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Sentenza Corte Costituzionale n. 148-1981

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Corte Costituzionale

1981 diritto diritto Sentenza Corte Costituzionale n. 148/1981 Intestazione 30 ottobre 2008 75% diritto

Non fondata la questione di legittimità costituzionale D.P.R. 29 marzo 1973
1981
Organo giudicante: Corte Costituzionale
Deposito in Cancelleria: --


14 LUGLIO 1981

SENTENZA N. 148


CORTE COSTITUZIONALE


Nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, in relazione alla l. 14 aprile 1975 n. 103 e all'art. 2 della l. 10 dicembre 1975 n. 693 (Monopolio pubblico delle trasmissioni televisive via etere a carattere nazionale), promosso con ordinanza emessa il 18 novembre 1980 dal pretore di Roma, sul ricorso proposto dalla RAI, Radiotelevisione Italiana S.p.A., contro la Rizzoli Editore S.p.a. ed altri, con l'intervento dell'AGIS ed altri, iscritta al n. 37 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 del 28 gennaio 1981.

Visti gli atti di costituzione della S.p.a. Teletevere, della S.p.a. SIT, Società Impianti televisivi, ed altre, della S.p.a. Rizzoli Editore, della Associazione Nazionale Teleradiodiffusioni Indipendenti, della RAI, Radiotelevisione Italiana S.p.a., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

uditi gli avvocati Dario Di Gravio per la S.p.a. Teletevere, Pasquale Russo e Carlo Vichi per la S.p.a. SIT, ed altri, Aldo Sandulli, Carmine Punzi, Franco Gaetano Scoca e Stefano Varvesi per la S.p.a. Rizzoli Editore, Paolo Barile, Vezio Crisafulli, Giuseppe Guarino e Alessandro Pace per la S.p.a. RAI, Radiotelevisione Italiana, e l'avvocato Sergio Laporta, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

La RAI-TV, Radiotelevisione Italiana S.p.A., premesso che ad iniziativa della Rizzoli Editore S.p.A. stava per iniziare la trasmissione via etere su scala nazionale di un telegiornale ed altri programmi televisivi utilizzando una rete di trasmissione e di collegamento di proprietà delle società SIT, Società Impianti Televisivi SIA, SET s.r.l. e Royal Editrice s.r.l. correnti in Castelvecchio Pascoli consistente in circa 18 stazioni sparse in tutta Italia ed interconnesse fra loro; che la riferita iniziativa doveva ritenersi illecita in quanto la diffusione di dette trasmittenti era lesiva degli interessi di essa RAI, estendendosi oltre l'ambito locale, posto dalla Corte costituzionale (sentenza 202/1976) come limite dell'impresa economica privata in materia, e in violazione dell'art. 195 del Cod. postale nonché della legge 14 aprile 1975 n. 103 e successivo d.P.R. 11 agosto 1975 n. 452, concernenti la riserva allo Stato del servizio radiotelevisivo su scala nazionale e del correlativo diritto di esclusiva di essa RAI concessionaria del servizio stesso; che, infine, la trasmissione era illecita amministrativamente in difetto della necessaria autorizzazione e dell'assegnazione della banda di frequenza da parte del Ministero delle Poste, chiedeva al Pretore di Roma di inibire alle dette società ogni ulteriore atto diretto a condurre ad effetto le illecite iniziative denunciate.

Il Pretore con decreto 14 ottobre 1980 emesso ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ. accoglieva la richiesta e inibiva alle società intimate di diffondere programmi televisivi su scala nazionale.

All'udienza di comparizione delle parti disposta ai sensi dell'art. 702 in relazione all'art. 690 cod. proc. civ. per la conferma, modifica o revoca del provvedimento suddetto oltre alle società intimate si costituivano l'Amministrazione delle Poste e telecomunicazioni, l'Associazione generale dello spettacolo (AGIS), l'Associazione Nazionale Esercenti Cinema (ANEC), l'Associazione Nazionale Teleradio-diffusione Indipendenti (ANTI), nonché la soc. Teletevere.

Tanto la soc. Rizzoli che la SIT, SET e Royal, eccepivano, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale delle norme che disciplinano il monopolio statale televisivo, per assunto contrasto con gli artt. 3, 10, 21, 43 Costituzione.

L'amministrazione delle Poste, l'AGIS, l'ANEC e l'ANTI aderivano alle tesi della RAI-TV mentre la società Teletevere, quale titolare di una emittente televisiva privata, prospettava l'illecità dell'attività delle società intimate in quanto diretta a istituire una rete di trasmissione in contrasto con i criteri sanciti dalla citata sentenza n. 202 della Corte e, in subordine, proponeva le stesse questioni di illegittimità costituzionale prospettate dalla soc. Rizzoli, e dalle altre menzionate società.

Il Pretore, con ordinanza 18 novembre 1980, dopo avere espressamente affermato che il provvedimento di inibizione era stato emesso in presenza di un complesso di elementi probatori che chiaramente evidenziavano l'esistenza di una situazione pregiudizievole in danno della ricorrente e che il provvedimento stesso trovava comunque titolo nella normativa in atto vigente nonché nella prospettiva costituzionale che di essa è stata data dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 21 e 43 Costituzione, la questione di legittimità «della normativa risultante dal combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, in relazione a quanto prescritto dalla legge 14 aprile 1975, n. 103, con particolare riferimento per quest'ultima all'art. 45 nonché all'art. 2 legge n. 693 del 1975, ed agli artt. 1, 2 e segg. della citata legge n. 103 del 1975, nella parte in cui questa normativa legittimando il monopolio pubblico delle trasmissioni televisive via etere a carattere nazionale, preclude alle imprese private la possibilità di istituire e gestire attività televisive aventi lo stesso carattere nazionale e conferisce alla pubblica Amministrazione una potestà discrezionale nella determinazione dell'ambito di utilizzazione delle frequenze».

Il Pretore osserva preliminarmente che la circostanza che le società intimate non sono in possesso della autorizzazione amministrativa all'esercizio delle trasmissioni, non può valere ad escludere la rilevanza della questione, come vorrebbe la RAI, poiché al fine di valutare la sussistenza del detto requisito occorre fare riferimento al contenuto del Potere giurisdizionale nella concreta fattispecie al fine di accertare se la decisione debba essere fondata sulla norma della cui legittimità si dubita. E, secondo il Pretore, il presupposto del provvedimento de quo, va individuato nell'esercizio dell'attività radiotelevisiva su scala nazionale in regime di monopolio, che proprio la stessa RAI afferma per chiedere la tutela ai sensi dell'art. 700 cod. prop. civ..

