Scritti editi e postumi/Lettere/Lettera XXVI

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Lettere - Lettera XXVI

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XXVI.


T.***

Ebbi per tempo la grata tua con quella del povero N., ed egli non poteva scegliere il miglior [p. 276 modifica]momento per morire di fame. A.*** mi ha detto, che non deve dar nulla, e per conseguenza non ha dato nulla. Ho fatto un appello ai poveri, e come ragion vuole mi hanno dimandato se avevo da dar loro qualche cosa; – ho chiesto ai ricchi, e mi hanno risposto peggio dei poveri. In somma è un affaraccio, e in tanti giorni ho raccolto forse sei o sette scudi. Non per questo mi fermerò, e spingerò le cose fin dove possono andare.

La mia salute non vale un quattrino, e la mia testa è un mucchio di rovine. Pure per veder di dare una mano al povero N., ho preso a tradurre dal Tedesco certi articoli intorno al Sismondi per convertirne il ricavato a pro del suddetto; e credi, che se avessi avuto un cento di scudi glieli avrei dati volentieri, piuttosto che soffrire una fatica così sanguinosa, una fatica che finisce di mandarmi in polvere il cervello.

Addio. Credimi

Livorno, 14 Settembre 1842.

Il tuo Affezionatissimo

Carlo.