Ricordanze della mia vita/Appendici/III. Difesa di Luigi Settembrini scritta per gli uomini di buon senso/Capo V. - Prima e seconda dichiarazione di Luciano Margherita, fondamento principale dell'accusa

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Capo V. - Prima e seconda dichiarazione di Luciano Margherita, fondamento principale dell'accusa

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Capo V. - Prima e seconda dichiarazione di Luciano Margherita, fondamento principale dell'accusa
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CAPO V

prima e seconda dichiarazione di luciano margherita,
fondamento principale dell’accusa.

Luciano Margherita, come dice lo stesso prefetto1 congedato dalla reggia, fu nel mese di giugno arrestato in Napoli come vagabondo e rilasciato in consegna a Giovanni de Simone, poi arrestato altra volta fu mandato in Siracusa sua patria il 30 agosto, donde fu tratto in castel dell’Ovo. Fece la sua prima dichiarazione il giorno 11 ottobre, che in breve è questa: «Nutrisce attaccamento al governo, il bisogno solo lo fa comparire reo: dirá come fu tratto in inganno, e se colpa vi è si deve ai capi attribuire». In agosto 1848 rivide il suo amico Onofrio Pallotta, brigadiere dei dazi indiretti, il quale gli fece conoscere don Angelo Sessa, che «apparteneva al comitato centrale ed era uomo pieno d’impegni e d’estesi rapporti». Ei gli si raccomandò, ed il Sessa lo fece ammettere nello studio dell’architetto Francesco Giordano. «Non andò guari che questi gli disse che se non si fosse ascritto al suo comitato, ei lo avrebbe allontanato dallo studio, che egli non voleva essere in contatto con realisti». Egli per non perdere il pane disse di sí; e da quel punto conobbe che il Sessa ed il Giordano appartenevano all’Unitá italiana, ed erano capi di due circoli; egli [p. 533 modifica] fu ascritto alla dipendenza del Sessa che prima conobbe. Questo avveniva tra il fine di settembre e ’l principio d’ottobre. In marzo 1849 ebbe dal Sessa il diploma della setta, e l’incarico di cercare altra gente e farla ascrivere al circolo. Egli vi fece ascrivere il Vellucci, il Piscopo ed altri ai quali fu dato il diploma. Venuta la Pasqua il Sessa distribuí del danaro, a lui, al Pallotta, ad altri popolani ignoti. «Questo circolo non si è mai riunito malgrado che Sessa sempre diceva di volerlo fare seguire, ed alle volte Sessa, Giordano, ed altri individui che dipendevano dal circolo di costui si riunivano al caffè di Gaetano Errichiello. Dai discorsi fatti da Sessa e Giordano intesi nominare don Michele Pironti, don Michele Persico, Agresti, e Settembrini come membri del comitato centrale; e siccome per quanto essi Sessa e Giordano dicevano che ogni membro del gran comitato potea presedere ad un circolo, io sospettai che ognuno dei detti quattro individui dovesse presedere qualche circolo». Dice che fu arrestato il 14 giugno, e dopo dodici giorni liberato. Verso la metá di luglio fu arrestato un’altra volta ed il 30 agosto imbarcato e mandato in Siracusa, lasciando il suo diploma a Giovanni de Simone che la prima volta gli aveva dato mallevadoria, la seconda lo visitava, gli dava del suo, e danari ed abiti mandatigli dal Sessa. Dimandato a che tendeva la setta, risponde: «Io l’ignoro, ma per quanto Sessa e Giordano dicevano, lo scopo era quello di mantenere la costituzione, che dal governo si voleva rimuovere». Non conosce e non ha veduto mai in compagnia del Sessa o del Giordano né l’Agresti, né il Settembrini, né il Persico: stando una volta in casa Giordano, vide venire un signore con gli occhiali che seppe chiamarsi Pironti. Quattro o cinque mesi dietro ebbe dal Sessa diverse copie d’un proclama stampato con l’incarico di propagarlo tra i componenti del circolo: e il Sessa gli disse che tal proclama era stato composto dal Settembrini. Ei ne diede copia al Vellucci, al Piscopo ed altri.

Si trova una copia del proclama in casa del Vellucci, il quale dice averlo avuto dal Margherita, e da costui aver saputo che l’aveva composto io. È lo stesso proclama presentato dall’Iervolino.

