Saggi poetici (Kulmann)/Parte terza/Teocrito

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Parte terza - Teocrito

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TEOCRITO


LA MADRE E LA FIGLIA

La Figlia
Mira quel grande ed alto
     Augel, che solitario
     Presso al Nilo cammina!
     Ha smisurato il rostro,
     5E gli pende lunghissima
     Sotto a quello una tasca;
     Sono rosati i piedi,
     E come bianco vetro
     Splende il candido dorso.
     10Dimmi, o madre, ten priego
     Come l’augel si nomi.
La Madre
Pellicano.
La Figlia
          Ed or dimmi,
     Perchè mai piangi, o madre?
La Madre
15Senza piagner non posso
     Scorgere quell’augello.
     Non conosce riposo
     E a pro de’ figli suoi
     Sempre vigile il trovi.
     20Quel suo paterno amore
     Mi rammenta mai sempre
     Il padre tuo che è spento.
     Ora che il sol tramonta,
     Pronto tu il vedi correre
     25Onde recare ai figli
     Il povero alimento
     Che nel giorno raccolse.
     Quando il desir di cibo
     E di bevanda è spento
     30(Che sollecito ancora
     Acqua lor reca al nido),
     Ei la fame e la sete
     Cogli avanzi del lieto
     Loro pasto tranquilla.
35Quanto tua vita fora
     Molto più lieta, o figlia,
     Se il padre tuo vivesse?
     Negli affanni e nel duolo
     L’allegrezza perdetti
     40Dell’etade più fresca;
     E quanta brama io m’abbia
     Dividere con teco
     Quella gioja, che agli anni
     Teneri tuoi conviene,
     45lo nol posso: chè i tetri
     Miei pensieri trascorrono
     Mio malgrado il futuro.
     Priva ti veggo allora
     Per fin della sollecita
     50Madre, timida, errante,
     Senza tetto ospitale,

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     Ed in seno a cittade
     Popolosa ed immensa
     Abbandonata e sola.
     55T’empiono, o figlia mia,
     Le mie meste parole
     Innanzi tempo gli occhi
     D’amarissime lagrime,
     Ma non volendo io deggio
     60Farti mirar d’appresso
     Un avvenire incerto,
     Onde il tuo cor non ceda
     Al terror non atteso
     Di mia subita morte.
     65Sempre, o figlia, rammenta
     Ciò che dirti vogl’io:
     Il fato mio qual sia
     Sempre sarà conforme
     Al provido volere
     70De’ benevoli Numi.
     Se nell’etade tenera
     Privano de’ parenti
     Un misero fanciullo
     È manifesto segno,
     75Ch’essi di propria mano
     Voglion condurlo ad alta
     Salda prosperitade.
     Abbi fiducia in loro.
     Se la spoglia materna
     80Miri un giorno privata
     Di calore e di moto,
     Non disperare! Asciuga,
     Dopo il primo dolore,
     Le tue lagrime, a quella
     85Che ti amava dovute,
     E va piena di speme
     Alla città reale,
     Ch’ora il sol tramontante
     Ai nostri occhi dinanzi
     90D’alto splendor riveste.
     Giuntavi, tu domanda
     A chi che sia la stanza
     Real di Berenice:
     Ch’ogni fanciullo puote
     95Accennartela tosto.
     Quanti la servon, tutti
     Compassionevol sono;
     Più vicino le stanno,
     Più generosi sono:
     100Ed il primo è lI migliore,
     «Che brami, figlia mia,»
     Egli domanderatti.
     Senza timor rispondi:
     «V’ha molti anni, perdei
     105Il genitor guerriero;
     Oggi perdei la madre;
     Me conduci, ten priego,
     Dall’alta Berenice!»
     Egli senz’indugiare
     110Condurratti da lei.
     Se innanzi a lei la tema
     La favella ti toglie,
     Di compianto sincero
     Indubitati segni.
     115Non rimirar la pompa
     Onde vestita sia:
     Ella se n’orna a forza.
     Tu le guarda con fede
     Fanciullesca negli occhi,
     120E crederai mirare
     Di tua madre negli occhi.
     Ella forse sul tuo
     Capo la man ponendo
     Diratti: «Tergi il pianto,
     125A te madre son io!»
     Queste parole udite,
     Mesta, ma pur tranquilla,
     Traverserò le negre
     Inevitabili onde
     130Del tenebroso Stige.