Pertanto, ove la normativa censurata risultasse illegittima, il ricorso dovrebbe essere ritenuto infondato ed il provvedimento dato quindi dovrebbe essere revocato, mentre, in caso contrario, dovrebbe essere confermato.

La situazione amministrativa delle società intimate non potrebbe, quindi, comunque incidere ai fini della pronunzia del giudice nella fase del giudizio sommario attualmente in corso ex art. 700 cod. proc. civ.

Nel merito il giudice a quo osserva poi che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il monopolio statale nella subiecta materia garantisce la libertà di manifestazione del pensiero dal pericolo di restrizioni che deriverebbe dall'instaurarsi di un monopolio od oligopolio privato dell'informazione, in conseguenza della limitatezza dei canali di trasmissione utilizzabili e dell'eccessivo costo degli impianti e della gestione degli stessi. Ove pertanto questi dati di fatto, storicamente verificabili, dovessero mutare peso e consistenza, potrebbe anche mutare il giudizio sulla funzione del monopolio pubblico dell’informazione e, conseguentemente, sulla legittimità delle norme che lo sorreggono.

Ciò posto il Pretore afferma che dalla documentazione esibita dalle società intimate «potrebbe ragionevolmente desumersi» che la situazione di fatto su cui poggiano le precedenti pronunzie della Corte sarebbe mutata per effetto dei progressi tecnici conseguiti, né il giudice del merito potrebbe spingere la sua indagine di fatto oltre l'ambito del giudizio delibativo rimesso alla sua competenza, tanto più che tali argomenti attengono direttamente alle motivazioni adottate a suo tempo dalla Corte, per cui spetterebbe a quest'ultima valutare se, ed in che misura, la diversa realtà tecnologica possa incidere sul giudizio di legittimità delle norme che, allo stato, sorreggono il monopolio pubblico delle trasmissioni televisive su scala nazionale. E in proposito il giudice a quo precisa che, anche indipendentemente dalla distinzione fra libertà di manifestazione del pensiero e disponibilità dei mezzi o strumenti idonei allo scopo, cui fa riferimento la RAI per affermare che l'art. 21 Cost. garantirebbe in ogni caso la detta libertà ma non la disponibilità dei mezzi di trasmissione, ove si ritenga che attualmente la tecnica consente entro limiti assai ampi la possibilità di accesso dei privati agli strumenti di trasmissione via etere a carattere nazionale, non potrebbero ritenersi legittime le attuali norme restrittive, non più giustificabili ai sensi dell'art. 43 Costituzione.

Inoltre, il prospettato profilo di illegittimità evidenzierebbe anche il dubbio circa il contrasto della normativa denunziata con l'art. 3 Cost.. Infatti la posizione di privilegio attribuita allo Stato concreterebbe una disparità di trattamento non sorretta da adeguata giustificazione, e ciò tanto più che attraverso il sistema dei ripetitori le reti televisive estere possono irradiare programmi sull'intero territorio nazionale, acquisendo così anch'esse una posizione di privilegio rispetto alle emittenti televisive nazionali.

Inoltre, secondo il giudice a quo, dovendosi riconoscere la operatività della normativa sul monopolio pubblico televisivo a carattere nazionale in relazione alle trasmissioni effettuate da emittenti locali ma estese a tutto il territorio nazionale per effetto della così detta interconnessione fra emittenti, poiché si tratterebbe comunque di trasmissioni estese a tutto il territorio nazionale la Corte dovrebbe altresì valutare la legittimità costituzionale della normativa denunziata anche sotto questo particolare profilo.

Il giudice a quo infine, in relazione alla richiesta di revoca del provvedimento di inibizione avanzata dalla SIT, SET e Royal Editrice, ritiene di dover precisare che la portata del provvedimento concerne esclusivamente la diffusione di programmi su scala nazionale, o aventi originariamente tale ambito o risultanti tali per effetto di accorgimenti tecnici quali l'interconnessione fra emittenti locali, restandone quindi libera l'irradiazione di programmi locali anche se operata da più emittenti in tempi diversi. Pertanto il provvedimento in esame non inciderebbe in alcun modo sull'attività imprenditoriale delle menzionate società, che si definiscono titolari di impianti aventi ambito esclusivamente locale e le relative doglianze entro questi limiti sarebbero infondate.

Si è costituita la soc. Rizzoli Editore in persona del suo presidente Amministratore delegato e legale rappresentante dott. Angelo Rizzoli rappresentato e difeso dagli avuti Stefano Varvesi, prof. Aldo Sandulli, prof. Carmine Punzi, prof. Gaetano Scoca, che hanno tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

La difesa della soc. Rizzoli richiama anzitutto la giurisprudenza della Corte in materia e ribadisce che la liceità del monopolio pubblico sarebbe stata ravvisata in base alla riconosciuta sussistenza del fine di utilità generale richiesto al riguardo dall'art. 43 Costituzione per l'avocazione allo Stato di servizi pubblici essenziali, fine che la Corte avrebbe identificato nella necessità di salvaguardare la completezza, l'obiettività e l'imparzialità nell'uso del più importante mezzo di diffusione del pensiero che avrebbero potuto essere compromesse dalla limitata utilizzabilità, all'epoca, dell'etere sia per la limitata disponibilità delle bande di trasmissione, sia per gli alti costi degli impianti che avrebbe condotto alla instaurazione di monopoli o di oligopoli privati. E la liberalizzazione delle trasmissioni straniere su scala nazionale e di quelle private via cavo su scala locale sarebbe stata appunto conseguenza di tale orientamento, dovendosi escludere per tali trasmissioni la sussistenza del pericolo di monopolio o oligopolio sopra menzionato.

La legge n. 103 del 1975, pur muovendosi apparentemente in conformità della ricordata giurisprudenza costituzionale, non avrebbe considerato che il progresso tecnico consentiva oramai una ben più vasta utilizzazione delle bande di frequenza anche per le trasmissioni via etere. Circostanza della quale invece avrebbe tenuto conto la Corte con una successiva sentenza (202/76), con la quale, affrontando il problema limitatamente alle trasmissioni via etere su scala locale riconosceva l'esistenza di una disponibilità sufficiente ad escludere il pericolo di monopoli od oligopoli privati e dichiarava di conseguenza l'illegittimità dell'estensione del monopolio pubblico alle emissioni su scala locale, che costituiva una non più giustificabile compressione del fondamentale principio di libertà garantito dall'art. 21 Costituzione.

