Rivista Minima, 1871/N. 1

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N. 1 - gennaio 1871

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Rivista Minima, 1871 N. 2

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RIVISTA MINIMA fascicolo i GENNAJO 1871



Lettori!

La Rivista Minima che oggi vi si presenta, è figlia naturale e legittima di quell’altra Rivista parimenti minima che, dopo aver vissuto tre anni onorevolmente, dovette soccombere alle vicende politiche e militari dell’anno milleottocentosessantasei.

Rileggendo le poche linee sovra esposte, mi compiaccio nel constatare che il periodo è abbastanza rotondo e sonoro, che la sintassi e la grammatica non lasciano desideri!, che in fine, quanto alla lingua ed allo stile, tutto è in perfetta regola.

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Qualcuno troverà forse a ridire sull’accozzo dei due epiteti naturale e legittima — E in verità, ora che ei rifletto, — debbo anch’io convenire che essi involgono una contraddizione — Un figlio naturale non può logicamente chiamarsi legittimo, e così ad un figlio legittimo non può applicarsi in vermi caso la qualifica di naturale — Starei quasi per aggiungere che un figlio legittimo rappresenta qualche cosa come un peccato contro natura.... Ma di ciò tratteremo gravemente a suo tempo, vale a dire in altro degli articoli del nostro gran Dizionario filosofico umoristico.

Questo gran Dizionario....

— In piedi!

— Che di nuovo?...

— Il curato monta le scale coll’asperges in mano.... Presto! È già entrato nella cucina e fra poco verrà qui per benedire il vostro gabinetto di studio....

Io mi affretto a nascondere sotto il tappeto i primi fascicoli del Dizionario filosofico umoristico. — Guai se il curato gettasse gli occhi sul frontispizio!.... Ah! questo Gran Dizionario dovrà tirarmene addosso, delle scomuniche! [p. 11 modifica]

Eppure: — quale sollievo nelle pratiche di religione! La benedizione del curato mi ha fatto bene al cuore.... Sta a vedere che vivendo in campagna io finisco col gettarmi in braccio al bigottismo...!

Fatto è che gli antichi lettori della Rivista Minima troveranno che, dal 1866 a questa parte, s’è operata in me una grande trasformazione. — A quell’epoca, tutti i miei scritti spiravano ateismo, e molti abbonati, se ben ricordo, mi rimandavano i fascicoli protestando — Ciò non avverrà più. — Fino ad oggi non oserei propriamente chiamarmi bigotto, ma sento che lo spirito religioso, di ora in ora, di minuto in minuto, va conquistandomi.

E qualche ragione ci deve essere... Vediamo un poco!... Mano allo scandaglio!... Sta a vedere che fu lui... proprio lui — quell’ottimo Re Guglielmo!

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Re Guglielmo?... La scusi tanto — imperatore, s’ha a dire — poiché la divina Provvidenza ne ha proprio fatto un Imperatore di quell’ottimo Re di Prussia — i titoli a chi vanno.

Dovrò io raccontarvi per filo e per segno tutta la gloriosa istoria?

Adagio un poco:

Che significa questa frase: per filo e per segno?

Lo sapete voi?

Io no.

Nemmen io.

So di averla letta in molti libri, generalmente stimati.

So di averla usata in più luoghi de’ miei scritti...

Ma, in nome di Dio, non chiedetemi cosa voglia dire.

Certo, essa costituisce un eccellente riempitivo per arrotondare i periodi, e serve anche a dimostrare che, pur vivendo in campagna, non abbiamo affatto obliato il linguaggio gaglioffo degli scrittori cittadini. [p. 13 modifica]

Oramai, la confessione m’è sfuggita.

Chi vorrà più abbonarsi, chi vorrà leggere la mia Rivista?

Uno scrittore di provincia... di campagna... Dite pure: di montagna — perocchè la mia casa è a mille e duecento metri al di sopra del livello del mare.

Ho sempre avuto — ve lo confesso — una certa mania di elevarmi. — Matematicamente parlando, posso dire che oggimai io mi trovo al di sopra di tutti gli scrittori contemporanei.