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L’INAUGURAZIONE

Il Viaggiatore
     Là sull’estrema occidentale foce
Del Nil che, quasi mar, le sue superbe
Sette braccia congiunge al mar Tirreno,
La città d’Alessandro altiera s’erge,
5Quale sul trono un Re, Le cinge Aurora
La fronte augusta con aurato serto,
Purpureo manto l’ampie spalle involve:
Mentre tacito e cheto il salso flutto
Riverente lambisce il regio piede.
10E rotto il velo ai mattinal vapori,
Il Serapico tempio qui discuopri,
E là il palagio immenso e l’aurea tomba
Del divin fondator della cittade.
E con egual stupor or li vegg’io,
15Quali li scorsi per la prima volta,
Che giovin viaggiator venni in Egitto;
Ma non attraggon già lo sguardo mio
Al par di questa grandïosa mole,
Che qui non vidi ne’ passati tempi.
20In sè aduna quest’opera ammiranda
Greca beltà con Egizia grandezza,
Qui rasserenan le ridenti Grazie
D’Iside mesta la rugosa fronte.
Quale vaga turba di giovanetti
25Che ogni anno al rieder del fiorito aprile
Sulle leggiere spalle porta di Oro
L’alma immago di viole coronata
In fra la densa adoratrice folla;
Così sostien questo vezzoso cerchio
30Di colonne Corintie l’alta cima.
Orna l’acanto i vaghi capitelli,
Ornano il fregio le dodici stanze
Dello splendente Sol padre dell’anno.
Sulla cornice maestosa ardita,
35Sorge sublime cupola azzurrina
Vaga rivale dell’eterea vôlta.
Ivi l’occhio, fedele indagatore
Delle serene notti, ivi ravvisa
Ogni constellazione ed ogni stella:
40Quali in ceruleo mar isole d’oro,
Brillanvi tutte del notturno cielo
L’alme figliuole dalla flava chioma.
L’Indigena
     Contemplar quest’impareggiabile opra
Gran tempo è già che li osservo, o straniero;
45E confessarlo io deggio, niun di noi
Figli d’Egitto, mai qui muove il passo
Senza fermarsi involontariamente
A questo tempio, che non ha l’eguale.
Ridirotti, se il vuoi, quel che ne disse
50Antichissimo vecchio, ripetendo
Ciò che fanciullo udì dall’avo antico:
«Tradizïon che ’l padre al figlio lascia,
E volgono or più secoli, ne insegna,
Che questo tempio appunto rassomiglia
55Meravigliosamente a quel del Sole,
Di che Eliopoli antica si vantava.
E dopo trecent’anni appien compiti,
Un augello che in forma ed in bellezza
A null’altro cedea nell’orbe intero,
60A quel tempio venía dai lidi Eoi,
Negli artigli portando i scelti aromi,
Ch’ei negli Arabi campi misteriosi
Attraversando rapido, cogliea.
E giunto, intorno al tempio egli volava
65Ben sette volte con immenso giro,

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E a poco a poco alfin calando il volo,
Di quel sull’aurea cima egli posava.
Un olezzante rogo ivi formato,
Con l’ali chiuse sovra quel siedea,
70E al ciel rivolta la purpurea testa
Tranquillamente vi tenea lo sguardo,
Così attendendo la vicina morte.
L’astro del giorno appena era nel sommo
Della vôlta celeste, e giù i torrenti
75Piovea di foco, che tosto il sublime
Rogo infiammava e sorgea dalle calde
Ceneri — nuova splendente Fenice.
Ma irato Nume con tremende scosse
Distrusse un dì quel maestoso tempio.
80Cuoprono il suol gli immensi e vaghi avanzi.
E scorso il tempo ritornò l’augello
Al l’istesso recinto. E non veggendo
Nè tempio nè città, gemendo e mesto
Rivolò tosto verso i lidi Eoi,
85E i monumenti tutti dell’Egitto,
Abbenchè immensi, bassi gli sembraro.
E questo tempio che tu vedi è appunto
Simile a quel che rovinò già il Dio.
     L’eresser le Arti con amica mano,
90Tutte correndo alla medesma meta.
Oggi fia noto a qual de’ Numi è sacro.
Stan nel recinto suo ben cinque altari
Di roseo marmo tutti, ma sovra essi
Cerchi invano finor immago sacra.
     95Mira, straniero, come l’ampia valle
E ambo le fila de’ vezzosi colli,
Che la costeggian, ricoperte or sieno
Da innumerevol turba, che raduna
La sacra cerimonia: e il nuovo sole
100Appena sorgerà, de’ cittadini
La processione augusta tu vedrai
Dal lato d’orïente entrar la valle:
E non temer, che l’aspettar fia breve.
Già cominciano l’onde ad indorarsi.
105Ecco del sole il luminoso cerchio
Spuntar dall’acque!.. Ascolta!.. Non m’inganno,
Danno il cenno le trombe... Ecco gli araldi
Tutt’auro e argento, preparar la via!
Ecco il cenno secondo!... Andiam, straniero,
110Sovra la cima del colle coperto
Di palme ombrose: là vedrem la valle
Tutta spiegarsi: or odo il terzo cenno,
Che della marcia il cominciar ne annunzia.
Il Viaggiatore
     Dimmi tu, nato in questa terra, dimmi,
115Che è l’alta mole che sul mar s’innalza?
La prima volta, che l’Egitto io vidi
Ovunque discoperta era la spiaggia.
L’Indigena
     Oh fortunato chi l’orror non vide,
E i danni che l’irato mar qui addusse!
120Da truci venti, straripò, commosso»
Con sibilanti ammonticchiati flutti,
E colla valle ricopriva i colli.
Quelli dal mar lontani australi monti
Ne formavano allor la nuova sponda.
125Qui lo Spavento, lo sguardo impietrito,
E là l’Orrore, rabbuffato il crine,
Qui le grida di chi lotta con morte,
E il gemer tronco di colui che spira!
Ma vedi, spuntan già le prime schiere.
— —
     130Vaghi fanciulli in tenerella etade
In rosea veste e di be’ nastri adorni,
Appajon primi, candide guidando
Agnelline, anch’esse di nastri adorne.
Carca la chioma di bell’alga siegue
135Stuol di garzon, che sulle gaje spalle
Recan picciola barca variopinta,
Sovra cui stanno disciolte le vele,
Gli aurati remi, e le diverse reti.
Or vedi come dolcemente fieri
140Seguon gli arditi giovinetti lieti,

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In una man la freccia, in l’altra il fido
Arco lucente e sugli omeri larghi
La gravida faretra rimbombante,
E sovra il capo vaga piuma scherza.
145Ecco i robusti domator de’ campi,
Del bosco ombroso, e del lurido stagno.
Nelle mani lor brillano l’aratro,
L’industre marra e la secura falce,
La scure inesorabile e severa.
150Sieguon le madri venerande e pie
Colle figliuole, che in ceste leggiadre
O in ampie tazze recano le messi,
Che Cerere e che Bacco a noi comparte.
E come rose mezzo-aperte al sole
155Che fan palese la beltade ascosa,
Ora si mostra timido drappello
Di giovani donzelle in vestimenta
Più bianche assai della cadente neve.
Esse formano un serto, in mezzo a cui
160Le più robuste recano a vicende
D’Iside Mirionoma1 il simulacro:
Cantano, intanto in armonioso coro ’
L’altre le lodi dell’eccelsa Diva.