Ciò premesso, la difesa della soc. Rizzoli afferma che la disponibilità attuale delle frequenze utilizzabili per i collegamenti televisivi via etere sarebbe di tale ampiezza «anche su scala nazionale» da non giustificare ulteriormente alcuna limitazione al principio di libertà di manifestazione del pensiero, il che evidenzierebbe altresì il contrasto dell’art. 1 della legge n. 103/75 con l'art. 43 Costituzione, là dove dopo avere premesso che la radiodiffusione è un servizio pubblico essenziale a carattere di preminente interesse generale, statuisce che «pertanto» è riservato allo Stato senza tener conto del venir meno dei fini di utilità generale pure richiesti dall’art. 43 per la istituzione del monopolio pubblico, e senza tener conto neppure che con tali criteri, si aprirebbe la strada alla riserva allo Stato anche dei giornali, del cinema, etc.

La difesa della soc. Rizzoli svolge quindi un'ampia trattazione tecnica dell'argomento, tendente a dimostrare l'esistenza di una molteplicità di canali di trasmissione, sia all'interno del piano nazionale delle frequenze approvate nel 1976 da 100 a 11700 MHZ, sia all'esterno di esso, da 11700 MHZ a 400.000 MHZ.

Anche sotto il profilo dei costi, la riserva di monopolio pubblico non troverebbe più alcuna giustificazione, poiché l'impiego dei transistors, e gli altri progressi tecnici in materia consentirebbero di realizzare una vasta copertura del territorio nazionale mediante una spesa di non più di 1500 milioni, «sopportabile da qualunque impresa» e comunque ben inferiore a quella necessaria per l'impianto di un giornale. Ed anche i costi di gestione sarebbero inferiori a quelli di un giornale, (e comunque sarebbe ampiamente condizionato dai ricavi della pubblicità, la cui gestione potenziata dalla emittenza privata avrebbe anche una funzione riequilibratrice del settore.

La difesa poi, premesso un ampio ed analitico esame della attuale situazione della disponibilità delle frequenze di trasmissione, con riferimento al D.M. 3 dicembre 1976 relativo al piano nazionale delle frequenze, afferma che, in forza di esso, sarebbe riservato al servizio pubblico di trasmissione un numero eccessivo di canali, neppure tutti utilizzati, ed asserisce che sarebbe ben possibile ridurre tale assegnazione allo scopo di aumentare la disponibilità per i privati senza ridurre la resa tecnica del servizio stesso. Il citato D.M. 3 novembre 1976 sarebbe anzi illegittimo appunto per l'irrazionale ed eccessiva assegnazione di frequenze al monopolio pubblico ivi disposta, e sarebbe un atto interno della pubblica Amministrazione che come tale non potrebbe essere tenuto presente in questa sede, ai fini di valutare la obiettiva situazione della disponibilità delle frequenze nei confronti dei terzi. Il potere discrezionale esercitato col decreto in esame, comunque, non sarebbe previsto da alcuna disposizione legislativa né avrebbe potuto esserlo, incidendo in materia di diritti costituzionalmente garantiti.

La difesa dedica la parte conclusiva delle proprie deduzioni alla contestazione della necessità del monopolio pubblico ai fini dell'osservanza dell'art. 21 Costituzione affermando che la facoltà di utilizzare l'etere estesa ai soggetti in grado di disporre degli appositi impianti non conculcherebbe detta libertà, il cui rispetto esige soltanto che tutti coloro che abbiano la possibilità di disporre di un mezzo idoneo posano utilizzarlo per diffondere il proprio pensiero. Ove esista la possibilità di un naturale pluralismo, quello realizzato attraverso il monopolio statale sarebbe in contrasto con la detta libertà, sul piano nazionale non meno che su quello locale, e senza che tale conclusione possa essere contraddetta né dal fatto che alla Radiotelevisione di Stato sovraintende una commissione parlamentare, che per la sua natura politica sarebbe portatrice di interessi più ristretti di quelli culturali connessi al servizio in esame, né dalla asserita possibilità che su scala nazionale finirebbero con l'imporsi grossi gruppi economici, in quanto, mentre ciò potrebbe egualmente affermarsi per la stampa, che nessuno pensa di sottoporre a monopolio pubblico, sarebbe sufficiente una legge antitrust per eliminare tale pericolo, né dalla paventata esclusione dai circuiti televisivi privati delle zone di minore redditività pubblicitaria, giacché anche ammesso che ciò potesse avvenire, non sarebbe argomento sufficiente ad escludere il pluralismo, potendosi eventualmente rimediare attraverso servizi pubblici a carico della collettività, né infine dalla ventilata minore professionalità dell'emittente privata rispetto a quella pubblica, che, se mai, sarebbe conseguenza solo dell'attuale illegittimo sistema.

Si sono anche costituite: la soc. SIT in persona del Incidente dr.ssa Maria Lina Marcucci, la soc. SET in persona dell'amministratore unico dr. Giuseppe Pulvirenti e la soc. Royal Editrice in persona dell'amministratore unico dr. Enzo Mentasti, tutti rappresentati e difesi dagli avuti prof. Pasquale Russo e Carlo Vichi che hanno depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

La difesa delle soc. SIT, SET e Royal Editrice, richiamandosi alle deduzioni svolte in sede pretorile, con le quali aveva affermato doversi ritenere ai sensi delle norme impugnate pienamente lecita l'attività di trasmissione di più emittenti locali, quali appunto esse deducenti, avente ad oggetto la trasmissione dello stesso programma ciascuna nel proprio ambito locale, ribadisce che il fenomeno dell'interconnessione fra stazioni locali o il ricorso allo stesso scopo ai ponti radio o alle cassette non trasformerebbe le emittenti locali in emittenti ultralocali o nazionali, in quanto si realizzerebbe così soltanto una diffusione in diverse località di uno stesso programma, mantenendo peraltro ogni emittente la propria autonoma individualità, e la propria zona di competenza.

La limitazione della libertà di emissione non riguarderebbe perciò i programmi che le varie emittenti trasmettono ciascuna per suo conto. E ciò sarebbe conforme alla giurisprudenza della Corte che avrebbe inteso vietare l'oligopolio economico, non ravvisabile nella diffusione di programmi eguali da parte di più emittenti, salvaguardando invece la diffusione pluralista delle idee che sarebbe limitata dalla esclusione della possibilità che una manifestazione del pensiero espressa in una regione possa circolare in un'altra. E d'altra parte i citati mezzi per la moltiplicazione della diffusione di uno stesso programma, offrendo una possibilità di utenza senza limiti ed a bassissimo costo, non urterebbero contro il presupposto tecnico che sta alla base delle decisioni della Corte, cioè la limitazione delle frequenze e gli alti costi di gestione.

Ciò premesso, la difesa osserva peraltro che le questioni di legittimità sollevate in relazione alle norme impugnate interpretate nel senso restrittivo adottato dal giudice a quo sarebbero fondate.