Se potessi persuadere i miei lettori che non è proprio necessario di vivere a Firenze, o a Napoli, o a Milano, o nella nuova capitale d’Italia, per avere delle idee!...

Se potessi convincerli che su queste alture solitarie lo spirito si dilata, le idee si moltiplicano, i giudizi! si riformano, le passioni si nobilitano; mentre, invece, laggiù (perdonate questo avverbio insolente ad un uomo che vi contempla dall’alto) — mentre, invece, laggiù, i cervelli meglio costituiti in poco d’anni si cretinizzano...

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L’anno scorso, al principiare del verno, mi lasciai vincere dalla tentazione — e scesi a Milano. Entrai al Caffè Martini alle dieci del mattino.. Porgiamo oreccchio! — vediamo di galvanizzarci al contatto delle discussioni cittadine!

C’era in campo una questione di altissimo interesse — una questione Bonola-Mongini-Brunello...

Tornai alla sera verso le nove — la conversazione ferveva animatissima...

Ed era ancora una questione Mongini-Brunello-Bonola...

Rientro nel Caffè a mezzanotte...

Gran folla — gran buggerio...

E dà capo... la questione Brunello-Bonola-Mongini...

Quando partii da Milano verso la fine di febbraio — vale a dire tre mesi dopo il mio arrivo — il gran tema delle conversazioni milanesi era ancora... Indovinate?

La questione Bonola-Mongini-Brunello...

È probabile che la mente di cert’uni si ritemperi e si fortifichi aggirandosi tutto l’anno in una o due polemiche di tale elevatezza... [p. 15 modifica]

Ma, io!...

Vi confesso che, tornando ai miei monti, quando i nomi di Brunello, di Mongini e di Bonola ebbero cessato di perseguitarmi, mi sentii meno ebete.

Va dunque senza dirlo che la mia Rivista, scendendo dalla montagna, non potrà intrattenere i suoi lettori di ciò che accade nei gabinetti privati’, nei sottoscala, nelle alcove o nei ghetti della città — ma soltanto di quello che si passa all’aria aperta, sulla vasta superficie del globo.

Voi mi crederete sulla parola, quando io vi dirò che la mia posizione geografica mi permette abbracciare, di codesta superficie del globo, uno spazio estesissimo.

I pedanti noteranno due gallicismi nel paragrafo precedente — Io li ho segnati di una lineetta e probabilmente verremmo stampati in corsivo acciò i pedanti si avvedano che non a caso mi sono permesso questa licenza.

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Ho voluto, col più semplice e più innocente dei mezzi, dimostrare le mie simpatie alla nazione francese.

Poichè ei siamo — tanto fa — dichiariamoci apertamente, francamente, lealmente...

E ben vero che i vecchi lettori della Rivista Minima sanno già come io la pensi in politica; ma i nuovi, quelli che non mi conoscono...!

Ah! sarei pure desolatissimo che anche per un solo istante qualcheduno mi credesse... prussiano!

Se vi dicessi ora che, simpatizzando pei francesi, facendo voti per la Francia, desiderando di tutto cuore che la grande nazione conservi la propria integrità, la propria grandezza, il proprio splendore... [p. 17 modifica]

Se vi dicessi che non ho cessato di guardar con occhio di simpatia anche... lui...

Qual dei due avrà passato meno male le feste natalizie?

Il Re, o l’Imperatore?

Per un’antica abitudine, io chiamo Re l’Imperatore di Germania, e chiamo Imperatore il prigioniero di Wilhelmshohe.

Qual dei due troverà meno amaro il suo panettone (supposto che a Natale essi mangino un panettone)?

Mio padre era un ex-militare del primo Impero.

Egli nutrì fino all’ultimo de’ suoi giorni una specie di culto per Napoleone; tanto che, alla vigilia della sua morte (parlo di mio padre) ho veduto delinearsi un sorriso sulle sue labbra, mentre io gli ricordava che l’indomani sarebbe il cinque maggio.

Certo la morte di Napoleone gli ricorse alla mente — e forse egli si consolava al pensiero di dover morire alla medesima data. [p. 18 modifica]

I vecchi superstiti delle battaglie napoleoniche amavano il caduto imperatore d’un affetto che pareva religione.