     O Diva, ascolta il canto
          165De’ nostri grati cori,
          Mentre con l’arti dài
          A noi felicità.

     Barbaro l’uomo egli era,
          Quasi alle belve eguale;
          170Sovra il creato ei solo
          Con l’arte s’innalzò.

     Con l’arte ei la capanna
          E il focolare eresse:
          A lui fra breve servo
          175Si sommette l’agnel.

     Tosto nel suo battello
          Egli sfida onde e venti,
          E l’augel fra le nubi
          Giugne col ratto stral.

     180Tu gli desti l’aratro
          Ed i semi fecondi:
          Bacco gli diè la vite,
          Ercole i pomi d’or.

     Le famiglie s’unirono,
          185E formâr le borgate:
          S’uniro le borgate
          E nacquer le città.

     Qui la magion di Giove,
          Là di Temide sorse,
          190E tosto a lor d’intorno
          Ogni arte si riunì.

     Tu benigna ricevi
          Le loro offerte, o Diva,
          Tu su tappeti, ch’esse
          195Tessero, poni il piè.

     Fregiati l’almo seno
          Il cinto che ti diero,
          Cuopreti l’alma testa
          Un lor prezioso vel.

     200O Diva, ascolta il canto
          De’ nostri grati cori,
          Mentre con Farti dai
          A noi felicità.

     Così cantaro in armonioso coro,
205Ed alla voce lor soave e chiara
Suon di lira o di flauto non si mesce.
— –

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Delle donzelle un trarre d’arco lungi
Vedi nuovo drappello che le segue.
Un araldo che lucid’auro copre
210Con vago scettro, in argentea veste
Schiera di trombettier precede e regge.
Poi giovanetti d’ostro rivestiti,
Col brando nudo e coll’aurata lancia,
Con intralciata danza imitan tutte
215Le sorti incerte d’un’incerta pugna.
Il rapido alternar della vittoria
Con subitanea vergognosa rotta,
Il terrore, la fuga, ed i trionfi,
Dei prigionier le lunghe meste fila,
220E gli onori divini che la patria
A quei che la salvò grata concede.
     Compita appena la guerresca danza,
Tace lo squillo delle crude trombe.
Ed or mira brillante e lieta turba
225Di vaghissime giovani donzelle,
Quasi sull’ali rapide de’ venti,
Avvicinarsi con leggiadri passi.
Hanno la fronte e le candide braccia
Di freschissime rose inghirlandate,
230E i cinti ornati di splendenti gemme
Danno risalto alle eleganti forme.
Tengono in mano la sonora lira,
La patria cetra ed il convesso liuto:
Altre col fiato animator sen vanno
235Destando il suon di strepitanti avene;
E recano l’altre in fiorita cuna
Un fanciullino di somma bellezza,
Ch’or attonito or lieto intorno mira.
Così, o grandiosa, magnifica Tebe,
240Città delle cittadi, fior, corona
Del regio Nilo, così anticamente
Al rieder della dolce primavera
La gaja festa del giovinetto Oro2
Nel tuo recinto celebrata ell’era,
245Pria che cadesser le tue cento porte
E l’immenso tue impareggiabil moli!...
Ecco su palchi riccamente adorni
Da nerborute spalle sostenuti,
L’opre stupende di divin scalpello
250Apparire, miracoli dell’arte!
Rappresentano al vivo que’ recenti
Memorabili strani avvenimenti,
Che ci staran nell’alma sempre impressi,
Quei dì d’immenso duol, d’immenso gloria,
255Allorquando in mestissimo Orbe oppresso,
Con lunghissima serie di vittorie
L’immortal Tolomeo3 rendè la pace.
     Ecco appiè dell’altare della Patria
Stanno qui tre guerrier: è l’un nepote
260D’illustre gente, l’altra è ricco d’auro,
Il terzo villanel dal campo accorso;
Giunte le mani giurano: dar tutto,
E sangue e vita per comun difesa
Del sacro patrio suol e del Monarca.
     265Là, l’orrore alle spalle, fugge’l fiero
Sconcertato nemico, ed abbandona
Di congelato fiume in sulla sponda
Gli aurei vasi, che tolse l’empia mano
Nella magione degli eterni Numi.
     270Ed ecco in riva di possente fiume
Tre poderosi Sovran riunirsi
Contro insolente comune nimico.
     Ve’ regia Donna, che con il superbo
Piede premea la fronte de’ vicini
275Soggiogati! Ora trema ella veggendo
Vendicatrici schiere accorrer: tocca
Il capo, altero già, pressochè il suolo;
Ma Tolomeo, che il mal passato oblia,
Con generosa mano la rileva
280E la calma con placide parole...
     Numerosa brigata di donzelle,
A guisa di Cariatidi, ghirlande
Non interrotte sostenendo, chiude
Spazioso quadrato, e rappresenta
285Un ambulante splendido teatro,
Nel cui fondo si scorgono due ingressi.