Sarebbero violati infatti l'art. 3 Costituzione, per l'irrazionale disparità di trattamento a danno delle emittenti locali, che si vedrebbero costrette a trasmettere ciascuna in ambito limitato mentre la concessionaria o le emittenti estere potrebbero farlo liberamente su scala nazionale; l'art. 21 Costituzione per la restrizione della libertà di manifestazione del pensiero che tale limitazione comporterebbe; l'art. 43 Costituzione letto in riferimento all'art. 41 Costituzione perché resterebbe soffocata senza motivo la libertà d'impresa sia sotto il profilo della produzione e commercializzazione dei programmi sia sotto il profilo della scelta e dell'acquisto dei programmi prodotti in ambiti locali diversi. Né l'astratta possibilità di oligopolio collegata all'eventuale controllo di pochi gruppi di una pluralità di emittenti varrebbe a giustificare il monopolio statale, che non da questo potrebbe essere garantito, bensì da una idonea normativa regolatrice.

D'altra parte, prosegue la difesa, non sussisterebbero ormai più le condizioni di limitatezza delle frequenze utilizzabili poste a base della ricordata giurisprudenza della Corte, e ciò sarebbe dimostrato dalla attualità di numerose emittenti nazionali oltre quelle RAI e costituite dalle emittenti straniere di Montecarlo, Svizzera, Capodistria e Francia ricevute in Italia, oltre alle possibilità offerte dalle irradiazioni via satellite. Le stesse limitazioni di frequenze disposte col D.M. 3 dicembre 1976 sarebbero comunque superate dall'adozione della convenzione di Torremolinos, ratificata con legge n. 790 del 1977, mentre il giudice amministrativo avrebbe annullato il detto decreto del 1976 nella parte in cui privilegiava la RAI nell'assegnazione dei canali televisivi.

Neppure le limitazioni economiche sarebbero realmente incisive ai fini in discorso poiché la costruzione della 3a rete RAI, particolarmente complessa secondo le ammissioni della stessa concessionaria, sarebbe costata meno di quattro miliardi, cioè meno di quanto occorre per impiantare una casa editrice o produrre un buon film.

Si sono altresì costituiti in questa sede la soc. Teletevere, in persona del legale rappresentante Pietro Manno, nonché di Fabrizio Menghini, in proprio, quale direttore editoriale, rappresentati e difesi dall'avv. Dario di Gravio che ha depositato nei termini le proprie deduzioni con cui si limita a richiamare le tesi già svolte nel giudizio avanti al Pretore, e sopra ricordate.

Si è altresì costituita la RAI Radiotelevisione Italiana S.p.A., in persona del Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante dr. Sergio Zavoli, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Paolo Barile, prof. Vezio Crisafulli, prof. Giuseppe Guarino, prof. Natalino Irti, prof. Alessandro Pace e Attilio Zoccali che hanno tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

La difesa della RAI, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte costituzionale, e della Corte Suprema di Cassazione, pone in evidenza la necessità di una autorizzazione per l'esercizio dell'attività televisiva, con contestuale assegnazione della frequenza da parte del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Dato che le soc. Rizzoli, SIT e SET non hanno nemmeno chiesto tale autorizzazione, le stesse non avrebbero titolo ad esercitare l'attività televisiva, e conseguentemente, non avrebbero interesse a sollevare la questione di legittimità che, pertanto, sarebbe inammissibile perché irrilevante.

D'altra parte, con riferimento al profilo di illegittimità prospettato nell'ordinanza di rinvio in relazione alle norme che disciplinano il potere autorizzatorio (artt. 1 e 183 cod. postale, così come modificati dall'art. 45 della legge n. 103 del 1975) censurate in quanto conferirebbero il detto potere con discrezionalità assoluta senza specificare i criteri per la concessione, la difesa osserva che l'affermazione sarebbe inesatta in quanto la assegnazione delle frequenze sarebbe disciplinata dalle norme internazionali (d.P.R. 25 settembre 1967 n. 1525 e legge 7 ottobre 1977 n. 790), la concreta assegnazione sarebbe stata legittimamente effettuata con il D.M. 3 dicembre 1976 ed i criteri relativi sarebbero desumibili dai principi costituzionali quali interpretati dalla Corte con la sentenza n. 202/1976. Secondo la difesa, la questione, pertanto, sarebbe sotto questo profilo manifestamente infondata per cui «rimarrebbe insuperabile l'eccezione di non pertinenza ed irrilevanza delle questioni proposte».

Comunque la questione sarebbe infondata.

Ed a dimostrazione della sua tesi, la difesa osserva anzitutto che la disciplina della telediffusione nazionale quale servizio pubblico essenziale dettata dalla legge n. 103 del 1975, garantirebbe le esigenze di tutela del pluralismo, dell'indipendenza, della obiettività e della completezza degli scopi culturali e sociali del mezzo pubblico televisivo sotto il controllo della apposita Commissione parlamentare, caratteristiche tutte che ovviamente non potrebbero essere richieste alle trasmissioni private. D'altra parte la considerazione fondamentale che avrebbe indotto la Corte a riconoscere la liceità costituzionale del monopolio pubblico sarebbe che la libertà di antenna su scala ultra locale si trasformerebbe inevitabilmente in un potere privato, ancor più pericoloso di un analogo potere pubblico in quanto volto, a differenza di quest'ultimo, allo sfruttamento commerciale delle sole zone del Paese economicamente più redditizie tanto più che la riserva del monopolio non contrasta con l'art. 21 Cost., la cui garanzia riguarderebbe la libertà di manifestazione del pensiero nel suo contenuto, indipendentemente dai modi e dai mezzi di diffusione e dalla astratta disponibilità per tutti di questi ultimi, e proteggerebbe comunque la manifestazione del pensiero individuale, mentre la attività della ricorrente, che è una società commerciale, meglio dovrebbe qualificarsi attività di impresa, e come tale ricadrebbe più propriamente sotto la tutela dell’art. 41 Costituzione. Ed appunto la soc. ricorrente intenderebbe svolgere essenzialmente attività commerciale incentrata sul profitto pubblicitario, in relazione al quale lo spettacolo sarebbe solo mezzo al fine di lucro. Il che comporterebbe la crescita dell'attività pubblicitaria e della relativa spesa, con danno dei consumatori, sui quali ricadrebbe in ultima analisi l'incremento della spesa stessa, che la difesa quantifica in 210 miliardi prevedibili per il 1984. E nell'ambito di tale mercato gli imprenditori più forti agirebbero per la conquista del mercato, sfruttando la loro maggiore potenzialità economica, escludendo prima o poi le concorrenti minori e giungendo necessariamente al monopolio od oligopolio con le implicazioni anche politiche che una simile conclusione prospetta. Il che evidenzierebbe la necessità di salvaguardare il servizio di trasmissioni televisive da così pesanti condizionamenti, rendendolo aderente alla sua funzione culturale, di dibattito, di informazione e di svago.

