Sentenza Corte Costituzionale n. 1-1957

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Corte Costituzionale

1957 diritto diritto Sentenza della Corte Costituzionale n. 1/1957 Intestazione 4 aprile 2011 25% Diritto

Organo giudicante: Corte Costituzionale
Deposito in Cancelleria: 26/01/1957


SENTENZA N. 1

ANNO 1957

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente


SENTENZA


nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 20 giugno 1952, n. 645, contenente norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma 1) della Costituzione, promossi con le seguenti ordinanze:

1) Ordinanza 16 gennaio 1956 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Morino Luciano, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29 del 4 febbraio 1956 ed iscritta al n. 10 del Reg. ord. 1956;

2) Ordinanza 28 gennaio 1956 della Corte di appello di Roma nel procedimento penale a carico di Belfiori Fausto e di Fois Giorgio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 66 del Reg. ord. 1956;

3) Ordinanza 8 giugno 1956 della Corte di appello di Perugia nel procedimento penale a carico di Ragazzini Francesco, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 21 luglio 1956 ed iscritta al n. 223 del Reg. ord. 1956. Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; udita nell'udienza pubblica del 10 ottobre 1956 la relazione del Giudice Mario Cosatti; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaele Bronzini.


Ritenuto in fatto


Nel procedimento penale a carico di Morino Luciano, imputato del delitto di apologia del fascismo di cui all'art. 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, la difesa dinanzi al Tribunale di Torino impugnò di illegittimità costituzionale l'art. 4 della citata legge sia perché in contrasto con l'art. 21 primo comma della Costituzione sia perché non può considerarsi attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione medesima, nonché l'art. 1 della richiamata legge, per quanto possa influire sulla definizione del procedimento, trattandosi di norma emanata in violazione del disposto dell'art. 138 della Costituzione.

Il Tribunale, con ordinanza 16 gennaio 1956, rilevato che la questione non si appalesava manifestamente infondata "per quanto ha tratto alla pretesa incostituzionalità dell'intera legge n. 645 del 1952 e non anche del solo art. 4", dispose la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Tale ordinanza venne notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, e pubblicata, per disposizione del Presidente di questa Corte, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Nel procedimento penale a carico di Belfiori Fausto e di Fois Giorgio, imputati del delitto di cui all'art. 4 della legge n. 645 del 1952, la difesa degli imputati, in sede di appello, sollevò eccezione di illegittimità costituzionale dell'intera legge 1952 perché in contrasto con la XII delle disposizioni transitorie e finali e con gli articoli 138 e 21 della Costituzione. La Corte di appello di Roma, ritenuta non manifestamente infondata la predetta eccezione, limitatamente al contrasto tra l'art. 4 della legge 1952 e l'art. 21 della Costituzione, con ordinanza 28 gennaio 1956, dispose la trasmissione degli atti a questa Corte. Tale ordinanza venne notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

Nel procedimento penale a carico di Ragazzini Francesco, imputato del delitto di cui all'art. 4 della legge n. 645 del 1952, la difesa dell'imputato in sede di appello sollevò l'eccezione, già respinta dal Tribunale di Terni, sulla illegittimità costituzionale del citato art. 4 perché in contrasto con l'art. 21 della Costituzione. La Corte di appello di Perugia, con ordinanza 8 giugno 1956, ritenuta non manifestamente infondata la suddetta eccezione in quanto potrebbe opinarsi che le disposizioni contenute nell'art. 4 eccedano i limiti della norma XII e siano in contrasto con l'art. 21 della Costituzione, dispose la trasmissione degli atti a questa Corte. Tale ordinanza venne notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Gli imputati nei suddetti tre procedimenti non si sono costituiti nel presente giudizio; il Presidente del Consiglio è intervenuto a mezzo dell' Avvocatura generale dello Stato ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, e delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte costituzionale.

Nell'atto di intervento, depositato in cancelleria il 13 febbraio 1956 e concernente il procedimento a carico del Morino, l'Avvocatura dello Stato, in ordine all'eccepita incostituzionalità dell'art. 4 della legge n. 645 del 1952 in riferimento all'art. 21 primo comma della Costituzione, osserva che tale articolo contiene una dichiarazione di principi i quali per la loro applicazione vanno posti in relazione con altri principi fondamentali, che nel nostro ordinamento condizionano le manifestazioni del pensiero; queste non sono né possono essere senza limiti. Nessun contrasto nella configurazione del reato di apologia del fascismo, che altro non è che una categoria di apologia di delitto; l'art. 4 della legge 1952 è logica conseguenza della disposizione XII. Come è proibita e punita l'esaltazione che abbia già dato risultati concreti di riorganizzazione del partito fascista, deve essere proibita e punita l'esaltazione pubblica individuale, perché può concorrere a preparare ambiente favorevole al risorgere del partito fascista.