Quanto il Margherita dice del preteso comitato e del proclama, l’aveva udito dire dal Giordano e dal Sessa; i quali se fossero presenti forse direbbero come il Catalano: «Noi abbiamo nominato queste persone per mera millanteria, per dar tuono alla cosa, [p. 534 modifica] noi abbiamo mentito». E qui io considero come intatta la dichiarazione del Margherita, il quale si è interamente disdetto nel costituto, confessando che fu costretto a sottoscrivere ogni carta dalle minacce, dagli apparati dei tormenti, dalle lusinghe e dalle promesse che gli faceva l’istruttore. Del suo costituto non voglio giovarmi punto, accetto le dichiarazioni come stanno. Il signor Silvestri che è stato l’ingegnosissimo architetto di questo processo, dal quale ha ritratto grande lode e maggiore uffizio, si contenta anche egli di questa dichiarazione, la quale è monca, e piena di lacune: ed anch’egli non dimanda niente di quello che era importante dimandare. Imperocché nessuno si persuade che tra agosto e settembre il Margherita conosce il Sessa, che lo presenta a Giordano, e questi gli dice: «O sii settario con me, o vattene»; e che in sí breve tempo divenne intimo di ambedue e fu ascritto alla setta: o il tempo sará stato piú lungo, o ci sará stata qualche altra persona per mezzo, e la cosa sará andata altrimenti. E questo ascrivere che cosa significa? fu forse notato il nome in un libro? diede giuramento? Margherita tace: il commessario non glielo dimanda: non gli dimanda neppure che cosa fece da ottobre 1848 a marzo 1849 spazio di cinque mesi. In marzo ha il diploma, ma le istruzioni della setta l’ha avute? il giuramento l’ha prestato? come poteva avere il diploma senza essere settario? come si può essere settario senza giuramento, senza conoscere le regole della setta? Niente di questo gli dimanda l’istruttore. Il quale udendo parlar della setta, avendone lette le istruzioni, che la polizia giá aveva avute, doveva pur dire al Margherita: «Ma questo comitato centrale che cosa è? Nelle istruzioni non c’è questa parola. Confondete voi i nomi, o questo comitato è un’altra cosa?» Non voglio dire che avrebbe dovuto dimandargli quando e dove il Giordano ed il Sessa gli avevan parlato di questo comitato, e dei suoi pretesi membri; ma per Dio! il Margherita confessa che è stato due volte arrestato e il commessario non gli dimanda perché. Questo perché viene detto dopo dieci giorni, il 21 ottobre, e dal prefetto, ed un perché freddo; come vagabondo; ma non si è detto perché fu tenuto da luglio a tutto agosto in carcere e poi mandato in Siracusa. Ma sia pure qualunque la causa della nessuna curiositá con cui fu fatto questo interrogatorio, il commessario dovette certamente rileggerlo, e rileggendolo doveva non contentarsene, richiamare il Margherita e fargli mille altre dimande. Niente affatto: la cosa, come tutte [p. 535 modifica] le cose di questo paese, va al contrario. Dapoiché il 16 ottobre il commessario volendo mostrare al detenuto Luciano Margherita il diploma a lui intestato dice: «lo abbiam fatto rilevar dalle prigioni e venire in nostra presenza, e fattogli ostensivo tal diploma l’ha riconosciuto»2: e nello stesso giorno 16 ottobre il Margherita, sentendo che nella sua dichiarazione ci erano quelle mancanze che il commessario non aveva sentite, chiede egli di voler parlare e dire grandi cose che interessano il governo3. Queste cose sarebbero impossibili anzi inconcepibili, se non ci fosse una chiara e limpida spiegazione: che si macchinava e si sperava di far dire altro da Margherita; e però non si badava a questa prima dichiarazione, si preparava la seconda che è larga e lavorata, nella quale si vede la grande architettura e l’industrioso ricamo delle postille. Questa è la dichiarazione sottoscritta dopo le promesse d’impiego e di protezione, e comparisce spontanea; fu fatta nello stesso giorno 16 ottobre, perché il prefetto venne nel castello a 22 ore; questo è il capolavoro del processo perché è la sola che svela tutti i membri del gran consiglio, tutti i disegni della setta, tutte le cose che diconsi fatte, ferisce da mille parti, in mille modi, moltissime persone. Esaminiamola a parte a parte, e la vedremo vergognosamente cadere, perché il falso non può mai celarsi interamente, la veritá non può esser mai interamente offuscata.

«1. Per darvi una pruova che per le mie critiche circostanze soltanto e non per avversione al governo io mi ascrissi fra coloro che cospiravano contro di esso, intendo rivelarvi molti altri fatti che sono a mia notizia, per potere conoscere li veri autori di questa trama, ed apporvi un efficace rimedio».