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     Esce dall’uno numerosa turba
Di pastorelle; e dall’altro uno stuolo
Di giovani pastori, che bentosto
290Alla danza s’accingon: la più bella
Porge la destra al più gentil garzone.
Le nozze a celebrar tutto è già pronto;
Quando un guerrier d’armi e d’oro lucente
Inver la sposa muove: ognun s’arretra.
295È presso lei lo sposo: il guerrier snuda
L’acciaro in atto minaccioso: fugge
Il pastore tremante: allor ripone
Tosto l’acciar nella, guaina; e lieto
Il guerriero accarezza la tremante
300Pallida giovinetta. Ei con collana
Prezïosa le adorna il niveo collo
E con lucide anella ambo le mani,
E renitente dietro a sè la mena.
Appena usciti, ecco apparire un mago,
305La cui presenza involontario impone
Alto rispetto. Momentaneamente
Riede il guerriero insolente, e stupito
Fermasi innanzi al venerabil mago.
Questi, senza cangiar luogo, fa cenno
310Al guerrier d’avanzare e di mostrargli
Nudo il braccio. Quegli tosto ubbidisce.
Esaminato il braccio, quasi pieno
D’orrore, il mago indietro fassi, e guarda
Il tremante guerrïer pietosamente,
315E colla mano accenna, che cagione
D’alta sventura sia la pastorella,
Che da lontano passeggiar si vede.
Nel suo terrore rinunzia il guerriero
Alla sposa, alle nozze, e ratto fugge.
320Il guerriero fuggito, il finto mago
Dell’ingannato ridesi nemico,
E gettando le non sue spoglie, appare
Di bel nuovo pastore, ed alla sposa
Corre, e ridendo le spiega l’inganno.
325Tosto tornan gli amici, e l’interrotte
Nozze s’adempion con letizia intera. —
     Lancie dorate, sulle quali argentei
Vedi Sfingi, e stese dall’una all’altra
E Perso ed Indo fabbricâr, imitano
330Di regia stanza l’orgogliosa pompa,
Altra ampissima scena figurando.
Leggiadra coppia si rallegra e avanza,
Poi che sue brame vede alfin compite.
Giunge il maggior germano al giovinetto,
335E il segue un servo d’orrida sembianza
E d’immensa statura gigantesca.
Il giovinetto al fratel suo s’appressa,
E grazie rende ch’egli abbia alfine
Consentito alle nozze, e lieto guida
340A lui l’amata sposa. Il truce aspetto
Del maggiornato un po’ si rasserena,
E, prese ambo le mani degli amanti,
Egli, invocando i Numi, lieto unille.
Pianto di gioja, di riconoscenza
345Della sposa le belle guancie inonda.
Lo sposo intanto frettoloso assetta
Nel di lei crine un nitido giojello.
Ambo sen vanno a preparar le nozze,
Beffasi ’l maggiornato della fede,
350Che ’l minore dà al falso assentimento
E il gigantesco fido servo prega
Di liberarlo d’un rival molesto,
Ed un pugnal gli dà di ferro acuto.
Consente il servo all’orrido delitto. —
355Solo rimaso per trovare il mezzo
E per disporre ad eseguirlo il come,
Egli con lieto sguardo attento osserva
Il prezioso pugnal che gli vien dato.
Repentino rumor nasce: egli asconde
360Sotto la veste il ferro; e poi si volge
Cheto aspettando quel che sopraggiugne,
Egli è il giovin fratello, che credendo
Il germano maggior ritrovar quivi,
Frettoloso rivien per consultarlo.
365Gli accenna il servo, che ’l fratello uscio
Onde adornarsi anch’egli per le nozze,
Tosto che ’l giovinetto si è rivolto,
Egli il pugnale con secura mano
Tra le spalle conficca: cade gemendo

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370Il giovinetto; l’assassin sen fugge. —
Agli alti gemiti la sposa accorre
Colle seguaci sue, ma è tardi; viene
Anche ’l fratello, finge lo spavento,
Alto corruccio, e vendicar promette
375L’orrido fatto. Subito ci s’avvede
Che dal dolore vien la sposa meno.
Al punto istesso egli fa cenno ai servi
D’allontanar l’estinto, e alle seguaci
D’allontanar la sposa. Una donzella
380Con essolui rimane. Egli la mano
Le riempie d’oro, ed ella gli promette
Di persuader la vedova a sposarlo.
Escono l’uno e l’altra. — In un istante
Dai ritornati servi tutto intorno
385Le ambulanti pareti son coperte
Di bei ricami d’oro e vaga seta,
Onde l’occhio rimane stupefatto.
La vedovella mestissima riede
Dall’infida donzella sostenuta,
390Che osservare le fa l’immenso lusso
E tante inappregiabili ricchezze.
A rivenir non tarda anche il fratello,
Sempre piangendo il crudele misfatto.
Ma succedono tosto al duol mentito
395Chiari segni d’amore, d’ogni indugio
Impazïente e del menomo ritegno.
Ella cortesemente e umíl ricusa
Gli intempestivi desiderj suoi.
Ei momentaneamente s’allontana.
400La donzella frattanto ad arte cerca
I di lei sguardi ricondur mai sempre
Sugli infiniti ricchissimi doni;
Ma rïescono vani i di lei sforzi.
L’infelice non ha, nè vuole avere
405Altro pensier che quel di sua sventura.
Le preghiere rinnova il mostro atroce:
Segue l’istesso tenero rifiuto.
Cenno ci fa alla donzella, ch’esca. — È vuota
La scena, ed ei rinnuova l’importuna
410Cruda richiesta con maggior fervore.
Severa in volto allor ella gli mostra
Quant’è indecente la richiesta sua,
E vuole uscire. Ma egli d’ira acceso,
Snuda l’acciaro e di sicura morte,
415Se ancor rifiuta, la minaccia altero.
Di spavento colpita ella consente.
Ad un novello accennar suo repente
Riedono tutti: ed egli allora impone
D’inchinar riverenti la sua sposa.
420Tutta è già pronto alle improvvise nozze.
Già echeggia il chiaro suon de’ dolci flauti
Per annunziar la marcia verso il tempio.
Ognuno accorre: s’empie il vasto giro
Con affollato stuol di spettatori:
425La solenne lieta marcia incomincia;
Quand’al piacer subito orror succede.
Rapido se ne fugge ognun tremando,
E nemmen osa rimirare indietro.
Ecco le Furie dai viperei crini
430Scuotere in alto con rabbiose mani
Le lor stridule torce scintillanti,
Che tutto inondano di lampi e fiamme,
Della sentenza degli eterni Numi
E fide e inesorabili ministre,
435Esse impugnano l’empio scellerato,
E il traggon seco lor spietatamente
Alle tartaree triplicate porte...
     Di bianchissimo bisso rivestiti,
Con auree cintole e di lauro i serti,
440Nella destra un foglietto di papiro
Appariscon dell’estro i sacri figli.
Un vecchio, che un fanciul guida, precede
Il grave stuolo: con rispetto e amore
De’ circostanti tutti gli occhi stanno
445Fisi sul venerando augusto vecchio.
Quale un Nume, dall’alte eteree stanze
Sceso in terra, egli in mezzo a loro incede.
Sulla fronte gli siede la Saviezza,
Sul labro Persuasione ed Armonia;
450Chiusi alla luce son del vecchio gli occhi:
Chè sotto al sol felicità perfetta

