Ricordanze della mia vita/Appendici/III. Difesa di Luigi Settembrini scritta per gli uomini di buon senso/Capo VI. - Lettera del Carafa. Conchiusione

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Capo VI. - Lettera del Carafa. Conchiusione

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Capo VI. - Lettera del Carafa. Conchiusione
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CAPO VI

lettera del carafa — conchiusione.

Ferdinando Carafa de’ duchi d’Andria dalle segrete del castel dell’Ovo scriveva una lettera al prefetto di polizia il 29 ottobre, lo stesso giorno che io fui colá condotto. Parlerei di questa lettera se essa non offendesse piú l’onor suo che me; e se egli subito che usci dal castello e potè liberamente parlare, non l’avesse sdegnosamente ritrattata e ributtata con lo scritto e la parola innanzi la corte criminale. Egli ha narrato quello che ha patito nelle segrete, quello che il prefetto gli disse, quello che da lui si voleva, quello che gli fu in vari modi suggerito ed imposto, e le sue parole sono un’altra chiara pruova di quello che io ho detto del modo onde è stato fatto il processo. Quantunque la lettera contenga lieve accusa contro di me, ed il Carafa abbia il dovere di difendere l’onor suo e quelli che egli per suggestioni altrui e per propria debolezza ha nominati, purnondimeno quella lettera mostra chiaramente una lotta tra il cuore e la mente sotto l’impressione della paura. Ne parli dunque il Carafa: io non ne dico di piú.

Adunque tutta l’accusa contro di me è poggiata sulla denunzia dello scelleratissimo Iervolino, che dice esser io un settario ed avergli dato un proclama; e sulla dichiarazione del Margherita che dice di avere inteso dal Giordano e dal Sessa, che io era uno dei capi della setta, aveva riunioni in casa, aveva composto il proclama: è poggiata su di un’assertiva ed un aver inteso dire. Per quest’accusa io non temerei il giudizio di qualunque tribunale che giudicandomi stesse alla ragione ed alla legge; ma contro di me c’è odio di parte, odio personale, desiderio di vendetta tardata. Io usando di una virtú che è ignota ai miei persecutori il perdono di tutto cuore, prego Iddio che non dia loro a colpa le amarezze che fanno sofferire a me ed alla mia famiglia, ed aspetto serenamente l’esito del giudizio, perché la coscienza non mi rimorde di nulla, io non cospirai contro la persona del re, io non volli mai setta né rovesciare il governo, io non consigliai né approvai assassinii, ma fra quarantadue fui assassinato anch’io. Se io avessi potuto aver copia di tutto intero il processo, e tempo ed agio di leggerlo, forse io anche in questa oscura e fetente spelonca dove son chiuso senza veder raggio di sole, dove sento [p. 547 modifica] mozza la mente e logorata il corpo stanco, forse avrei piú largamente ragionato della causa ed abbracciato tutto nel processo. Nondimeno credo che quello che ho detto basti per mostrare a tutto il mondo, che quegli uomini, i quali hanno congiurato e congiurano per rovesciare la costituzione, ed han pubblicamente scritta la dimanda di abolirne finanche il nome che solo è rimasto, quegli uomini hanno fatto nascere i pochi fatti veri segnati nel processo; quegli uomini per odio di parte hanno inventati moltissimi fatti falsi, hanno malignamente trasfigurati i veri: rimane a vedere che gli stessi uomini ci faranno giudicare e condannare pei fatti cagionati ed inventati da loro. Essi vorrebbero far cadere almeno poche teste, ma non potranno far cadere le speranze dell’umanitá che desidera solo giustizia; non potranno far tacere la storia che dirá il vero inesorabilmente; non potranno ingannare o impaurire la pubblica opinione che giudicherá di me, dei miei persecutori, e della corte criminale.

Dalle prigioni di Castelcapuano, aprile 1850.