Queste non sono parole del Margherita, il quale non voleva e non poteva apporre rimedio a niente, ma sono l’eco e la fine di un discorsetto morale che gli fu fatto per indurlo a sottoscrivere la dichiarazione. «Tu non comparisci accusatore tu, ma chi ti ha detto quello che tu riferisci: la colpa è loro non tua, perché essi operano il male, e tu dici la veritá. E poi quando sará provato che sono autori di questa trama quelli che si conoscono, noi vi apporremo un efficace rimedio: sappiamo che la colpa si deve attribuire ai capi, voi altri siete gente ingannata e sedotta: [p. 536 modifica] il governo può temere di voi?» Queste ultime parole rimasero profondamente scolpite nell’animo del Margherita, che le disse al Faucitano, e tutti e due dicevano fra loro e ad altri (fra’ quali al Catalano): «Vediamo, ricordiamoci chi conosciamo, e nominiamoli: quanti piú capezzoni nominiamo e facciamo venire qui, noi piú presto usciremo, perché questi salvando sé stessi salveranno noi».

«2. Vi dico adunque che tra la fine di settembre ed i principi di ottobre scorso anno essendomi io pronunziato con don Angelo Sessa e don Francesco Giordano di abbracciare il loro partito liberale, tanto che Sessa mi mise alla sua dipendenza come vi precisai nel mio interrogatorio, divenni l’intimo di essi Sessa e Giordano, e per mezzo dei medesimi venni a sapere che nella capitale vi era un comitato centrale, il quale dirigeva tutte le mosse del partito liberale, quel comitato si componeva dal signor Agresti, colonnello al ritiro, che n’era il presidente, don Luigi Settembrini segretario, don Michele Persico cassiere, don Michele Pironti, don Michele Primicerio, don Carlo Poerio, il signor Pica, il marchese Venusino, il duca Proto, un titolato di cognome Carafa, non che essi Giordano e Sessa, membri del detto comitato centrale, e qualche altro che non rammento».

Se questa dichiarazione si guarda, per servirmi di una felice espressione del procurator generale, «a traverso del prisma delle istruzioni della setta», le quali sono stampate fra i documenti dell’accusa, si vedrá chiaro che i suoi colori sono falsi; perché secondo queste istruzioni nella setta non v’è comitato centrale, non v’è l’ufficio di segretario, non di cassiere. Nelle istruzioni è proibito espressamente di nominare le persone, e quindi difficile di poter conoscere massime i capi: ed il Margherita, conoscente di un mese, giovine di studio del Giordano, non ancora settario ma semplicemente ascritto, diviene l’intimo di due persone, conosce tutti i nomi dei componenti il consiglio della setta, i loro diversi uffici. Chi gli avrebbe detto quando in agosto rivide il Pallotta, che sulla fine di settembre avrebbe saputo tanti segreti, conosciute tante persone, sarebbe divenuto anch’egli un personaggio importante? A me poi si deve dar sempre una penna in mano; se si ha a creare uffizio di segretario dev’esser mio. Chi può negare la cagione dell’odio che mi perseguita? Al povero Persico si dá la cassa, perché è un negoziante. L’Agresti, che non è un colonnello al ritiro, ma un ex capitano, e fu capitano aiutante maggiore nella guardia nazionale, dal Margherita è detto [p. 537 modifica] presidente di un comitato dove sono uomini che hanno maggiori cognizioni di lui (non offendo un mio egregio amico il quale ha voluto che io scrivessi queste parole), hanno maggior fama e conoscenza nel paese ed hanno occupati alti uffizi, e dal Marotta è confuso tra gli ultimi omicciattoli che formano il comitato di cui è presidente il Romeo, povero stampatore ed umile persona.

«3. Verso la fine del mese di ottobre Giordano mi consegnò cinque bigliettini suggellati, diretti ad Agresti, Settembrini, Pironti, Primicerio, Persico (dice la casa di ciascuno) ed avendo con tutti personalmente parlato a norma degli ordini ricevuti da Giordano, diede l’appuntamento di farsi trovare in quella sera nel caffè di De Angelis a Toledo: ed in effetti nella sera medesima avendo io seguiti i suddetti Giordano e Sessa nel detto caffè ci rinvenni i mentovati cinque individui, i quali dopo associatisi al Sessa e Giordano, si recarono in casa dell’Agresti, ed io rimasi a passeggiare sotto la medesima. Dopo piú di due ore calarono Giordano e Sessa, in compagnia di Persico, Settembrini, Primicerio ed altri quattro o cinque individui a me ignoti, che ritenni essere anche membri di tal comitato, ma non so dire chi questi fossero, dappoiché io non conosceva di persona Poerio, Pica, il Venusini, il duca Proto, il Carafa, per non avere ai medesimi giammai portato alcun biglietto. Agresti si rimase in casa: nel portone si divisero prendendo io col Sessa e Giordano la direzione della strada Portamedina, mentre gli altri s’incamminarono per Toledo. Posteriormente anche per effetto di bigliettini inviati per mezzo mio dal Giordano ai signori Persico, Agresti, Primicerio, Settembrini e Pironti in altre sere dopo di essersi tutti riveduti nel caffè di De Angelis, si recarono in casa di Agresti, intervenendovi pure il Sessa il quale mai si dipartiva dal Giordano».

