Rime (Vittoria Colonna)/Sonetto XXXVII

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Sonetto XXXVII

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Sonetto XXXVI Sonetto XXXVIII


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SONETTO XXXVI


Morte col fiero stral se stessa offese,
   Quando oscurar pensò quel lume chiaro;
   Ch’ oggi è più vivo in Ciel, fra noi più raro,
   Ma al bel morir l’ immortal gloria accese.
Onde irata ver me l’ arco riprese,
   Poi vide essermi dolce il colpo amaro,
   Nè ’l diè; ma col morir vivendo imparo
   Cruda guerra con lei, strane contese.
S’ io cerco darle in man la mortal vita,
   Perchè di sue vittorie resti altera,
   Ed io del mio finir lieta e felice.
Per far nova vendetta, empia, inaudita,
   Mi lascia viva in questa morte vera,
   S’ ella mi sdegna, or che sperar mi lice?


SONETTO XXXVII


Appena avean gli spirti intera vita;
   Quando il mio cor prescrisse ogn’ altro oggetto,
   E sol m’ apparve il bel celeste aspetto,
   Della cui luce io fui sempre nodrita.
Qual dura legge ha poi l’ alma sbandita
   Dal grato albergo, anzi divin ricetto?
   La scorta, il lume, e ’l giorno l’ è interdetto;
   Ond’ or cammina in cieco error smarrita.
Soli Natura, e ’l Ciel con pari voglia
   Ne legò insieme; Ahi quale invido ardire,
   Quale inimica forza ne disciolse?
Se ’l viver suo nodrì mia frale spoglia,
   Per lui nacqui, era sua, per se mi tolse;
   Nella sua morte ancor dovea morire.