Da ultimo, la difesa constata poi che, poggiando sostanzialmente le argomentazioni del giudice a quo sull'elemento tecnico della supponibile evoluzione delle condizioni di limitatezza della disponibilità di canali, in difetto peraltro di un rigoroso accertamento al riguardo, e pur dovendosi rilevare che più correttamente il giudice a quo avrebbe dovuto direttamente effettuare le necessarie indagini, in quanto i presupposti di fatto della non manifesta infondatezza debbono essere certi, e non solamente probabili o ragionevoli, occorrerebbe in ogni caso disporre una consulenza tecnica da espletare o a cura del giudice a quo, a cui all’uopo andrebbero rimessi gli atti, o, direttamente, dalla Corte in base ai suoi poteri istruttori, allo scopo di accertare i dati tecnici sulla disponibilità delle radiofrequenze, sul costi di impianto e di esercizio, sulle possibili dimensioni degli introiti, nonché tutti gli altri necessari dati di carattere tecnico ed economico utili alla decisione.

La difesa, comunque, ha anche depositato una seconda memoria specificamente illustrativa degli aspetti tecnici ed economici delle questioni in esame, con la quale gli argomenti sono diffusamente trattati al fine di dimostrare l'entità delle spese di impianto e di gestione delle reti su scala nazionale che, anche nella ipotesi meno costosa, ascenderebbero comunque a decine di miliardi, ed analizza altresì la disponibilità di canali su scala nazionale in forza del piano di Stoccolma del 1961, che sarebbe critica per quanto riguarda gli impianti di copertura di grande potenza.

Si è costituito anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che ha ritualmente depositato le proprie deduzioni.

In relazione all'eccezione di rilevanza formulata dalla RAI l'Avvocatura osserva che nell'ambito del processo cautelare la qualificazione della situazione giuridica delle convenute in ordine all'esercizio dell’attività di trasmissione televisiva via etere non avrebbe rilievo ai fini del provvedimento pretorile, presupposto del quale sarebbe solo l'eventuale riconoscimento alla RAI del diritto di escludere altri dall'attività di radiotelediffusione su scala nazionale indipendentemente dalla situazione amministrativa delle società convenute.

Quanto al merito, l'Avvocatura, dopo avere ricordato che la questione è stata sollevata in vista della asserita modifica delle condizioni di fatto (limitatezza delle frequenze) che avrebbero ispirato le pronunzie precedenti della Corte, afferma che, dall'evoluzione della giurisprudenza costituzionale, invece, sarebbe lecito ritenere superata tale prospettiva esclusiva in quanto la Corte avrebbe poi anche riconosciuto che l'attività di telediffusione attiene ad un servizio pubblico essenziale e che questa condizione in connessione con i fini di utilità generale ravvisati nella peculiarità dell'attività stessa, consentirebbe autonomamente l'istituzione del monopolio pubblico ai sensi dell'art. 43 Costituzione. Ciò posto, e dopo avere affermato che l'asserita sopravvenuta disponibilità delle frequenze troverebbe una smentita nelle clausole limitative in materia adottate con la convenzione di Malaga-Torremolinos (legge 7 ottobre 1977 n. 790), rileva che permarrebbe comunque il rischio che possano accedere all'etere soltanto pochi gruppi economicamente più forti, che finirebbero con l'escludere gli altri eventuali concorrenti con l’ovvia prospettiva della formazione di un oligopolio.

Trattando poi specificamente la questione con riferimento al problema delle interconnessioni fra stazioni emittenti locali, l'Avvocatura osserva che dovendosi porre in primo piano il carattere di servizio pubblico essenziale quale elemento giustificativo del monopolio pubblico della diffusione radiotelevisiva via etere, anche il fenomeno delle interconnessioni andrebbe riguardato sotto tale profilo e la questione quindi, dichiarata infondata.

L’Avvocatura, avviandosi alla conclusione delle proprie argomentazioni, afferma che, rispetto all'uso di quei mezzi di diffusione del pensiero, che, per le loro

caratteristiche tecniche, consentano di compromettere il contemporaneo esercizio, da parte di altri, della libertà di manifestazione del pensiero con l'identico

mezzo, non potrebbe ritenersi sussistente una garanzia costituzionale assoluta ed

incondizionata, onde la riserva allo Stato dei mezzi stessi sarebbe da ritenere compatibile con l'art. 21 Costituzione, che per i detti motivi, appunto, non può garantire in identica misura ed allo stesso modo l'uso di tutti i mezzi di diffusione del pensiero.

Infine si è anche costituita, depositando il relativo atto fuori termine, l'Associazione Nazionale Teleradiodiffusione indipendenti, in persona del Presidente avv. Eugenio Porta, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Paolo Stella Richter.

Le parti costituite, tranne la soc. Teletevere, hanno tutte depositato memorie illustrative a sostegno delle tesi già svolte nella prima difesa.

La soc. Rizzoli insiste nell'affermare la rilevanza della questione sollevaLa, ribadendo in sostanza le argomentazioni già esposte dal giudice a quo, nell'ordinanza di rinvio.

Trattando in particolare della normativa internazionale in materia afferma che essa avrebbe carattere indicativo, ma non imperativo per i cittadini. Il Regolamento per le radiocomunicazioni approvato a Ginevra nel 1959 avrebbe invero natura di mero regolamento amministrativo interno, stante il regime di monopolio pubblico esistente in Italia, e ciò sarebbe confermato dalla mancata pubblicazione dell'atto, idoneo a stabilire soltanto impegni fra gli Stati aderenti, al fine di coordinare le trasmissioni evitando disturbi tra paese e paese. Il Regolamento internazionale non avrebbe comunque «imposto» agli Stati di utilizzare certe frequenze ma le avrebbe solo indicativamente assegnate e pertanto non varrebbe richiamarsi ad esso per giustificare il monopolio statale delle radioteletrasmissioni.

La memoria si diffonde poi nel contestare la funzione del monopolio pubblico, che finirebbe col comprimere il pluralismo informativo e culturale, in contrasto con l'art. 21 Costituzione. Pertanto, pur dovendosi riconoscere allo Stato il compito di regolare la materia al fine di evitare l'istituirsi di monopoli privati, ciò non comporterebbe la necessità di un monopolio pubblico, ma solo evidenzierebbe l'esigenza di giungere ad una opportuna regolamentazione legislativa della materia.