In questo fatto di bigliettini il Margherita è testimone diretto, che dice quello che ha operato egli: tutto l’altro l’ha saputo dal Giordano e dal Sessa. Nella prima dichiarazione dice di non conoscere alcuno, tranne il Pironti per caso: ora conosce cinque di noi: sia questa la veritá: ma non dice come ci conosce. Se ci conobbe quando ci portò quei sigillati bigliettini, perché non li portò agli altri? e se a questi altri furono portati da altra persona, perché egli, che sapeva tutto, non lo nominava? Egli era l’intimo del Giordano, e doveva sapere ciò ch’era scritto nei bigliettini, e se egli lo sapeva perché sigillati? e se parlò con tutti e cinque noi, che fortunatamente per lui ci trovammo tutti [p. 538 modifica] in casa, a che servivano quei bigliettini che dovevano dirci quello che egli ci disse? Perché moltiplicare enti senza necessitá? Se le riunioni si tenevano in casa dell’Agresti, è cosa veramente ridicola che si mandi un avviso anche a lui per farlo uscir di casa, andare al caffè, e dire a tutti gli altri quello che tutti giá sapevano, cioè di andare a casa sua. Qui manca il senso comune. Inoltre se l’Agresti era presidente, io segretario e il Persico cassiere, che cosa era il Giordano che da sé, e sempre, e per mezzo di suoi agenti e di bigliettini diceva ad uomini molto piú reputati di lui, raccoglietevi, e quelli si raccoglievano? Dopo questa riunione, che durò ben due ore, il Margherita non dimanda al Giordano o al Sessa di che cosa s’era parlato, che decreto s’era fatto; né quelli depongono alcuna cosa nelle fide orecchie di lui che tanto aveva girato per portar bigliettini, che aveva passeggiato per due ore lunghissime. Il Margherita vede che solamente noi cinque eravamo nel caffè, non solamente noi cinque scendevam dalla casa dell’Agresti, ma tutto l’altissimo consiglio, e non ha la curiositá di dimandare di nessun altro, non sente il desiderio di conoscere neppure il Poerio che ei dice di non aver mai veduto, che non ha mai sentito parlare dalla tribuna: nulla di tutto questo: conosce cinque e non si cura degli altri. Queste cose non reggono innanzi alla ragione, sono sfacciate e stolte bugie fatte dire al Margherita per confermare l’accusa, ma essi la screditano, la indeboliscono, la distruggono.

«4. Nei principi di decembre ultimo da essi Sessa e Giordano seppi che il comitato centrale aveva in una delle sue sedute deciso ammanirsi delle somme per dare delle sovvenzioni nel venturo natale ai popolani che dallo stesso dipendevano; ma costoro, per quanto quelli dicevano, erano braccia materiali, perché ignoravano affatto cosa voleva significare setta o comitato, né ciò se gli manifestava per mantenerli nell’ignoranza, ed affinché si avessero potuto far muovere a seconda del bisogno».

O il Giordano disse questo, ed ecco le speranze e le promesse ch’egli dava ai suoi agenti, a lui devoti per pochi danaruzzi e moltissime parole. Noi altri che siamo accusati di comporre quel sognato comitato siamo uomini di picciola fortuna, ed io viveva sottilmente di mie fatiche; né potevamo radunar danari perché non eravam di quelli che hanno il privilegio di far proprie le pubbliche entrate. O il Giordano non lo disse, ed è stato suggerito a Margherita per confermar le voci che i liberali davano [p. 539 modifica] quattro carlini al giorno ai popolani poveri. Si sa, ed un tempo si dirá, quali grida furono pagate per pochi e brutti tornesi.

«5. Scorsi pochi giorni da tal notizia, Giordano e Sessa mi dissero, che in una delle riunioni del comitato centrale, in cui erano tutti i membri sopraccennati intervenuti, era stato deliberato di fare uccidere i ministri Bozzelli, Ruggiero, Longobardi e Gigli, non che il commessario Merenda, ed il capitano del treno Palmieri; i primi perché facevan di tutto per distruggere nel Consiglio di stato ogni vestigio di costituzione, ed i secondi, presedendo i comitati realisti, facevano dai loro dipendenti insultare e manomettere i liberali. Giordano diceva che ad esso era stata affidata la esecuzione di tali assassini coll’aiuto e cooperazione di Sessa».