Quando si trovavano assieme a ragionare di lui, era ben raro che non si effondessero in lacrime.

Caduto, lo amarono davvantaggio.

Morto, lo adorarono — e forse ne attesero la risurrezione....

Non si può dire che q,uei vecchi uomini fossero volubili ed ingrati!

Ed oggi... quale spettacolo rivoltante! Quale volubilità di apprezzamenti, e sopratutto, quanta ingratitudine!

Ah! se io non ti conoscessi da un pezzo — mondo canaglia!

Se i miei occhi ed il mio cuore si volgono a Wilhelmshohe piuttosto che a Versailles — se il vecchio imperatore gode le mie simpatie a preferenza del nuovo, non vogliate [p. 19 modifica]dunque, o benigni lettori, accusarmi di debolezza o di codardia.

Non è un sentimento di riconoscenza verso l’uomo che nel 1859 mi ha fatto palpitare di entusiasmo col suo Proclama agli Italiani...

Dio me ne guardi! — un tal sentimento sarebbe imperdonabile...

Non è un residuo di ammirazione verso l’uomo di genio che resse per diciotto anni i destini di Europa, elevando la Francia evirata ed umiliata di Luigi Filippo al suo splendido posto di regina delle nazioni...

Una tale ammirazione sarebbe vigliacca.

Vi ho detto che sono figlio di un bonapartista — ecco il segreto delle mie simpatie...

Perdonatemi dunque — e compiangetemi.

Sì: compiangetemi! perchè dai possenti caduti c’è poco da sperare — e fortunati coloro che canteranno l’apoteosi del Re di Prussia!

Badate bene, signori autori drammatici! Se le vostre produzioni vi hanno acquistato una bella fama — badate bene!

Al vostro primo fiasco; amici, parenti, giornalisti, colleghi vi volgeranno le spalle... [p. 20 modifica]

Oblieranno i vostri successi...

Diranno che i vostri drammi più applauditi erano sfacciate rapsodie...

Che la vostra fama era usurpata...

Che il vostro talento era una mistificazione...

La stampa vi aggredirà da tutti i lati...

Le lettere anonime, gli epigrammi, i libelli si introdurranno per le porte e per le finestre nel vostro domicilio, ad amareggiarvi il desinare, a turbarvi i sonni...

Figuratevi cosa vi accadrebbe... se invece di esser autori drammatici, foste imperatori!

A proposito di Imperatori.

Pochi giorni sono il telegrafo ei annunziò succintamente la morte dell’imperatore.... del romanzo.

Alessandro Dumas non è più — rimangono di lui oltre due mila volumi.

Quanto ingegno! qual prodigio di fecondità!

E forse, fra una ventina d’anni, il nome di questo prodigioso creatore di fantasticherie, appena verrà ricordato!

L’apoteosi della immortalità non è dunque concessa ai romanzieri?

Tutto ciò che si produce nel nostro secolo è dunque inesorabilmente condannato a perire? [p. 21 modifica]

Ecco due questioni che domandano un serio sviluppo.

Io non mancherò di esaminarle seriamente dopo le digestioni del Natale.

Era egli (parlo ancora dell’autore del Montecristo e dei Moschettieri) il più simpatico tipo della specie umana.

Il suo cervello era una macchina a vapore — scriveva colla rapidità del telegrafo.

Riassumeva, nel suo genio, nel suo carattere, nel suo modo di vivere, il genio, il carattere, l’attività febbrile della Francia.

All’età di cinquant’anni, era entusiasta come i nostri giovani non lo sono più a diciotto — ingenuo come un fanciullo e buono... generoso... come...

Il confronto mi vien meno — Egli era buono e generoso come... nessuno.

Scriveva quattordici ore al giorno — e quando non scriveva, nessuno era meno letterato di lui.

Quale esempio per certi amici nostri, che al caffè — al teatro — al passeggio — dal parrucchiere.... dapertutto si danno a vedere letterati, fuorchè nei loro scritti. [p. 22 modifica]

Fu accusato di blague...

Le effervescenze spontanee del suo temperamento; quella esuberanza di vita die non poteva affievolirsi nè anche per l’abuso incessante della produzione, si manifestava in ogni suo atto...