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Non v’ha. L’immagine di Mnemosine4
Coronata di lauro, dall’augusto
Ed inspirato stuolo cinta viene,
455Che maritando il suono della lira
Coll’amena sua voce, così canta:

     L’uomo sovra lo spalto
          Che le città difende
          Mira gemendo i campi,
          460Che percorrea testè:
          Erra, il dì, il suo pensiero
          Fra le natie montagne,
          Varca sognando il patrio
          Lago in frale battel.

     465Così egli, a meste e dolci
          Brame in preda, languisce
          E l’arti belle chiami
          Tu l’uomo a consolar.
          Terpsicore ballando
          470L’ozio di lui rallegra,
          Clio le di lui prodezze
          Fida al marmo immortal.

     Per dissipar suo duolo
          Sulla magica scena
          475Resuscita Talia
          I dì dell’aurea età;
          Melpomene gli svela
          Le facoltà dell’alma,
          Gli svela, e insiem gli insegna,
          480Che non ne dee abusar.

     Per ispander sua gioja
          Nel cor de’ fidi amici,
          Ovver per raddolcire
          Il suo o l’altrui dolor,
          485Tu gli desti compagna
          L’amabil Poesia,
          Che qual nutrice, piange
          E ride col fanciul.
— —
     Deh! forse Giove un nuovo mondo cren?
490Qual folla immensa di pietre, di piante
E d’animai diversi s’appresenta!
Presso al serpentino moltimacchiato
Giace qui il diaspro dalle vaghe zone,
E presso all’eliotropia dai be’ fiori
495Vedi il corallo dalle mille braccia.
Là si mostra l’innumera famiglia
Delle agate diverse variopinte,
Presso al bel lapislazzuli che brilla
In veste tutta ricamata d’oro:
500Il fiammeggiante porfido d’ accanto
All’ondeggiante lattea calcedonia;
E qual fratelli d’indole diversa,
Ma nondimeno ognor fra sè concordi.
Qui splende l’amatista porporina,
505Il lucente giacinto, il ricercato
Crisolito e l’opale colombino.
     Qui radunato direbbesi tutto
Il regno vegetal per aumentare
Dell’insolita festa lo splendore.
510Qual massa immensa e di fiori e di piante
Coi color mille, e i mille vezzi attrae
Il curïoso sguardo e l’incatena!
Ecco quel giunco, che al di là del Gange
Dalle sinora incognite sorgenti,
515Nasce e rinchiude succhi che in dolcezza
Anche sorpassano il sì dolce mele!
Ecco quella bromelia, vaga prole
Dell’Indo sacro, il cui frutto squisito
Non indegno saria d’essere offerto
520Alla mensa de’ Numi! Ecco la pianta
Che del giovine mondo il pan produsse,
Nudritore benigno, e de’ famosi,
Or perduti alberi del Paradiso,
Forse l’unico avanzo! Ecco il melone
525Dalla nitida scorza di smeraldo,
Figlio dell’arenosa Arabia ardente.
Mira quelle piramidi superbe,
Mescolanza de’ più brillanti fiori,
Che l’arte ad uno ad un scelse e dispose

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530Con piacevole e sommo,magistero!
Splende sull’una e l’altra, qual reina
Su magnifico soglio, l’alma rosa;
Ma variano le tinte dei gradini,
Che ascendon riccamente insino ad essa.
535Nell’una le sue forme e i suoi colori
Vaghi confondono il candido giglio,
Il tulipano pinto, l’aureo stelo,
L’iride onde l’arcobaleno è vinto,
Il purpureo papavero di Cerere
540Ed il garofano caro a Dïana; —
E nell’altra si vedon gareggiando
Il girasol dal largo aurato scudo,
Il narcisso superbo con l’anemone
Leggiadra molto, ma di breve vita,
545La semplice cerulea campanella,
La decorosa imperïal corona
E l’ingenuo e bruno tuberoso.
Ecco gli aurei covon dell’Eleusina
Diva, dell’uman seme alma nutrice!
550E cento arbusti a Pomona sacrati
Colle frutta d’innumeri colori!
     Sul gelsomino dall’argenteo fiore,
Che un dì servigli d’olezzante cuna,
Viene dalle lontane Ercolee moli
555L’augellino gentile, a cui l’Esperidi
Diero tesor di soavi armonie.
Ed ecco tra i fanciulli che il sol tinge,
Venir la bianca gru, che grave imita
Comicamente delle guide il passo.
560Ecco i lontani Etiopi, che in sul capo
E negro e crespo recan di Numidia
Il vago augel dalle ammirande tinte,
O il mostro mezzo augello e mezzo serpe,
Giuoco d’inesauribile Natura!,
565Vedi l’abitator del favoloso
Indo, che tien sovra il superbo pugno
Quel di sua specie unico augel stupendo,
Cui sembrano ôr purissimo le penne,
E i piè sì corti che ne sembra privo.
570Egli fra le rovine, all’uom vietate
Dell’alto inaccessabil Paradiso;
Altra Fenice vieppiù misteriosa,
Due volte ogni cent’anni e muore e nasce.
Seguon i bianchi Cimerian, che ’l sole
575Nei lor campi di ghiaccio tanto amati
Non vedono, ma godonsi il solenne
Spettacol delle aurore boreali:
Siede lor sulla man lesto falcone,
Ch’agita sempre l’ali al volo pronte,
580O barbagianni dall’aspetto strano,
Che voce ha rauca, ed è caro a Minerva.
Ecco del regno alato i fier giganti:
Il casoario dal capo decoroso
E lo struzzo real dal roseo collo.
585All’andamento regio lor si vede
Che dell’alto lor pregio conscii sono.
E tu, che dalle penne porporine
Il nome ricevesti, o immagin vera
D’alta beltà, che i pregi suoi non cura,
590Fenicoptero, che sovrano o pari
Non hai, chiudi la marcia, precedendo
Il simulacro della gran Cibele5.
Cinta di fiori siede l’alta Dea
Sovra soglio di fior, che splende all’ombra
595Di sei palme dalle ampissime foglie,
Foggiate da magnifici ventagli:
E ’l numeroso coro de’ ministri
Così le lodi della Dea cantava:

     Tempo fu, che’l mortale,
          600Di sua sorte contento,
          I suoi monti dell’orbe
          I limiti credè:

     Li stimava colonne
          Della stellante vôlta,
          605Li credeva la cuna
          E la tomba del sol.

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     «Al di là, dicea, il regno
          Della notte comincia:
          Chiudi tue brame, o core,
          610Nella vallea natal.»

     Così l’etade d’oro
          Visse, e passò felice
          Dalla capanna avita
          De’ Numi alla magion.

     615Ma per esser felice
          L’uom non sembra creato:
          Tosto superbia o fame
          Strusse l’ameno error.

     Un giovane, veggendo
          620La miseria comune,
          Disse: «Le gru, le rondini
          Dove nel verno van?

     Trovano esse sull’alte
          Nostre montagne il cibo?
          625Ma nel verno si cuoprono
          Di neve insino ai piè.

     Forse, chi ’l sa, que’ monti
          Non son dell’orbe il fine!
          Forse un’altra vallea
          630Stendesi dietro lor!

     Per me, non è l’istesso
          Quaggiù, lassù morire.
          Giacchè la cruda fame
          Qui non si può schivar?

     635Sulla cima de’ monti
          Morendo, dei parenti
          Io non vedrò le angosce,
          Le mie nasconderò.»

     Ei risoluto ascende
          640Della montagna il fianco,
          Eccolo sulla cima:
          Numi, che mai trovò!

     Altra ampissima e lieta
          E doviziosa valle!
          645Qui già mature messi
          E là di Bacco il don!

     «Sta allegra, valle avita!
          Salverotti domani!
          Di quel mondo novello
          650Col superfluo verrò?»

     Tu, Commercio, le valli
          L’un’all’altra riunisti,
          Ed un tempio comune
          Esse a Cibele alzâr.

     655Tu, Diva, d’un paese
          L’uomo all’altro conduci,
          Ne fai un sol lignaggio,
          E insiem le unisci tu.

     Felicità quaggiuso
          660L’uomo trovar non puote,
          Consolarlo volendo
          Tu del mondo il fai Re:
— —
     Il mio sguardo s’inganna, ovvero scese
Sulla terra io rimiro le celesti
665Sfere in forme minor? Chè qui ti veggio,
Alma dell’orbe, o sole, in mezzo al chiaro
Tuo numeroso irradiato corteggio!
     Sulle spalle di vecchi ancor robusti,
Rivestiti di clamidi brunotte,
670Vedesi scudo immenso che non splende6,

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In mezzo a cui sorge sanguigna fiamma,
Che diffonde chiaror vasto ma oscuro.
Tale spesso miriam, dietro a fuggiasche,
Ora rossastre, or scolorite nubi,
675Grandissima spuntar rovente luna,
Al villanel trepidante presaga
D’orrido temporale grandinoso,
Struggitore dell’annue sue fatiche.
Qual giri d’atra serpe, due anella
680Cingon la luce che il cor non rallegra.
Siegue, portato da spalle virili
D’ostro vestite, un altro largo scudo7
Di splendente chiarissimo metallo.
Ergesi, qual colonna di rubino,
685Dal suo centro purpurea vaga fiamma,
Che dall’argenteo scudo ripercossa,
Appar più bella e più grandiosa sempre...
Ecco l’aurato scudo di Mavorte:
Il fuoco che fiammeggia e in alto sale,
690Sembra cometa spaventosa e grande,
E di guerra fatale, o fame, o peste
Messaggera veridica creduta...
Mira quel disco azzurro, opra ammiranda,
Ch’è soglio a lui che l’universo irradia
695E che, fonte perenne, ovunque intorno
Rapido spande la scorrente luce:
E ad or ad or minore appar la fiamma
Di Mercurio, che prossima lo segue:
Che circondata d’aureo ammanto viene,
700Velata dal fulgor del Sol radioso...
Ecco la rosa dell’etereo campo,
Ecco la gemma, del ciel nel diadema,
La più brillante, la più vagheggiata!...
Ora, su scudo di smeraldo, appare
705La variabile immago di Selene,
Suora del Sol, della notte reina
E ’l cui aspetto ai miseri mortali
È più grato di quello del germano:
Che in lei, cinta di raggi men brillanti,
710Sempre ognun puote, quand’il voglia, sempre
Mirar suo sguardo di dolcezza pieno...
Vengono alla sfilata or le superbe
Dodici stanze, le quai nel suo corso
Il Sol regolator delle stagioni
715Abita poco l’una dopo l’altra.
     Ma come all’apparire dell’aurora
Tutte le stelle, anche le più lucenti,
Subito prive son dello splendore;
Così d’Urania8 la presenza tosto
720Oscura e vela ogni oggetto vicino.
Della serena e augusta Dea ti sembra
Di purissima luce e scintillante
Tessuta l’ampia strascinante veste.
Nude sono le braccia: dalla manca
725Spalla le scende a sbieco sovra il petto
E poi ricade sotto il destro braccio
Dentellata zimarra, vieppiù nera
Di notte oscura che di stelle è priva.
Tiene la Diva nella man sinistra
730Azzurro globo d’auree stelle pieno,
Nell’altra fulgido compasso aperto,
Ond’ella misurò l’immenso cielo.
Accompagnato d’armoniose cetre
Così scioglie la voce il sacro coro:

     735Ovunque miri in terra,
          Sol incostanza vedi:
          La rosa, onor de’ campi;
          L’augel, del bosco il re,
          La madre, amor de’ nati,
          740Speme del padre il figlio,
          In breve tempo tutti
          Preda dell’Orco son.

     Vieppiù ratte vicende
          Nell’aria ravvisiamo:
          745Chiaro sol fra tempeste,
          Lampi in sereno ciel;
          In giorno estivo, ardori,
          Pioggia, grandine, e neve;
          Zeffiro appena soffia,
          750Lo scaccia l’Aquilon.

[p. 265 modifica]

     L’uomo nel suo dolore
          Stabilità cercando,
          Inverso l’alte sfere,
          O Dea, gli sguardi alzò.
          755Là ei vede ognora il sole
          Fornir l’istesso corso,
          E le stelle sommesse
          Seguirlo come un re.

     Tosto il Sovran del mondo
          760Serto e scettro depone
          E, suddito, va i campi
          Dell’etere a abitar.
          Ahi! la grandezza umana
          All’occhio suo sparisce:
          765Cessa ogni interna rissa,
          Qual già fra i due fratel.

     Li divise gran tempo
          Un camperel, che giace
          Fra Menfi e le piramidi,
          770E un arbitro cercâr.
          Ei disse lor: «Dimane
          Deciderò il contrasto,
          E sovra la Piramide
          State un intero dì.»

     775Allo spuntar dell’alba
          Si fanno incontro al veglio,
          Gridando: «Grazie, o padre!
          Nostra rissa cessò.
          Sul monumento scorso
          780Tutto il giorno, dicemmo:
          Questa zolla di terra
          Non vale il contestar!»
— —
     Riverente si piega ogni ginocchio
Innanzi alla vicina e sacrosanta
785Immagin della onnipossente Dea!
Ben la conosci alla luna che splende
Sulla real corona, ed alle vesti
Che tre color distinguon chiaramente:
Imitan quei le tinte di Selene,
790E di pioggia e procella o di bel tempo
Per l’indomani son nunzie veraci:
La riconosci ancora all’Egiziana
Cetra sonora ed all’argentea secchia,
Che miri appresso ad Iside divina.
     795Come la gente in condensata folla
Segue pietosa i sacri sacerdoti,
Accompagnando la Diva al suo tempio!
Tali, o stranier, nell’annue vostre feste
Mille vascelli riccamente adorni,
800Dell’Ellade da tutte le contrade
Venuti, s’avvicinano di Delo,
Miracolosa cuna al biondo Iddio,
E stanno per entrar sicure in porto.
All’intorno dell’ampie e bianche vele,
805All’intorno degli alberi dorati
Mille e mille svolazzano bandiere
D’ogni color, dell’aura lieto giuoco:
Di mille fior, guernite son le sarte,
Di mille fior le vaghe gallerie,
810Cinto di fiori è ’l Nume protettore,
Cinti il padrone ed ogni marinaro.
Entran le navi, una l’altra seguendo,
E con solenni grida replicate
Salutando di Febo la cittade,
815Ora nel porto: innumere barchette,
Inghirlandate anch’esse di bei fiori,
In lunghissime file ad ambo i lati
Schieransi e sono chete spettatrici
Della solennemente lieta marcia.
820Quando l’ultima nave entra nel porto,
Esse si muovon, dietro a lei formando
Gran mezzo cerchio che lento la segue.
Così il popolo segue i sacerdoti,
E la pomposa processione chiude.
     825Ma il volto augusto della Dea tu vedi
Denso un velo coprir: «o Madre, Madre,
Perchè i devoti che ti adoran privi
Del tuo sembiante della dolce vista?»

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     Ecco comincia l’inno sacro c grato,
830E con il fumo dell’incenso ascende
Al sereno soggiorno degli Dei.
Coro dei Sacerdoti
     Numi eterni dei cielo!
          L’uman cor, che per noi
          È un nero abisso, a voi
          835È più chiaro del sol.

     La più segreta brama,
          Pensier nell’alma acchiuso,
          Voi discoprite tutto,
          Il male come il ben.

     840Il simulare è vano
          Innanzi agli occhi vostri:
          Vizio ognor parvi vizio,
          Virtude ognor virtù.

     Se nostra brama nasce
          845Da cor verace o falso,
          Lo sapete: e se il merta,
          Il degnate esaudir.

     Donna mortal vorremmo
          Ergere al par di voi,
          850Tra i Lari annoverarla,
          E qual Dea l’invocar.
Capo dei Sacerdoti
     Chiunque, o Dei, v’imita
          Nell’addolcir la vita
          De’ miseri mortali.
          855Apresi ad esso il ciel.
(ai Sacerdoti)
     Se rammentate un solo
          Fatto sublime, figlio
          Di generoso core,
          Frai Dei l’inserirò.
Uno dei Sacerdoti
     860E fra le tante gesta
          Di lei che non ha pari,
          Da qual trarremo encomio
          Da quale incominciar?

