Saggio di racconti/XI/I

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Cecchin Salviati
ossia l’Adolescenza d’un Artista nel secolo XVI
Il Tessitore di velluti

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Cecchin Salviati
ossia l’Adolescenza d’un Artista nel secolo XVI
Il Tessitore di velluti
XI XI - II
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IL TESSITORE DI VELLUTI

Michelangiolo de’ Rossi, abile tessitore di velluti, uomo specchiato e buon cittadino, teneva nel chiasso di messer Bivigliano in Vacchereccia una gran casa a pigione con parecchie telaia e con un buon numero di lavoranti. Francesco suo figliuolo era un giovinetto di buona indole e di svegliato ingegno, ed ei lo destinava a succedergli nella direzione del traffico, volendo che attendesse al mestiero di tesser velluti.

I mestieri furono sempre onorati per chi gli esercitò onestamente; e quando Firenze si reggeva a governo popolare, gli artefici di ogni classe erano [p. 93 modifica]uomini autorevoli nella repubblica, e niuno di loro si sarebbe mai riputato inferiore agli altri cittadini, benchè stesse in bottega col grembiale alla cintola. Anzi chi non era ascritto all’arte non poteva ottenere magistrature; e l’antica nobiltà e la ricchezza nulla valevano per chi avesse preferito all’onesto lavoro gli ozj fastosi e le vanità cortigiane. Gli artefici erano insieme uniti in tante corporazioni o capitudini, dette arti maggiori e arti minori, e tutti s’eleggevano un capo, col nome di Console o Gonfaloniere, che gli rappresentasse nel governo della repubblica; avevano armi per difendere al bisogno la libertà e la patria, assegnamenti per assistere i colleghi poveri; e al suono della campana del popolo si radunavano sotto le loro insegne od imprese chiamate gonfaloni1. Il gonfalone dell’arte della lana sta appeso a una colonna del Duomo che fu eretto in gran parte coi guadagni di quegli operai; ed ogni [p. 94 modifica]anno per s. Anna, che viene il ventisei di Luglio, si veggono sventolare alle pareti esterne della chiesa d’Orsanmichele i gonfaloni delle arti accanto alla statua del santo protettore di ciascuna di esse, in memoria di quando nello stesso di di s. Anna (an. 1343) il popolo di Firenze cacciò via un malvagio uomo, Gualtieri duca d’Atene, il quale aveva avuto l’audace pensiero d’insignorirsi dello stato2. E per conoscere maggiormente la magnificenza degli operai fiorentini, basta guardare il palazzo vecchio, che fu quello della signoria, la cupola di Brunellesco, il campanile di Giotto, le statue di bronzo e di marmo nelle nicchie d’Orsanmichele, ed altri mirabili monumenti, molti dei quali non sono ancora finiti.

Francesco dunque da figliuolo obbediente attese volentieri nella prima fanciullezza a imparare il mestiero del padre, e se ne tenne molto onorato vedendo il profitto e la riputazione che poteva ritrarne. Era assiduo a bottega, e molto si dilettava di studiare il congegno delle telaia e del tessere, e specialmente i disegni d’ornato fatti per abbellire in mille guise il fondo delle pezze. E appunto nel contemplare questi disegni cominciò a invogliarsi di [p. 95 modifica]un’arte più difficile e bella, e si provò a copiarli e ad immaginarne dei nuovi. Le quali prove, comecchè fossero trastullo di fanciulletto, mostravano tuttavia inclinazione singolare alle belle arti. Inoltre egli aveva modi tanto leggiadri, e così ingenua piacevolezza, che i figliuoli di Domenico Naldini, ragguardevole cittadino, molto si dilettavano della sua compagnia. Il maggiore di essi studiava la pittura, e Francesco praticando nella loro casa in via dei Servi, sempre più si vedeva tutto volto a costumi gentili e onorati, e vi trovava continua occasione di secondare la sua smania per il disegno. Il Diacceto giovine orefice, suo cugino e maestro al Naldini, insegnava anche a lui e lo accomodava di molti disegni di diversi valentuomini, sopra i quali con incredibile studio si esercitava. Ma venuto ciò a notizia del padre ne fu turbato, temendo che il figliuolo pel diletto del disegnare avesse a perder l’amore al mestiero, e gliene fece rigoroso divieto.

Note

  1. Nel 1266 il popolo fu distinto in sette arti che in seguito furon chiamate maggiori, e comprende vano: 1° i giudici e notai, 2° i mercanti dei panni nostrali e quelli dei panni francesi, ossia l’arte di Calimala e quella di Calimaruzza, 3° i cambiatori, 4° quelli dell’arte della lana, 5° setaioli e merciai, 6° medici e speziali, 7° pellicciai e vaiai. A queste ne furono aggiunte prima cinque delle minori e poi quattordici nel 1282; e furono: Beccai, calzolai, fabbri, rigattieri, muratori e scarpellini, vinattieri, albergatori, oliandoli, pizzicagnoli e funaioli, calzaiuoli, corazzai e spadai, chiavaiuoli, correggiai, legnaioli, fornai. Ve ne erano altre senza collegio o capitudine, ma si riunivano a qualcheduna delle descritte. Varchi, Lastri ec.
  2. I Fiorentini chiamarono s. Anna fautrice della libertà di Firenze, ed emanarono nel 1349 un decreto pel quale ordinavasi che si spendessero 3000 fiorini d’oro per fondare in Orsanmichele una cappella in onor di s. Anna, dove ogni anno si facessero solenni ufficj ed offerte dal Comune e da tutte le arti e magistrati della città, e fosse fatto correre un palio.