Quella che taluni, mal conoscendolo, chiamavano blague — non era in lui che la schietta, espansiva, cordiale manifestazione di tutto sè stesso.

A Milano, nel 1860, Dumas intervenne ad un magnifico ballo nelle sale della Società del Giardino. A quel ballo assisteva Vittorio Emanuele. Una dama veneziana, vestita a lutto, si getta improvvisamente sui passi del Re, per presentargli in un simbolico mazzo di fiori, le preghiere ed i pianti della oppressa sua provincia.

A quella scena, Dumas non potè trattenere le lacrime...

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Egli raccolse da terra una viola che si era staccata dal mazzo — la baciò più volte con enfasi esagerata — se la pose sul cuore — e fuggi dalla sala piangendo...

All’indomani, riportando quell’episodio, uno dei nostri giornalisti crostacei esclamava con sussiego: che pagliaccio!

Vedete come le mummie sentenziano!

Temperiamo i nostri entusiasmi; mettiamo un freno alle espansioni del cuore...

In caso contrario, passeremo per buffoni.

Nell’anno 1850, Alessandro Dumas versava in una insolita crisi di strettezze finanziarie. I creditori (gentaccia, in ogni paese) lo vessavano siffattamente ch’egli aveva dovuto emigrare dalla Francia per guarentire la propria indipendenza personale sovra il territorio neutro di Bruxelles.

Contuttociò, profittando delle indulgenze del Codice, alla domenica l’illustre romanziere veniva a passare in Parigi le sue ventiquattro ore.

Una mattina, ebbi la buona ventura di vederlo entrare in un piccolo caffè nel quartiere di Breda, dove io stava facendo la mia colazione al prezzo di settantacinque centesimi.

Un giovanotto dal soprabito artisticamente sdruscito si [p. 24 modifica]avvicina all’autore del Montecristo, e senza darsi pena di misurare la voce perchè i circostanti non comprendano, si fa a narrare una odissea di sventure...

Era un autore di calembourgs licenziato dal Tintamarre... Non avea pane per nutrire una madre ed una sorella... In breve, domandava una piccola sovvenzione.

— Fratello di sventura! — esclamò Dumas con accento tragico-faceto. — Ho i denari contati per tornare a Brusselles questa notte... e guai se l’alba del lunedì mi sorprendesse a Parigi...

L’altro faceva i grand’occhi, ma pure esprimeva collo sguardo la più completa fiducia.

Si vedeva che quell’autore di calembourgs conosceva perfettamente il generoso carattere del romanziere per averlo altre volte messo alla prova.

Dumas rifletté un istante — poi, dando un pugno sul tavolino: Eureka! gridò al garzone del caffè: «Portami l’occorrente per scrivere!» Immediatamente, Dumas fu servito.

In un lampo, egli copri di parole un mezzo foglietto di carta e vi appose la propria firma.

E consegnando il manoscritto al giornalista:

— Or va nella contrada tale, al numero tale... Chiedi del signor Ducrot negoziante di curiosità, offrigli questo autografo, e ne avrai venti franchi perlomeno... Diamine! — esclamò poscia ad alta voce — che un autografo di Alessandro Dumas non debba valere venti franchi!!! [p. 25 modifica]

— Non meno del doppio! rispose il giornalista, ringraziando collo sguardo e col gesto.

E ripose l’autografo nell’esausto portamonete, dopo averlo religiosamente piegato come fosse un biglietto di banco.

Si vuole che Alessandro Dumas abbia guadagnato da dieci a dodici milioni coi prodotti della sua penna.

Probabilmente, morendo, non lasciò la croce di un quattrino ai suoi eredi legittimi.

Come lo invidio!

— Pei milioni che ha guadagnati?

— No — pei milioni che ha speso.

Questo ingegno straordinario ha speso tutto sè stesso...

Negli ultimi mesi della sua vita, il suo cervello si trovò affatto vuoto di idee come la sua cassa di biglietti di banco.

Fortunato! — egli non vide l’approssimarsi della morte...