Comunque, in concreto, già esisterebbero ed avrebbero dato ottima prova catene di trasmissioni a livello «quasi nazionale», mentre, d'altra parte, i costi di impianto e di gestione non potrebbero neppure giustificare il monopolio statale, poiché i servizi privati razionalmente organizzati e condotti attraverso le opportune interconnessioni consentirebbero di ridurre enormemente i costi stessi.

La memoria passa poi ad illustrare aspetti tecnici del problema in esame, al fine

di dimostrare che è agevolmente possibile realizzare una molteplicità di reti attraverso collegamento per mezzo di ponti-radio, e conclude insistendo sulle posizioni già illustrate nella prima difesa, ed affermando, in particolare, che le conoscenze tecniche in materia sarebbero «diffuse» ed alla «portata di tutti», per cui la Corte potrebbe decidere senza bisogno di disporre consulenza tecnica. Ad ogni buon fine, comunque, risulta allegata alla memoria una relazione tecnica del prof. Angelo Bernardini tendente a asseverare la possibilità di coprire tutto il territorio nazionale con catene di trasmettitori privati di piccola potenza collegati per ponte-radio, che non creerebbero turbamenti alle preesistenti assegnazioni del piano di Stoccolma. Dato l'elevato numero di reti di collegamento così realizzabili, ed il relativamente basso costo di impianto e di gestione sarebbe garantita la pluralità

dell'informazione e resterebbe escluso il pericolo del formarsi di oligopoli.

Ha depositato una memoria anche la difesa delle società SIT S.p.A., SET s.r.l. e Royal Editrice s.r.l..

Si afferma ivi anzitutto l'infondatezza della eccezione di irrilevanza della questione sollevata dalla RAI, e si sostiene che l'oggetto del giudizio principale è limitato alla conferma o revoca del provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., per cui sarebbero del tutto inconferenti le argomentazioni svolte dalla difesa della RAI circa l'eventuale illiceità dell'attività di emissione senza autorizzazione, che comunque attualmente, dopo la sentenza n. 202/76 della Corte, non sarebbe nemmeno più richiesta.

Insiste poi nel sostenere la insussistenza in base alle disposizioni vigenti di qualsiasi divieto per quanto riguarda l'interconnessione fra stazioni locali e, sotto questo profilo, riafferma la pretesa irrilevanza della questione per quanto riguarda appunto tale tipo di trasmissione, ribadendo comunque che la questione riguarderebbe essenzialmente la libertà di circolazione sul territorio nazionale dei programmi televisivi attraverso la ripetizione da parte di più emittenti con vari mezzi tecnici, ed indipendentemente quindi dalla disponibilità delle frequenze. Ed in proposito si richiama alla giurisprudenza della Corte (sentenza n. 202/76) con la quale si sarebbe dichiarata l'illegittimità della riserva allo Stato della installazione e dell'esercizio degli impianti di trasmissione via etere di portata non eccedente l'ambito locale, senza coinvolgere peraltro la libera circolazione dei programmi.

Nella memoria si torna poi a contestare la fondatezza della questione facendo particolarmente riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero ed alla esigenza di tutelarne l'osservanza, che sarebbe incompatibile col monopolio pubblico dell'emittenza televisiva su scala nazionale anche perché la garanzia costituzionale si estenderebbe alle manifestazioni del pensiero di gruppi organizzati oltre che dei singoli individui ed alla manifestazione del pensiero altrui oltre che del proprio. Ed aggiunge che le garanzie di accesso al mezzo televisivo fornite dalle vigenti disposizioni in materia non varrebbero al fine di conseguire l'effettivo rispetto del principio di cui all'art. 21 Costituzione, per la incompleta e parziale attuazione delle garanzie stesse da parte degli organi competenti.

Anche la RAI-TV ha depositato una memoria illustrativa, con cui svolge ampiamente le tesi già sostenute nelle prime difese.

Nella memoria si riafferma anzitutto che, ove si ritenesse che la questione di legittimità investe anche il potere della pubblica Amministrazione di formare il piano di assegnazione delle frequenze, dovrebbe ritenersi inammissibile perché irrilevante in quanto il potere stesso non sarebbe sorretto dalle norme impugnate ma deriverebbe dalla regolamentazione internazionale della materia e particolarmente dal Regolamento internazionale delle radiocomunicazioni approvato a Ginevra nel 1959. Nella memoria poi si svolgono ulteriori argomenti per negare la discrezionalità assoluta del potere in esame, e per negare comunque che esista in materia una riserva assoluta di legge.

Nella memoria poi vengono ribadite le considerazioni già svolte circa la limitatezza delle frequenze disponibili, escludendo in particolare l'attualità delle trasmissioni via satellite, per la cui generalizzazione ancora dovrebbero attendersi molti anni.

Comunque, ove la Corte ritenesse di disporre al riguardo consulenza tecnica, occorrerebbe precisare la nozione di ambito locale (in relazione al quale soltanto è stata riconosciuta la illegittimità del monopolio pubblico) e stabilire sia l'indisponibilità da parte dei privati delle frequenze necessarie per il completamento delle tre reti televisive RAI, sia il necessario rispetto delle norme e dei vincoli internazionali per ciò che riguarda la qualità del segnale e la percezione delle interferenze, sia infine il tipo del sistema ricevente.

Nella memoria si torna ad insistere anche, con diffuse argomentazioni, sulla inevitabilità dell'istituirsi di un oligopolio privato per effetto dell'abolizione del monopolio pubblico e in particolare si pone in evidenza l'influenza di possibili finanziamenti privati sull'effettiva pluralità e libertà dell’informazione, nonché la elevata spesa occorrente per l'istituzione e la gestione di stazioni emittenti televisive su scala nazionale.

La memoria si sofferma poi su considerazioni volte a dimostrare che il servizio di teletrasmissioni ha natura di servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale e che sussisterebbero le ragioni di utilità generale che l'art. 43 Costituzione pone come condizione per il monopolio pubblico di un servizio di tale natura, ragioni identificabili essenzialmente nella necessità di evitare la concentrazione oligopolistica delle emittenti.

Tale concentrazione oltretutto ostacolerebbe la diffusione di programmi sollecitati dalle varie ed articolate componenti della complessa realtà sociale cui la RAI, quale concessionaria, è invece tenuta in base alla convenzione, al fine di garantire l'interesse generale alla integrazione della collettività nazionale nell'assolvimento del compito dell'informazione e di promozione culturale locale e nazionale proprio del servizio di radiotelediffusione.