Questa è la piú scellerata cosa che sia stata inventata da mente scelleratissima. Accusar di sei assassinii uomini di vita intemerata, vissuti sempre virtuosamente, che avendo avuto il potere in mano hanno beneficato gli stessi loro nemici, è tale infamia che non ha nome. Odiatemi, opprimetemi, uccidetemi pure, ma dovete rispettarmi perché sono migliore di voi. La storia dirá che si sono commessi assassinii, e dirá da chi sono stati commessi. Io per moderazione ho taciuto nel capo I, che in marzo 1848 si tentò di assassinar me in mia casa, e fui salvo pel concorso della guardia nazionale: ho taciuto e tacerò ancora molti fatti piú scellerati, ma se sarò ridotto all’estremo io dirò cose tali che faranno tremare gli occulti e palesi miei accusatori. Fu deciso un macello, fu deciso da tutti, fu deciso in dicembre 1848 quando il ministero aveva riconvocata la Camera pel 1° febbraio 1849, fu deciso dal Poerio, dal Pica, dal Proto deputati, e da me eletto e possibile deputato. Io non so chi è piú stolto e chi piú m’offende se quello stolto che disse queste cose, o chi le credeva possibili a credersi dagli uomini di senno, e ne faceva accusa contro di noi. Quando in un processo sono queste infamie dovrebbe esser bruciato per le mani del boia. E qui lascio lo sdegno, e rimando l’infamia a chi spetta; gli accusati non possono essere raggiunti né colpiti da sí basse calunnie.

Né qui s’arresta il Margherita, e dice che il Giordano per mezzo di Raffaele Basile e di Giovan Battista Sersale fe’ venire quattro sicari da Avellino, che diede a lui l’incarico di accompagnarli e mostrar loro le sei vittime designate; che egli li accompagnava per la cittá, ma non curavasi di altro che di mangiarsi i denari che il [p. 540 modifica] Giordano dava ai sicari, dei quali egli dice solo il nome di uno; i quali dopo un mese furono rimandati, e il Giordano fu creduto vile e ciarlone.

Tutto fa, tutto sa, in mezzo a tutto è il Margherita: e intanto la polizia per mezzo di lui non cerca di scoprire questi quattro sicarii, non lo conduce in Avellino per riconoscerli, e si contenta che egli ne descriva solamente le fattezze. Ma dirá alcuno: dunque fu tutto invenzione? Io non so che cosa faceva e che cosa voleva il Giordano; non so se egli avesse avuto qualche delirio febbrile, non so se fosse stato matto, non so se è reo o calunniato; ma so che i miei amici ed io non abbiamo perduto il senno, so che sentiamo troppo di essere uomini, abbiamo dato troppe pruove di virtú per non esser creduti capaci di discendere a tanta degradazione morale, a tanta infamia da volere assassinati sei uomini. Questi feroci delitti non sono nostri.

«6. Avvenuto lo scioglimento della Camera legislativa in febbraio ultimo, da Giordano e Sessa venni a sapere che si stava cospirando onde far propagare la setta degli unitari italiani, e che il comitato presieduto da Agresti e nel quale seguitavano ad appartenere tutti gl’individui di sopra indicati, aveva preso nome di alto consiglio della setta suddetta, ed il signor Agresti qual presidente era in corrispondenza con l’Italia. Mi dissero pure che ogni membro dell’alto consiglio era rivestito di un incarico, per effetto di che Poerio coltivava la corrispondenza della setta nelle tre Calabrie onde farvi istallare i circoli, il deputato Pica per i tre Abruzzi, Giordano per la provincia di Terra di Lavoro ed Avellino, Sessa si corrispondeva con i casali dintorno Napoli».

Lo scioglimento della camera avvenne il 14 marzo 1849, l’Agresti fu arrestato due giorni dopo, il 16 marzo, onde è falso quanto si dice di lui, e però è falso quanto si dice degli altri intorno a questi incarichi che sono sogni ed imposture del Giordano. E perché quel cangiamento di nome? Perché il Margherita conobbe la pretesa setta e seppe che ci doveva essere l’alto consiglio solamente in marzo, come dice nel brano seguente.

«7. In data del 1° marzo Sessa mi diede il diploma, le regole, ed il proclama della setta: ed il tutto giá si trova assicurato alla giustizia».