Non vide forse (e questa fu massima ventura per lui) l’invasione straniera trabordare sulla patria. [p. 26 modifica]

Morale: Lavoriamo indefessamente e procuriamo di esaurirci in tempo utile. L’ebetismo, negli ultimi mesi della vita, ei sottrarrà a questa orrenda conclusione che tutti i nostri sforzi per migliorare la società e condurla al benessere sono opera vana.

La guerra! sempre la guerra!

Vi siete mai provati a calcolare, a misurare tutta la estensione del disastro?

Avete mai tentata approssimativamente la addizione numerica delle vittime?

Quanti morti sul campo! quanti feriti! quanti abbominii! quanti furti! quante rovine! quanti stupri! (meno male! questi almeno offrono un lato piacevole) quanti dissesti commerciali! quale spostamento nell’intero universo!

Sì: lo ripeto: nell’universo!

Non è solamente la Francia, non è la Prussia che soffre — è tutta l’umanità.

Difficilmente troverete nel mondo un individuo — dico [p. 27 modifica]un solo individuo — il quale non lamenti qualche grave pregiudizio recatogli dalla guerra attuale...

Cominciate pure dal Vicerè di Egitto, dal più ricco, dal più potente fra i principi...

Egli si era prefisso di gustare nel prossimo febbraio le primizie di una musica di Verdi...

Alto là! — il signor Moltke ha sequestrati i scenarii e gli attrezzi della nuova opera, e minaccia di annichilirli col bombardamento...

Maledetta la guerra! — gridava giorni sono una voce sotto le mie finestre.

Ecco un filosofo umanitario! — scendiamo ad abbracciarlo.

Ma se invece di un filosofo umanitario, egli fosse un commerciante di seta che deplora nella guerra l’arenamento de’ suoi affari?...

Conviene accertarsi. [p. 28 modifica]

— Galantuomo! gli grido dalla finestra — siete voi un negoziante di seta?

— Signor no — sono un piccolo possidente di Valassina...

— Tanto meglio... la perdoni... scendo da lei... sarò lietissimo di stringere la mano ad un uomo di pace...

Discendo.

— Ella dunque?...

— La si figuri se io non ho ragione di maledire la guerra — Ho girato tutte le farmacie del circondario per procacciarmi una scatoletta di pillole De-Haut — un rimedio efficacissimo per promuovere.... per promuovere...

— Conosco gli effetti delle pillole De-Haut — non serve ch’ella si dia tanta pena per trovare una frase profumata.

— Orbene: dacchè la Francia fu invasa dai prussiani, impossibile trovare presso i nostri farmacisti una scatoletta di quelle pillole onnipotenti...

Ecco un uomo che morrà di stitichezza a Lesnigo, per la ostinata efferatezza del signor Di Bismarck.

E frattanto, sul così detto tappeto della diplomazia si dibattono sei questioni che potrebbero convertirsi in altrettante guerre...

La quistione dei trattati 1856, [p. 29 modifica]

La questione del Lussemburgo,

La questione romana,

La questione del Principe di Hohenzollern,

La questione dell’impero germanico,

La questione... del Prosciutto di S. Daniele.

Non oggi — a suo tempo — quando avrò in mano i relativi documenti — tratterò io ampiamente quest’ultima questione — Delle altre si occuperanno le grandi Riviste.

Per oggi, mi basta avvertire i miei lettori che una questione Prosciutto, e più precisamente, Prosciutto S. Daniele, è uscita in campo alla vigilia di Natale.

Molte persone stimabilissime di mia intima conoscenza hanno ricevute delle scatolette, perfidamente intestate di Prosciutto e ripiene di sabbia.

Il maximum del carcere a vita sarebbe pena inadeguata al delitto di questi infami falsificatori!

Profitto dell’incidente, per ringraziare i parenti e gli amici dei copiosi doni natalizii che si piacquero inviarmi.

Potrò io digerire tutta questa roba? [p. 30 modifica]

Spero che sì — ho lo stomaco forte...

Una sola cosa non potrò mai digerire — i prussiani e i patés di Strasburgo.

Decisamente i Patés di Strasburgo godono di una riputazione usurpata.

A mio gusto, non v’è cosa più nauseante e più antipatica....