Ribadite poi le argomentazioni già svolte circa gli elementi che caratterizzano la peculiarità del servizio pubblico stesso, la memoria ne evidenzia i punti di differenziazione dalla stampa, in funzione dei quali, quindi noti sarebbe concepibile un'estensione a quest'ultimi della riserva monopolistica pubblica. E tali punti vengono indicati nella minore diffusione della stampa, e nella diversità del mezzo di comunicazione, sia per la limitatezza dell'etere che non trova riscontro per quanto riguarda la stampa, sia per la materialità del veicolo che, avvalendosi essenzialmente di immagini, può avere effetti più penetranti e acriticamente recepibili che non la parola scritta. L'espressa menzione della sola stampa nell'art. 21 Costituzione, evidenziando la particolare garanzia che il Costituente avrebbe inteso apprestare soltanto a tale mezzo di manifestazione del pensiero a differenza degli altri confermerebbe la bontà delle argomentazioni di cui sopra.

Nella memoria inoltre, si tornano a prospettare i gravi inconvenienti che deriverebbero dall'abolizione del monopolio statale ponendo l'accento sulla preminenza dell'elemento del profitto economico nella gestione delle imprese private emittenti, nonché sui riflessi negativi di tale gestione sulle altre imprese del settore informativo culturale (cinema, stampa) e sulla mancanza di una idonea normativa antitrust. Si riafferma, altresì, in base alle argomentazioni già svolte la legittimità del divieto della interconnessione tra emittenti locali ribadendo il concetto che l'interconnessione stessa, comunque attuata, sarebbe in sostanza solo un modo per trasmettere in ambiti più vasti di quelli consentiti, eludendo oltre tutto la necessità della concessione governativa.

Si tratta poi specificamente il profilo di illegittimità prospettato nell'ordinanza di rinvio con riferimento alla pretesa violazione dell'art. 3 Costituzione per effetto del trattamento privilegiato che sarebbe usato a favore dell'emittenti estere che potrebbero trasmettere in tutto il territorio nazionale a differenza delle emittenti private italiane.

Secondo la difesa della RAI si tratterebbe di situazioni con comparabili in quanto differenziate per la specialità della disciplina dei ripetitori, soggetti a norme particolari restrittive per l'impianto e la gestione.

Nella memoria infine si espone una visione panoramica della situazione giuridico-economica del servizio radiotelevisivo in varii ordinamenti stranieri, concludendo che non esisterebbe un sistema nel quale ci sia libertà assoluta di impiantare ed utilizzare emittenti radiotelevisive.

Allegata alla memoria la difesa della RAI ha altresì esibito una relazione tecnica

del prof. Claudio Egidi del politecnico di Torino, presentata al Convegno della

Fondazione Rizzoli tenutosi a Venezia nel marzo 1981. La relazione, dopo un'ampia trattazione tecnica, sostiene che attualmente la presenza massiccia di trasmettitori isolati privati precluderebbe la possibilità di installare altre reti a copertura nazionale o anche regionale, e conclude affermando che per ovviare a tale inconveniente occorrerebbe mettere ordine nel sistema attraverso una gestione

«centralizzata ed agile» della disponibilità delle frequenze.

Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha infine depositato una memoria con cui formula osservazioni di carattere tecnico ad integrazione di quanto già dedotto nella prima difesa e, richiamandosi anche al Regolamento internazionale della

radiodiffusione, riafferma che la limitatezza dei canali non potrebbe consentire una proliferazione di reti via etere a carattere nazionale.

Nella memoria si contesta poi anche che possa effettivamente conseguirsi una

sufficiente moltiplicazione delle possibilità di trasmissione su scala nazionale attraverso il collegamento tra loro degli impianti locali e si afferma che tale conclusione varrebbe anche sotto il profilo economico, giacché la spesa per effettuare tali collegamenti sarebbe rilevante e comunque dell'ordine di alcuni miliardi e accessibile quindi solo ad un limitato numero di soggetti.

CONSIDERATO IN DIRITTO


1. - La difesa della RAI TV, in via pregiudiziale, riproponendo una eccezione già disattesa dal Pretore, sostiene che, stante la necessità della autorizzazione amministrativa per l'esercizio dell'attività televisiva, ed in mancanza della autorizzazione medesima, che le società private parti in giudizio non hanno nemmeno richiesto, le stesse non avrebbero titolo e quindi interesse per fondare la domanda avanzata davanti al giudice a quo, e la questione sarebbe pertanto manifestamente irrilevante.

A riguardo va osservato che il giudice a quo, dopo aver ritenuto rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità concernente le norme costitutive del diritto posto dalla RAI a fondamento della sua pretesa, ha considerato non determinante in quella fase l'accertamento della legittimità, sul piano amministrativo, della condotta delle imprese private.

In realtà, ai fini dell'invocato provvedimento cautelare, appariva sufficiente la deliberazione degli elementi anzidetti, dovendo ogni altra contestazione essere risolta nella sede propria, costituita dall'eventuale successivo giudizio di merito.

Né può dubitarsi che il punto di cui si discute fosse controverso, posto che appariva tutt'altro che pacifica tra le parti - che si richiamavano a contrastanti decisioni - giurisprudenziali - la qualificazione giuridica da attribuire alla posizione soggettiva riconosciuta alle imprese private dalla sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte.

2. - Ciò posto, e passando ad esaminare il merito, è da rilevare che la Corte è chiamata a decidere se il combinato disposto degli artt. 1, 183, 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, concernenti l'appartenenza in esclusiva allo Stato, tra l'altro, dei servizi di telecomunicazione, modificati dall'art. 45 della legge 193/75, e posti in relazione sia con gli artt. 1 e 2 e segg. della stessa legge n. 103/75 (che ribadisce la riserva allo Stato delle trasmissioni televisive e radiofoniche via etere su scala nazionale definendo il servizio stesso un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale), sia con l'art. 2 della legge 10 dicembre 1975 n. 693 (recante le attribuzioni del Consiglio superiore tecnico delle poste e delle telecomunicazioni, connesse col detto regime di esclusiva), contrasti, anzitutto, con gli artt. 21 e 43 della Costituzione.

Il giudice a quo prospetta il dubbio di legittimità delle dette norme osservando che, diversamente da quanto considerato in precedenti pronunzie di questa Corte, attualmente, in seguito alle acquisizioni di carattere tecnologico sopravvenute in questi ultimi anni, non sussisterebbero più quella limitatezza delle frequenze di trasmissione via etere delle emissioni radiotelevisive e l'elevato costo dell'impianto e gestione di tali servizi che avrebbero costituito gli elementi essenziali in base ai quali, nella precedente giurisprudenza di questa Corte, era stata esclusa l'illegittimità della riserva allo Stato dei servizi radiotelevisivi; sicché non potrebbe più sostenersi che i fattori anzidetti avrebbero aperto la via alla possibile instaurazione a monopolio od oligopoli privati nel caso di cessazione del monopolio statale, ponendo l’attività di radioteletrasmissione nella disponibilità di uno o pochi soggetti privati, prevedibilmente mossi da interessi particolari, con le deprecabili conseguenze in danno della obiettività, imparzialità, completezza e continuità del servizio in tutto il territorio nazionale che tale situazione comporterebbe.