     Dov’è lo sfortunato,
          865Che a lei ricorso è invano
          E che da lei partissi
          Con mesto afflitto cor?

     Iside la nomiamo
          Che notte tempo i campi,
          870Dal Nil non inondati,
          Sempre innaffiando va.

     Narriamne solo un fatto.
          In riva, e quasi in seno
          Al mare, d’Alessandro
          875Stendesi la città.

     Irato disse un giorno
          Il mar: «Come? I superbi
          Alfin nell’onde mie
          Le lor case porran.

     880Da secoli quel lido
          È della prole mia
          Dominio, che scherzando
          Tutto copria talor.

     Un dì venne un gigante,
          885Mirò coll’igneo sguardo
          A sè d’intorno e disse:
          Qui mia città porrò! —

     Io fo cenno alla prole:
          Già egli sta da lor cinto;

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          890Ma un’altra volta disse:
          Qui mia città porrò! —

     Ridesi di mio sdegno,
          E la città sua fonda.
          Lo gigantesco schizzo
          895Con gigantesca man

     Compì il di lui nepote.
          Ma pur della vendetta
          È giunta l’ora: o venti,
          Unitevi con me!

     900Sfidiamo la feroce
          Ed orgogliosa stirpe,
          Vediam, se al furor nostro
          Resistere potrà!»

     Ossequïosi i venti
          905Incontanente muovono
          Di spumeggianti flutti
          Denso e feroce stuol.

     E quel spingono incontro
          Al Nilo inoffensivo,
          910Chiudendogli furenti
          Ogni rifugio al mar.

     Suo malgrado dai flutti
          Sin alle sponde alzato,
          Il rio, per non sgorgare,
          915L’ampio dorso curvò.

     Ma vincitor rimase
          Il mar: «Coll’onde tue,
          Cittade insultatrice,
          Ora t’annegherò.

     920Tuoi tanti abitatori,
          Tue tante altiere moli
          Ch’alzansi tra le nubi,
          Ridendo inghiottirò.

     Le vicinanze un giorno
          925Allo stranier diranno:
          Laggiuso d’Alessandro
          Alzossi la città.»

     Tale del mar la brama.
          Ma l’atroce disegno
          930Spiacque a Giove, dell’Orbe
          Sommo moderator.

     Ma nondimeno il lido
          Sembra vasta vallea,
          Dove in campale pugna
          935Millantamil cader.

     Vedesi lunga strada
          Di abitate capanne,
          Svelte dal suolo, in mezzo
          Al pelago nuotar.

     940Vedonsi alti vascelli,
          Non che salire il lido
          Del mar, ma penetrare
          In seno alla città.

     «Che mai cerchi, fanciulla!» —
          945La madre: uscì di casa,
          Mi lasciò sola: aspetto,
          Aspetto, ella non vien.

     «Vieni, carina, presto!
          Temo di starmen sola,
          950La fame mi tormenta,
          Già di gelo mi fo!» —

     Tale errò mezza morta
          Dalla fame e dal freddo
          La gente, e l’aria intorno
          955Di lamenti riempì.

     Ma appena l’agil Fama
          Nelle stanze reali

[p. 268 modifica]

          Dell’orrenda sventura
          La nuova divulgò;

     960Benchè a crudi dolori
          Fosse Ella stessa in preda,
          Alzossi dal penoso
          Letto senz’indugiar.

     E con mano tremante
          965Spalancate le porte
          Della reggia, gemendo
          Cenno ai miseri fe’.

     E consolò la sposa
          Orbata del marito,
          970E l’infelice madre,
          Che prole più non ha,

     Diè vestimenta e pasto
          A’ derelitti vecchi,
          E agli orfanelli disse:
          975Io madre vi sarò.
Capo dei Sacerdoti
     Quale un Nume s’adori!
          Essa abbia tempj ed are!
(ai Sacerdoti)
     L’immagin sua s’innalzi
          Sì che l’adori ognun!

   (Mentre ch’un nuvolone d’incenso empie tutto il tempio, una parte dei Sacerdoti posano sopra i quattro altari laterali i simulacri di Mirionima, Mnemosine, Cibele ed Urania, e sopra l’altare di mezzo la statua d’Iside, scoprendola. La nube d’incenso dissipata il popolo grida:)

     980Oh! salve Berenice!
Coro dei Sacerdoti
     Innanzi a te chiniamo
          O Dea, la grata fronte:
          Iside-Berenice
          Il nome tuo sarà.
Il Popolo
     985Iside-Berenice!

   (In chiaro cielo s’ode il tuono. Alzando il capo, tutti vedono la Fenice, che, fatto sette volte il giro del tempio, si abbatte sopra la di lui cima.)
Capo dei Sacerdoti
     Confermaro gli Dei
          Del servo loro i detti,
          Col più solenne augurio
          Svelando il lor voler.
Coro dei Sacerdoti
     990Innanzi a te chiniamo,
          O Dea, la grata fronte
          Iside-Berenice
          Il nome tuo sarà.
Il Popolo
     Oh! salve Berenice!
     995Iside-Berenice!

FINE.

Note

  1. Soprannome d’Iside — inventrice delle arti meccaniche.
  2. Figlio d’Osiri e d’Iside.
  3. Alessandro I.
  4. Soprannome d’Iside — inventrice delle belle arti.
  5. Soprannome d’Iside — Sovrana della terra.
  6. Saturno.
  7. Giove.
  8. Soprannome d’Iside — sovrana del cielo.