Dunque il 1° marzo dovette dare il giuramento, il 1° marzo divenne settario. E fino a questo tempo non essendo egli settario come conosceva tutt’i capi della setta, sapeva minutamente quello [p. 541 modifica] che dicevano e facevano? come egli li ragunava co’ bigliettini, ne eseguiva le deliberazioni, ed aveva finanche il gravissimo incarico di far eseguire sei assassinii? O è falso tutto quello che egli dice di aver fatto fino al 1° marzo, o è falso il diploma che egli ha riconosciuto e che ha la data di marzo. Se ebbe il diploma in marzo, in marzo divenne settario e prestò giuramento, dappoiché non si può essere settario senza dar giuramento, e dato il giuramento si ha il diploma. Ecco quello che si vede col prisma del procurator generale.

«8. Avvenuto l’arresto del signor Agresti non so in qual epoca, l’alto consiglio si riuniva in casa di Settembrini, per essere costui subentrato nelle funzioni di presidente: e ricordo bene che Sessa mi disse che in una delle sedute avute luogo in casa di Settembrini era surta una quistione tra Poerio, Pica ed un altro, che non mi ricordo il nome, col rimanente dei componenti il consiglio; dappoiché i primi tre intendevano di fare la rivoluzione con lo scopo di consolidare la costituzione, gli altri volevano muoverla per proclamar la repubblica o la costituente: per <la> quale discrepanza di opinione l’alto consiglio si era disciolto, e che riunitisi poi altro giorno senza l’intervento dei sudetti Poerio, Pica ed il terzo che non rammento, era stato deciso che costoro non ci dovevano piú appartenere perché di principi opposti ai loro, e perciò non erano piú chiamati. Ciò avvenne per quanto vado rinnovando nell’idea tra la fine di maggio e principi di giugno corrente anno».

Io proverò chiarissimamente nel mio discarico che in mia casa non aveva altre riunioni che di giovani studenti; proverò che in tutte le ore del giorno io ero severamente occupato alle mie lezioni, perché dalle sole mie fatiche onorate io traeva il sostentamento della mia famiglia; che la sera io per costume, per istanchezza, e per amore allo studio ed alla famiglia non usciva mai di casa, e me ne stava coi miei figliuoli. E per provare che questa vita di fatiche e di stenti non mi lasciava briciola di tempo, io chiamerò in testimonianza il padron della casa che io abitava, gli altri inquilini, e quelle persone in casa di cui io andava a dar lezioni. Chi viveva a questo modo è accusato di essere presidente e capo d’una setta, dalla quale scacciava il Poerio, il Pica, ed un altro, e meditava repubblica e costituente; e cosí rifiutava l’opera delle Calabrie dipendenti dal Poerio, degli Abruzzi dipendenti dal Pica, e chi sa di qual altra potenza del mondo dipendente dal terzo [p. 542 modifica] ignoto. Il Pica ed il Poerio, che secondo il Margherita approvarono con tutti gli altri il disegno di assassinar sei persone, si sarebbero fatto scrupolo per la repubblica e la costituente. Arrestato l’Agresti, mancava anche la corrispondenza con l’estero; e non si dice se altri si prese questo carico, se lo prese uno o piú. Forse l’Agresti solo bastava: ma l’estero è il mondo, e il mondo è tanto grande che non bastava uno solo a tener questa corrispondenza. Ci sono certe assertive che un uomo onesto si degrada a combattere e mostrarle false. Il Poerio e il Pica erano odiati, e furon detti settari: erano conosciuti troppo per quello che con senno e con facondia avevan detto dalla tribuna, onde furono separati dagli altri che si dovean mostrare anelanti alla repubblica: e per non iscoprir la malizia nominando essi due soli, si aggiunse a loro un terzo ignoto. Il Poerio ed il Pica sono tali uomini che in ogni adunanza non sarebbero secondi a nessuno, né a me. Bisogna conoscere gli uomini che son detti comporre questo sognato consiglio, per vedere quanto è stolta, quanto svergognata e scellerata l’accusa.

«9. Se pur non m’inganno, in luglio Settembrini ultimo fu anch’egli arrestato, e sebbene la carica di presidente si fosse deferita a Pironti, pure perché questi non aveva una casa a sé, l’alto consiglio non si riuniva in nessuna abitazione; e solo quando i componenti dello stesso si volevano rivedere onde comunicarsi qualche segreto, si mandavano appuntamenti per riunirsi sul tondo di Capodimonte, quando al largo del Castello, ed altre volte nella strada Foria, piú fiate io personalmente per ordine di Giordano dava simili appuntamenti a Persico, Pironti e Primicerio. Arrestato Pironti non so chi assunse la carica di presidente, ma seguitavano a riunirsi nel luogo di sopra indicato».

