione di molto accurata provvidenza il rifare il ponte a mare, prima che rovini, che Dio ne liberi, come ne minaccia, sentendo, ch'e' vada qualche poco allargando le sue rotture ec. Quanto alla nuova struttura di questo, mentre non si volesse d'un'arco solo (come pur sarebbe possibile con l'agevolezza del transito, e con stabilità da non aver mai timore) о la farei di tre archi soli, dopo aver fatte le due pile, ben fortificati i fianchi, e fattevi le loro ali di grosso, e ben fondato muro, tanto sopra, che sotto al ponte, o pure a rifare, come sta, di cinque archi sulle pile vecchie; dopo che queste si fossero rifondate con sicurezza, e ristaurate; con impostar però tutti gli archi nuovi assai più alti de' vecchi, e con garbo di tutto sesto, o di altra figura, la quale conceda ai fianchi maggiori sfoghi di quelli, che hanno di presente.
Anche il ponte della fortezza ha due archi rotti, che dimostrano aver ceduto le pile; e per essere il primo esposto all'impeto delle piene, ed agli urti del legname, che seco portano, è più pericoloso degli altri a rimaner demolito da sì gran carico; onde converrà pur rifondare le sue pile, per liberare il ponte dalla rovina; ed allora si potrebbe sollevare ancora i suoi archi.
E perchè immediatamente sopra questo ponte della Fortezza nel comune di S.Iacopo vi è il primo gomito, che lo copre, e fa traviare la corrente d'Arno dal suo proprio, e diritto sentiero, impedendogli l'imboccar a squadra, come converrebbe, e come forse imboccava già i quattro archi di detto Ponte, sarebbe ancora di notabile profitto lo spuntarlo, e levarne via qualche parte; con far però lavori nel contraggomito, abili a mantener sempre diritto quella parte d'alveo, per lo quale abbiano adito le piene d'introdursi in Pisa, con maggior velocità, e perciò con minor altezza di quella, con cui vi erano ora, che nell'urtare in tale svolta, sono forzate a ritardarsi, e gonfiare, e con l'obliquo loro corso, far violenza alla sponda murata d'Arno dentro la città.
Dopo fatte nel progresse di tre, o quattro anni (non potendosi in meno) le operazioni principali fin qui esposte con l'ordine dichiarato (che sono quelle istesse della relazione di detto ingegnere Meyer) le quali tutte (non compresevi quelle intorno a' ponti) per le notizie date de' prezzi da' Ministri dell'Uffizio de' Fossi, non eccedono scudi 20. mila, si può stare osservando il profitto, che se ne spera, e dipoi, secondo gli eventi, prendere risoluzione se si debbano fare, o no, tutti gli altri addirizzamenti di gomiti sopra Pisa.
Per ultimo, se il fatto, e il tempo dimostrasse, che questi suddetti lavori (i quali, come ho detto, debbono per buona regola precedere agli altri) non fossero bastanti, coverrà allora, che pensi, chi ne avrà l'incumbenza, a far qualche gran canale, non già per uso di trabocco sregolato (come s'è praticato alla Fornacetta da più diecine d'anni in qua) ma di diversione, co' modi, e nel luogo che verrà stimato poter veramente riuscire profittevole.
Nel rimanente non sia mai chi si persuada, che l'industria, e l'arte possa vincere la forza della natura, allorchè per giusto voler Divino, dopo essersi i monti carichi di neve, si sieno congiurate in un tempo stesso le lunghe, universali, e rovinosissime piogge, con venti contrari alla corrente del fiume; imperciocchè (come si ha dalle storie di tanti secoli scorsi) se Firenze, anzi pure se Roma stessa, sotto la formidabile potenza de' suoi Imperatori, e dipoi di tanti Pontefici, non ha potuto rendersi esente dalle irreparabili inondazioni, che di tempo in tempo l'hanno soggiogata, e sommersa: molto meno se ne potrà esimer Pisa, esposta di sua natura, e non men di Roma, a simiglianti sinistri, da' quali solo Dio può salvarla. Che è quanto in esecuzione de' riveritissimi comandi dell'A.V.S. alla quale umilissimamente m'inchino.
Di Pisa 12. Aprile 1684.
Di V. A. Serenissima
U.mo Dev.mo Оbbe.mo Servo Obbligatiss.
Vincenzio Viviani.