In ordine poi all'art. 1 della legge 1952, che sarebbe in contrasto con l'art. 138 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato osserva che tale impugnativa è inammissibile, essendo stato il Morino imputato del reato di cui all'art. 4 e non del reato di cui all'art. 1 della legge n. 645 del 1952.

Nel merito rileva che l'impugnativa si appalesa priva di fondamento, poiché l'art. 1 altro non è che attuazione della norma XII e non revisione della Costituzione per cui debbono osservarsi le forme prescritte dall'art. 138 della Costituzione medesima. Concludendo, l'Avvocatura dello Stato chiede che la Corte voglia dichiarare infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale in ordine all'art. 4 della legge n. 645 del 1952; dichiarare inammissibile l'impugnativa in ordine all'art. 1 o, quanto meno, dichiarare infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata in merito all'articolo stesso. Con memoria depositata il 17 aprile 1956 l'Avvocatura dello Stato svolge le deduzioni contenute nell'atto di intervento e conferma le relative richieste.

Negli atti di intervento concernenti il giudizio a carico del Belfiori e del Fois e in quello a carico del Ragazzini, depositati rispettivamente il 1 marzo 1956 e il 6 luglio 1956, l'Avvocatura dello Stato enuncia deduzioni e richieste analoghe a quelle sopra riassunte, limitatamente all'art. 4 della legge 1952. In ordine al giudizio Belfiori e Fois, l'Avvocatura ha anche prodotto una memoria depositata il 17 aprile 1956.

Il Presidente, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, ha disposto che le cause promosse con le sopra indicate ordinanze e chiamate alla stessa udienza siano congiuntamente discusse. Il sostituto avvocato generale dello Stato si è, in udienza, rimesso alle deduzioni e conclusioni enunciate nelle proprie memorie.


Considerato in diritto


La Corte ravvisa l'opportunità che la decisione delle tre cause, congiuntamente discusse all'udienza, abbia luogo con unica sentenza, trattandosi in sostanza della stessa questione di legittimità costituzionale. Nelle ordinanze, che hanno dato luogo ai giudizi, si fa riferimento o all'intera legge 20 giugno 1952, n. 645, contenente "Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione" o all'art. 4 in connessione con l'art. 1 della detta legge o al solo art. 4 della legge medesima.

In rapporto all'intera legge n. 645 del 1952, non si ravvisa alcuna violazione delle disposizioni contenute nell'art. 138 della Costituzione, perché il procedimento da tale articolo prescritto deve essere osservato allorché si tratti di revisione della Carta costituzionale o di altre leggi costituzionali: ipotesi che qui non ricorre.

Non può esser preso in considerazione l'art. 1 della legge 1952, perché, come ha esattamente rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, in nessuno dei tre procedimenti penali, nel corso dei quali sono state emesse le ordinanze, era in contestazione il reato di cui all'art. 1. Resta, quindi, da considerare e risolvere la sollevata questione - comune ai tre giudizi - di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 4 della legge 1952, in riferimento a quelle contenute nella XII delle disposizioni transitorie e finali e nell'art. 21 primo comma della Costituzione.

L'art. 4 va esaminato in rapporto al primo comma della XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, che statuisce: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista".

Come risulta dal contesto stesso della legge 1952 (le cui norme, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 10, cesseranno di avere vigore appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale), l'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione.

Trattasi non di una istigazione diretta, perché questa è configurata nell'art. 2 della legge 1952, bensì di una istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente.

La riprova che l'apologia, in realtà, consista in una istigazione indiretta si desume dall'art. 414 del Codice penale (che non trovasi modificato nel progetto preliminare per la riforma del detto codice, redatto dall'ultima Commissione ministeriale), articolo il quale - sotto l'intestazione "Istigazione a delinquere" - nell'ultimo comma prevede precisamente l'apologia di uno o più delitti. Appunto per ciò la dottrina ha ritenuto che il reato di apologia costituisca una forma di istigazione indiretta.

Consegue che non può istituirsi il raffronto, che è stato dedotto, tra l'art. 4 della legge n. 645 del 1952 e l'art. 21 primo comma della Costituzione.


PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE


pronunciando con unica sentenza sui tre procedimenti riuniti, indicati in epigrafe: dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale della legge 20 giugno 1952, n. 645, in riferimento alle norme contenute nell'art. 138 della Costituzione;

dichiara infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, in riferimento alle norme contenute nella XII delle disposizioni transitorie e finali e nell'art. 21 primo comma della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1957.

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.

Presidente DE NICOLA Relatore COSATTI