Quanto sono ingegnosi gli errori di data che fa il Margherita! Talvolta bisogna sapere errare per dar colore piú schietto al racconto. Io fui arrestato il 23 giugno. Egli, come dice nella prima dichiarazione, uscí di carcere il 26 giugno, e vi rientrò a mezzo luglio, dove stette fino al 30 agosto. In questi venti giorni, egli niente atterrito dal carcere, ritorna in mezzo ai segreti ed agli affari della setta; sa che il Pironti è il novello presidente, vede il consiglio divenuto peripatetico, e che i suoi membri si uniscono, congiurano e decidono grandi cose passeggiando per le strade, e seguita a portar le imbasciate per queste riunioni peripatetiche. Ma se questi membri si vedevan fra loro, non potevan darsi il tempo [p. 543 modifica] ed il luogo per rivedersi? Non potevano in qualche caso mandarsi l’un l’altro un servitore, una serva, un cane coll’ambasciata? Ci dovea essere per forza il Margherita spedito dal Giordano fin dal lontanissimo Pontenuovo? E portava ambasciate solo a quei tre e non agli altri? E le portava a voce o con quei sigillati biglietti? Arrestato il Pironti il tre agosto, come sa che «seguitano ad unirsi del modo di sopra indicato», se egli era in carcere fin da mezzo luglio, Persico fin dal 9 luglio era partito per la Francia? se non resta che il solo Primicerio, e gli altri egli non li conosce? Menzogne aperte, calunnie sfacciate. E pure la grande accusa del procurator generale è tutta fondata su questa dichiarazione, della quale ho copiate per sin le parole.

«10. Li mentovati Sessa e Giordano alla fine di giugno o principii di luglio, quando giá Pironti era stato arrestato, mi confidarono che in una delle dette riunioni dei componenti l’alto consiglio si era deciso di stabilire una setta di pugnalatori, onde far uccidere il ministro Longobardi, il prefetto di polizia Peccheneda, ed il presidente della corte criminale Navarra: i primi due perché proponevano al re l’arresto dei liberali, l’altro per le mostruose condanne che infliggeva a persone innocenti. Per essere in ciò consigliati per due o tre volte scrissero ai surriferiti Agresti, Settembrini e Pironti nel carcere di Santa Maria Apparente, facendo a costoro ricapitare le lettere per mezzo di Francesco Vellucci e di Francesco Antonetti: e li medesimi Sessa e Giordano dicevano che Agresti, Settembrini, e Pironti avrebbero inteso il parere di Trincherá, e degli altri carcerati politici che si rattrovavano nelle prigioni suddette. Essi Agresti, Settembrini, e Pironti, per quanto Sessa e Giordano mi dissero, approvarono il progetto di assassinio; e perciò costoro incaricarono me di proporre individui che fossero stati capaci di pugnalare a sangue freddo i mentovati personaggi mercé una gran somma che loro si sarebbe data».

