Rime (Guittone d'Arezzo)/Non mi credea tanto aver fallato
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Prega la donna che lo tenga per leal servitore.
Non mi credea tanto aver fallato,
ca mi celasse mostrar so clarore
la rosa del giardino, a cui son dato,
4perder potesse per altrui furore.
Non so perché mi avvenga, isventurato!
Ché sopra me non fu mai servidore
d’amarvi, fresco giglio dilicato:
8nova ferita avi’ data al meo core.
Per Deo, vi prego, non siate altera;
poiché ’l meo core avi’ ’n vostro tenore,
11nol sdegnate tener vostro servente.
Non è ragion che lial servo pera:
se ciò avvien, gran falsitá fa Amore,
14lo quale nasce cotanto sovente.
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Amante disamato, è distrutto dalla pena.
Dolente, tristo e pien di smarrimento
sono rimaso amante disamato.
Tuttor languisco, peno e sto in pavento,
4piango e sospir di quel ch’ho disiato.
Il meo gran bene asciso è in tormento:
or son molto salito, alto montato,
non trovo cosa che m’sia valimento,
8se non com omo a morte iudicato.
Ohi, lasso me, ch’io fuggo in ogni loco,
poter credendo mia vita campare,
11e lá, ond’io vado, trovo la mia morte.
La piacente m’ha messo in tale foco,
ch’ardo tutto e incendo del penare,
14poi me non ama, ed eo l’amo sí forte.