Rime (Guittone d'Arezzo)/Altra fiata aggio già, donne, parlato

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Altra fiata aggio già, donne, parlato

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Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
Altra fiata aggio già, donne, parlato
Onne vogliosa d'omo infermitate Ora vegna a la danza


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XLIX

Esortazioni alle donne.


     Altra fiata aggio giá, donne, parlato
a defensione vostra ed a piacere;
ed anco in disamore aggio tacere,
ove dir possa cosa in vostro grato;
5ché troppo ho di voi, lasso, indebitato
non vostro merto giá, ma mia mattezza.
Onta conto e gravezza
onor tutto e piacer che di voi presi.
Non che ’l dico vo pesi;
10ma debitor son voi, ché fabricate
ho rete mante e lacci a voi lacciando:
di che merzé domando,
e prego vi guardiate ad onne laccio
ed a li miei più avaccio;
15ed io v’aiuterò com’io v’offesi,
se libere star, più che lacciarvi, amate.
     Donne, per donna, e donna e omo foe
sbandeggiato, deserto e messo a morte;
e donna poi fedel, benigna e forte
20parturio noi campion, che ne salvoe.
Unde donna, per este ragion doe,
e vizio in ira e bonitá in piacere
dea, via più d’omo, avere:
vizio odiar per Eva, vergognare
25de lei, per lei mendare,

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e bonitate amar tutta in Maria
e no mai col suo parto avere scordo,
né n’alcon ponto accordo
col serpente infernal che sodusse Eva.
30E no, s’io so, me greva
mostrare voi come possiatel fare,
pur che farelo voi greve non sia.
     Onne cosa è da odiar quanto ten danno;
vizio, da cui solo onne dannaggio,
35odiar dea del tutto onne coraggio
e ’n lui consomare amare affanno.
D’angeli demoni fece, und’hanno
di cielo inferno e di ben mal peroe.
Umanitá dannoe
40[ e mise a onta for di paradiso; ]
[ per lui fu Cristo ucciso; ]
infermitá angostia e guerra tutta
n’è sol per esso adotta;
e se non vizio alcun fosse, non male
45ma bene d’onne parte abonderea.
Quale danno terrea
se fere tutte, onne demonio, onne omo
fosse sovra d’un omo?
ma vizio aucise tutti a una sol botta
50de temporale morte ed eternale.
     Come non dir si po mal che peccato,
non dir potesi ben giá che vertute,
da cui solo ha giustizia onne salute,
como da vizio tutto è crociato.
55Solo è vertù de Dio lo grande stato;
in vertù fece e regge angeli ed omo;
regno cittá e domo
manten vertù; e solo essa è ch’onore
in om merita e amore;
60vertù de Dio ed omo un quasi face.
Unde perfetto conta Dio om tale,

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di sommo e d’eternale
regno fal reda e partel d’ogni noia,
sovrampiendol di gioia.
65Vertù è possession d’onne riccore,
lo qual non perde alcun, se non lui piace.
     Onne vizio com’onne mal fuggire
onne vertù seguir com onne bene
voi donque, donne mie, sempre convene;
70ma ciò che non vi vol nente fallire
è castitá, for cui donna gradire
non, con tutt’altre vertù, mai poria;
e castitate obria
e scusa in donna quasi ogn’altro mendo.
75Oh, che molto io commendo
donna che tene casto corpo e core!
Vivere in carne for voler carnale
è vita angelicale.
Angeli castitate hanno for carne,
80ma chi l’ave con carne
in tant’è via maggior d’angel, dicendo:
reina è tal, sponsata al re maggiore.
     Chi non pote o non vol castitá tale,
che ha marito overo aver desia,
85d’onn’altro casta in corpo ed in cor sia,
se tutto lei marito è desleale;
ché carnal vizio in om forte sta male,
ma pur in donna via più per un cento;
ché donna in ciò spermento
90face d’aver cor traito e nemico
di parente ed amico,
de marito, de se stessa e de Dio;
ché vergogna ed ingiuria a ciascun face,
unde sempre onta in face
95e doglia in cor chi più l’ama più tene.
Oh, quanto e qual n’avene
per diletto ch’è van brutto e mendico
odio, brobio, dannaggio ed onne rio.

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Molti ghiotti son, molti; ma nullo è tanto,
100che marchi mille desse in pesce alcono,
come donna dá quasi onne suo bono
in deletto d’amor mesto di pianto:
ché dolor più di gioia è loco manto.
Mira, mira, o madonna, che fai;
105per sí vil cosa dai
Dio ed amico; e loro e tuo gran pregio
torni in villan dispregio.
Ohi, quanto fòrate, donna, men male,
se l’amadore tuo morte te desse,
110che ben tal te volesse!
Ché pregio vale ed aunor più che vita.
Oi donna sopellita
in brobio tanto ed in miseria, aviso
che peggio’ d’onne morte è vita tale.
115 Merzé, merzé de voi, donne, merzede!
Non sembrante d’amor, non promessione,
ni cordogliosa altrui lamentagione
vi commova, poi voi tanto decede.
Ché bene vi poria giurare in fede
120che qual più dice ch’ama è ’nfingitore,
e dol senza dolore,
molto promette, e ha in cor di poco dare,
voi volendo gabbare;
e odio via più d’altro è periglioso.
125Ma se tutto, com dice, amasse forte
e se languisse a morte,
crudele essere lui pietade tegno;
se dar volesse un regno
più di veleno alcuno è da schifare:
130non che pregio e onor tolle amoroso.
     Conven con castitate a donna avere
umilitá, mansuetudo e pace:
figura mansueta non conface
orgoglio asprezza e odio alcun tenere.

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135Punger colomba ahi, che laid’è vedere!
Benigno cor, lingua cortese e retta,
che pace d’amor metta
in casa e fore, aver la donna dia;
ché vedere vilia,
140garrendo e mentendo e biastimando,
escir de donna, è tal, come se fele
rendesse arna de mele.
Vaso di manna par donna e de gioia:
come render po noia?
145Quasi candida roba e donna sia,
saggia, se ben denota onne, guardando.
     S’i’ prego voi da lor donne guardare,
prego non men che lor da voi guardiate:
non, per Deo, v’afaitate,
150ché laccio è lor catun vostro ornamento.
Ben dona intendimento
che vender vol chi sua roba for pone.
Caval che non si vende alcun nol segna,
né giá mostra che tegna
155lo suo tesoro caro om ch’a ladroni
lo mostri ed affazoni.
Donne, se castitá v’è ’n piacimento,
covra onestá vostra bella fazone.
     Ditt’aggio manto e non troppo, se bono:
160non gran matera cape in picciol loco.
Di gran cosa dir poco
non dicese al mestieri o dice scuro.
E dice alcun ch’è duro
e aspro mio trovato a savorare;
165e pote essere vero. Und’è cagione?
che m’abonda ragione,
perch’eo gran canzon faccio e serro motti,
e nulla fiata tutti
locar loco li posso; und’eo rancuro,
170ch’un picciol motto pote un gran ben fare.