Il procurator generale fermandosi alle prime parole del Margherita ritiene che quest’altra invenzione della setta de’ pugnalatori fu stabilita nel mese di luglio: ma il Margherita dice «quando il Pironti era stato arrestato», e parla di cose che il Pironti con l’Agresti e con me avrebbero approvato stando in Santa Maria Apparente; il Pironti fu arrestato il 3 agosto. Dunque questi pugnalatori entrano nel dramma dopo il 3 agosto: il Margherita sbaglia le date, e questo sbaglio fa cadere ogni cosa. Dappoiché se egli la seconda volta fu arrestato verso la metá di luglio, e [p. 544 modifica] stette in carcere fino al 30 agosto, nel qual giorno fu imbarcato per la Sicilia, come poteva sapere di questi pugnalatori e di questi assassinii stabiliti dopo l’arresto del Pironti? come poteva avere l’incarico di trovare i sicarii? chi gli poteva dire, chi poteva fare quest’altra invenzione tragica, se anche il Giordano, architetto di tutte le invenzioni, fu arrestato il 3, ed uscí il 19 agosto? Come il procurator generale non ha veduta questa contraddizione di date, ch’è cosí chiara, e cosí chiaramente mostra la falsitá di tutta la dichiarazione? Inoltre quell’alto consiglio che voleva essere consigliato, a chi era ridotto in agosto? L’Agresti, il Pironti, ed io eravamo arrestati; il Poerio ed il Pica arrestati, il Proto uscito dal regno fin da marzo, il Persico in Francia, il Primicerio o uscito, o nascosto, o certo ammalato; resta l’ignoto Venusino, il Carafa, il Giordano ed il Sessa; anzi restano soli, come sono stati sempre, soli, il Giordano ed il Sessa i quali nel caffè dell’Errichiello immaginavano, parlavano, bevevano, e non si levavan dalla seggiola. Il Vellucci e l’Antonetti, che hanno confessate molte cose, hanno detto di non conoscere alcuno di noi, non esser mai venuti in Santa Maria Apparente non aver mai portato lettere. Or se non c’era piú alcuno di questo preteso consiglio, se il Margherita era in carcere, e non poteva avere nessuna confidenza dal Giordano e dal Sessa, non è egli piú chiaro della luce del sole che le confidenze l’ebbe dalla polizia? La polizia voleva farsi merito, voleva esser creduta operosa, e però odiata dai rivoluzionarii; ed ecco fa comparire in grave pericolo il suo capo, pel quale ci sono prima avvisi di agenti segreti, poi indizi, poi la pretesa confessione del Margherita: ma il prefetto dorme sempre sicuro. Si desidera che i giudizi sieno fatti piú con rigore sdegnoso e con astio di parte che con imperturbata giustizia, ed ecco far comparire il disegno di assassinare il ministro di giustizia, il presidente della corte criminale. Si desidera di avvolgere nella ordita trama gli uomini piú odiati: ed ecco fingersi accordo e cospirazioni in carcere; ecco obliquamente nominato il Trinchera, odiatissimo perché fu capo di dipartimento nel ministero dell’interno, e comandò in quella polizia che ora per vendetta lo tormenta. Cosí disparisce tutto il maraviglioso del gran dramma del processo, e si vede ancora che gli altri sei assassinii sono maligne e scellerate fantasie di chi vuole accrescere odio sul capo di uomini che sono odiati per quella stessa ragione che ogni virtú è odiata e perseguitata dai tristi.

Questa è la grande e lavorata dichiarazione del Margherita. [p. 545 modifica] E si è tanto lavorato per dir tante manifeste menzogne che fanno vergogna a chi le ha dette, ed a chi le ha fatte dire. Ma dirá taluno: queste dichiarazioni sono tutte false da capo a fondo, e non c’è nulla di vero? No, c’è il vero in questa dichiarazione, ed in tutto il processo. Il vero lo ha detto il Catalano, il quale ha francamente confessato quello che ha fatto, non si è mai smentito, non è mai caduto in nessuna contraddizione, ha detto parole che spirano candore e veritá: ha detto sempre, che tutto era in progetto, che niente fu mai effettuito, che per mera millanteria, e per dar tuono alla cosa egli nominò persone riputate. Onde nasce limpido questo concetto: il Giordano ed il Sessa molto immaginarono, moltissimo parlarono, pazzamente operarono, e per acquistar credito ed importanza nominarono uomini conosciuti, inventaron consigli, comitati, riunioni, rivoluzioni: il Margherita allettato alle larghe promesse d’impiego e di protezioni, secondò le voglie e le suggestioni della polizia, diede come reale quello che era immaginario, ed aggiunse molto del suo a quello che aveva udito: la polizia vi diè l’ultima mano con le postille, il ricamo, la cornice. E questo ancora è il concetto generale che un uomo di senno deve formarsi di tutto il processo: ci sono fatti veri ma innocenti o lievi: la polizia col mezzo dei denunzianti li fa rei e gravi: ed istruisce i processi con odio e stizza di parte. Ed in prova di questo, nessun fatto ha turbato l’ordine pubblico, e la tranquillitá del popolo, quantunque in molti modi provocato. Questa setta stessa di cui si mena tanto rumore non si può comprendere che cosa sia veramente; ad ogni poco cangia scopo e cangia nome: or vuole serbar la costituzione, or pretende la costituente, or la repubblica: ora è comitato centrale, or alto consiglio, or setta di pugnalatori: in fondo v’è l’intrigo di alcuni pochi, la sciocchezza di altri, e la malignitá della polizia.

La corte criminale ha sentito che il detto Margherita non meritava piena fede, ed ha deciso bisognare altre pruove per confermare l’accusa contro alcune persone che il Margherita nominò, come il Pica, il Palomba, il Gargano, ed il Cuomo. Spero che la gran corte non crederá sufficiente per me quello che ha creduto insufficiente per altri: spero che l’odio cieco e tenebroso che ostinatamente mi perseguita si arresti innanzi al tribunale della giustizia.


Note

  1. Vol. 25, fol. 107.
  2. Vol. 25, fol. 52.
  3. Vol. 25, fol. 54.