Rubin e il problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione/Capitolo 2

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La teoria marxiana del valore-lavoro

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Capitolo 1.1 Capitolo 2.1

La premessa sociologica del marxismo

Secondo Rubin “il carattere distintivo della società mercantile è che in essa la produzione è regolata e determinata da produttori di merci indipendenti” (ivi, 7), proprietari dei mezzi di produzione che adoperano e legittimi possessori dei prodotti del lavoro; non sono soggetti ad alcun piano di produzione (come invece lo sono gli operatori all'interno di una fabbrica o azienda) e sono organizzatori autonomi della loro attività economica. Rubin specifica che essi non sono produttori di semplici oggetti utili1, ma di oggetti utili agli altri. Se un oggetto non è alienabile, non è scambiabile con altri, non è merce. I soggetti economici sono quindi solo apparentemente “indipendenti e autonomi organizzatori della loro attività”, esclusivamente nella misura in cui i loro prodotti risultano scambiabili con tutti gli altri, acquistando così lo status di merci, il lavoro del produttore quello di lavoro parte del lavoro sociale complessivo e dunque dal punto di vista qualitativo lavoro socialmente equiparabile a tutti gli altri (sebbene in proporzioni quantitative diverse). Merci giudicate dal mercato “non utili” non sono merci e il lavoro che le produce non è lavoro sociale. Al più possono essere regalate o consumate dal produttore stesso2, ma non possono essere vendute: sono valori d'uso, ma non anche valori di scambio e quindi merci.

Rubin spiega così che il produttore di merci deve dunque fare continuamente i conti con il mercato, potendolo influenzare solo con i suoi prodotti3 da cui gli altri dipendono, ma essendone lui stesso continuamente influenzato, dipendendo a sua volta dalle merci degli altri. Nell'atto di scambio equiparano i prodotti del loro lavoro come valori, attribuendo cioè alle loro merci un valore in denaro espresso come equivalente di tale valore4. Tuttavia - essendo spinti nella scelta dell'attività produttiva esclusivamente da calcoli di maggior vantaggio economico - nelle equiparazioni dei loro prodotti essi finiscono indirettamente per equiparare i loro lavori; non coscientemente come equiparazione sociale di due lavori che sono parte del lavoro sociale complessivo in vista della produzione materiale di cose, ma indirettamente per mezzo delle cose (ivi, 13):


“Gli uomini dunque riferiscono l'un l'altro i prodotti del loro lavoro come valori, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto come puri involucri materiali di lavoro umano omogeneo5. Viceversa. Gli uomini equiparano l'un con l'altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando, l'uno con l'altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno.” (Marx 1964, 106)}


Rubin specifica che ai possessori di merci all'atto dello scambio interessa esclusivamente trarre il maggior guadagno possibile dalle merci prodotte del loro lavoro, di cui dispongono e che vogliono alienare ad altri; non conoscono quale sarà l'utilizzo e il destino degli oggetti che hanno venduto e non li interessa. Ma è solo attraverso questo scambio che i produttori possono entrare in contatto tra loro per perpetrare o modificare la produzione sociale, e in nessun altro modo: i rapporti di produzione nell'economia mercantile assumono la forma della compra— vendita di merci. I rapporti tra persone - rapporti di produzione tra i soggetti economici - sono così mascherati da rapporti tra cose6:


“I lavori privati si effettuano di fatto come articolazioni del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni sociali nelle quali lo scambio pone i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra cose.”(ibidem).


Sulla base di ciò Rubin spiega come Marx abbia dimostrato non solo e non tanto che i rapporti di produzione mercantili appaiono sotto la forma di rapporti tra cose, ma che in ogni società basata sui presupposti di quella mercantile (produzione sociale - appropriazione privata) questi rapporti hanno la necessità di apparire in tale forma. È solo nell'atto dello scambio che i produttori possono entrare in contatto tra loro nel processo sociale di produzione (di cui non hanno conoscenza e non gli importa di averla), anche se lo fanno attraverso il “feticcio” del valore della merci.

Ed è certamente difficile - se non impossibile - trovare o anche solo immaginare un elemento o caratteristica materiale comune tra oggetti che sono valori d'uso completamente differenti7. Eppure sul mercato merci molto differenti per caratteristiche fisiche e per utilità materiali sono continuamente equiparate tra di loro e, nello stadio della società dello scambio generalizzato e della divisione del lavoro, per mezzo dello scambio tali merci vengono tutte equiparate alla merce equivalente universale: a una somma di denaro che affianca e si attacca alle proprietà fisico-naturali dei prodotti divenuti merci come espressione di valore (ivi, 102). Secondo Rubin è questo l'unico modo in cui la società mercantile può mettere in contatto i produttori autonomi e regolare la distribuzione del lavoro sociale complessivo, poiché solo nello scambio e attraverso il feticcio del valore di scambio i produttori sono spinti a modificare o cambiare la loro produzione:


“Solo all'interno della scambio reciproco i prodotti di lavoro ricevono un'oggettività di valore socialmente uguale, separatamente dalla loro oggettività d'uso, materialmente differente” (ivi, 105).


I molteplici lavori privati non possono presentarsi e relazionarsi l'uno all'altro se non sotto forma reificata, oggettivata in merce. Ma la relazione tra merci non può avvenire che per mezzo del valore, che dunque funge da “cinghia di trasmissione” fondamentale della produzione atomistica mercantile (Rubin 1976, 66).

Note

  1. Per “oggetti” intendiamo qui sia beni che servizi d'ogni genere.
  2. Un oggetto, anche se non è merce e quindi non possiede la caratteristica della scambiabilità, è pur sempre un valore d'uso.
  3. Nel modello di società mercantile di Rubin i produttori possono incidere sul mercato e sulla divisione sociale del lavoro solo attraverso le cose, i prodotti che vendono, e mai per le loro eventuali caratteristiche personali o a causa dell'appartenenza a ceti o corporazioni. Esso è un modello basato sostanzialmente sui presupposti più tipici del pensiero economico moderno e classico.
  4. La forma di denaro è l'ultima forma di valore analizzata da Marx (1964, 102) nel Capitale come semplice espressione in denaro (oro o cartamoneta) della forma di valore dispiegata in cui ogni merce particolare viene socialmente equiparata quantitativamente a una merce equivalente generale, che funge da espressione del valore delle merci ad essa equiparate. Cosa “crea” questo valore di scambio manifestazione fenomenica di qualcos'altro (ivi, 86) è oggetto di studio del prossimo paragrafo, dedicato alla teoria del valore vera e propria.
  5. Cioè, aggiungiamo noi, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto come lavoro socialmente equivalente reificato in merci; infatti nella società mercantile non esiste alcun piano della produzione sociale ed è impossibile per chiunque conoscere l'equivalenza sociale di due lavori se non attraverso l'uguaglianza del valore dei rispettivi prodotti.
  6. E ciò avviene, secondo Rubin, anche in forme più complesse di società mercantile, come il capitalismo: i rapporti di produzione tra strumenti di lavoro (divenuti capitale) e lavoro umano (che ha assunto la forma di merce) si presentano con la veste reificata dello scambio di merci: salario contro forza-lavoro da alienata al capitale.
  7. “Finora nessun chimico ha ancora scoperto valore di scambio in perle o diamante.” (ivi, 115).