Forse questa mia avversione, questo disgusto insormontabile deriva da cagioni morali elevatissime...

Sapete voi come si ottengano i grassi fegati d’oca che costituiscono il principale elemento di un paté di Strasburgo?

Si prende un’oca viva — la si inchioda per le membrane delle zampe ad una tavola di legno, in guisa ch’ella non possa più muoversi...

Il povero animale, contristato dalle difficoltà della sua situazione, diventa in pochi giorni melanconico e taciturno... Egli mangia per istinto di conservazione — ma in luogo di espandersi al resto dell’organismo, il chilo gli si porta di preferenza alle regioni del fegato, ingrossandolo lentamente di una costruzione morbosa...

Ecco come si formano i grandi fegati per il paté!...

Ecco di qual lenta e orribile morte periscono a Strasburgo migliaia e migliaia di oche innocenti...

Quella città meritava il bombardamento prussiano. [p. 31 modifica]

I signori Strauss e Mommsen, che hanno scoperto nelle buffonate di Offenbach e nei romanzi di Ponson de Terrail il segreto del decadimento morale e della debolezza della Francia, hanno obliato il martirio delle oche.

Se sapessi per qual via si possa introdurre un commestibile nel castello di Wilhelmshohe, vorrei mandare un grandioso panettone all’Imperatore.

E vorrei accompagnare quel panettone di una lettera, per far sapere al prigioniero che fra i duecentomila cittadini milanesi che lo acclamavano liberatore e salvatore nell’anno 1859, ve n’ha ancora uno il quale non ha obliato il benefizio...

Questo primo fascicolo di Rivista Minima non è che una prefazione...

I miei lettori se ne sono accorti senza dubbio, vedendomi [p. 32 modifica]sfiorare dei gravi argomenti con una leggerezza che i pedanti chiameranno imperdonabile.

Oso però credere che lo scopo della prefazione sia raggiunto. Io voleva mostrare che la Rivista minima sarà un giornale sui generis, il quale farà di tutto per non assomigliare ad alcun altro.

Molte altre cose io voleva mostrare.... Ma se i lettori non mi hanno capito, oggi non mi sopravanza più spazio nè tempo per farmi capire.

Amerei nullameno che a tutti riuscisse evidente come io abbia ferma intenzione di non entrare giammai nella personalità e nelle polemiche...

Un tal proposito ho voluto esprimere allorquando ho avvertito i miei lettori che la mia posizione attuale si trova ad una elevatezza di parecchie centinaja di metri sopra il livello del mare.

Dall’alto di questa posizione io veggo l’universo, ma le individualità mi riescono quasi impercettibili.

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Tutte le volte che io mi sentirò assalito dalla tentazione di provocare o di ribattere una polemica — sapete che farò?

Quello che faccio ora.

Metterò assieme delle Sciarade, per calmare le mie effervescenze... e le vostre.

I.


Cibo magro è il mio primiero,
     Cibo magro è il mio secondo,
     Cibo magro è pur l’intero.


II.


Avvien di raro che il mio primiero
     Ottenga laurea, diventi intero,
     Ma è più difficile trovare al mondo
     Un mio totale che sia secondo.


III.


Metà d’anni è il primier, freddo è il secondo,
     Spazia l’intero in ignorato mondo.

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Il primo abbonato di Milano alla Gazzetta Musicale che indovinerà tutte tre le Sciarade del presente Fascicolo avrà in premio:

UNA TORTA

della rinomata Offelleria Cova


Il primo abbonato delle provincie che scioglierà tutte tre le Sciarade avrà in premio uno fra i seguenti pezzi a sua scelta:

Luisetta. Polka per Pianoforte di Giovanni Strauss.

Fior d’Alpe. Mazurka per Pianoforte di Marco Sala.

L’Eco. Notturno per due Soprani di A. Bazzini.

Vorrei. Canzonetta per Mezzo-Sop. o Bar. di F. Campana.

La Preghiera. Romanza senza parole per Violino con Pianoforte di D. Sivori.

Godetevi la vita. Valzer per Pianoforte a quattro mani di Giovanni Strauss.


Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI.

Galli Giuseppe, gerente.