Secondo il giudice a quo la nuova situazione di fatto - e cioè l'accresciuta disponibilità dei mezzi di trasmissione e il diminuito onere del costo dei servizi sarebbe ragionevolmente desumibile dagli atti del giudizio principale, che, pur senza fornire certezze al riguardo, sarebbero può sufficientemente significativi al fine di giustificare il dubbio sulla legittimità delle norme impugnate, salvo migliore e definitivo accertamento da effettuare direttamente in questa sede.

Va preliminarmente rilevato che, per le ragioni appresso indicate, non occorre decidere se un accertamento di tal genere competa, giudice a quo, riguardando esso i fatti costitutivi della pretesa dedotta in giudizio ovvero, come sostiene il Pretore, spetti alla Corte in quanto rientrante nel giudizio di legittimità della legge.

Invero, ai fini della decisione, soccorrono ulteriori argomenti, indipendentemente dalla verifica della attuale situazione della disponibilità delle frequenze di trasmissione e dei costi da sopportare.

A riguardo appare anzitutto opportuno ricordare le precedenti pronunzie di questa Corte cui il giudice a quo fa riferimento nell'ordinanza di rinvio, onde evidenziare la non completa considerazione dei contenuti delle pronunzie stesse.

Tra le sentenze da tenere presente va menzionata la n. 59 del 1960 con cui questa Corte, nel collegare l'esigenza della riserva allo Stato del servizio di radiotelediffusione alla limitatezza delle frequenze, ha tuttavia riconosciuto in via generale che il monopolio statale del servizio stesso è la migliore garanzia della obiettività ed imparzialità nella diffusione del pensiero in cui si concreta l'attività di radioteletrasmissione, ed ha precisato che il monopolio stesso costituisce presupposto idoneo a garantire, attraverso l'adozione di adeguate normative, la possibilità di avvalersi del mezzo radiotelevisivo a coloro che ne abbiano interesse. E con la stessa sentenza è stato anche posto il principio basilare, ribadito successivamente secondo cui non contrasta col principio di libertà di manifestazione del pensiero l'avocazione allo Stato di quei mezzi di diffusione di esso che, in regime di libera iniziativa, siano destinati naturalmente a dar luogo a situazioni di monopolio o di oligopolio (sentenze 46/61, 105/74, 225/74).

Con la sentenza 225/74, pur confermando la persistenza della limitazione delle frequenze disponibili, la Corte ha sviluppato i concetti già espressi ribadendo non potersi minimamente dubitare che, nell'attuale contesto storico, la radiotelediffusione soddisfi un bisogno essenziale della collettività e che, pertanto, essa debba qualificarsi un servizio pubblico essenziale, caratterizzato da quel preminente interesse generale che la norma costituzionale dell'art. 43 richiede perché legittimamente possa esserne disposta la riserva allo Stato, senza per questo essere incompatibile con l’art. 21 Costituzione, dato che “il monopolio pubblico deve essere inteso e configurato come necessario strumento di allargamento della area di effettiva manifestazione della pluralità delle voci esistenti nella nostra società”. E la Corte ha invero approfondito la propria analisi al riguardo esplicitamente affermando: 1) che la radiotelediffusione adempie a fondamentali compiti di informazione; 2) che concorre alla formazione culturale del paese; 3) che diffonde programmi che in vario modo incidono sulla pubblica opinione; ed ha concluso essere perciò necessario che essa non divenga strumento di parte. Testualmente la sentenza afferma al riguardo che "solo l'avocazione allo Stato può e deve impedirlo".

Vero è che, in quella occasione, la Corte, occupandosi dell'attività dei ripetitori in stazioni trasmittenti estere ha riconosciuto l'illegittimità dell'estensione del monopolio a tale limitato settore, ma con ciò non vengono certamente vulnerati i principii generali sopra enunciati, poiché quella decisione si ispirava espressamente alla specificità del settore considerato che, ove sottoposto a riserva statale, avrebbe finito col "realizzare una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazione" senza apprezzabili ragioni ed in contrasto con l'esigenza della libera circolazione delle idee anche sul piano internazionale.

Una ulteriore conferma e precisamente del pensiero testé esposto emerge poi

dalla sentenza n. 226/74 con cui la Corte, occupandosi dello stesso problema riferito alle reti di radioteletrasmissione via cavo, in ordine alle quali si sosteneva l'insussistenza dell'ostacolo derivante dalla indisponibilità di frequenze di trasmissione, data la particolarità del mezzo adottato, ha, ribadito i concetti espressi in precedenza con riferimento alla trasmissione via etere, indipendentemente dalla disponibilità più o meno ampia di frequenze, riconoscendo che il costo di un impianto televisivo via cavo il quale comprenda l'intero territorio nazionale, o comunque la massima parte di esso, potrebbe essere talmente elevato da dar luogo a gravi pericoli di insorgenza di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua realizzazione non restasse riservata allo Stato ma fosse intrapresa da privati. Pertanto, prosegue la sentenza, “le stesse ragioni che in via di principio giustificano il monopolio statale della radiotelevisione via etere giustificano la riserva allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando questi assumono le dimensioni innanzi indicate". E’ sempre più evidente, in tali affermazioni, la convinzione della Corte che non solo l'elemento della disponibilità delle frequenze di trasmissione sia decisivo ai fini del mantenimento del monopolio statale in materia, ma anche l'esistenza di condizioni tali da rendere possibile l'insorgenza di un monopolio privato in un settore tanto delicato della vita sociale. Su ciò si fondano i motivi di utilità generale che, a norma degli artt. 21 e 43 Costituzione, autorizzano la riserva allo Stato.

Nella detta pronuncia venne altresì evidenziato un altro aspetto di indubbio interesse là dove, appunto, la sussistenza dei motivi testé enunciati a favore della conservazione della riserva allo Stato delle trasmissioni via cavo su scala nazionale fu esclusa invece per le trasmissioni con lo stesso mezzo su scala locale, in relazione al ritenuto basso costo degli impianti di tal genere, con la conseguente insussistenza del pericolo di oligopolio. Veniva, pertanto, meno, con riguardo all'ambito locale, quella finalità di utilità generale in base alla quale era stata inibita la realizzazione di una pluralità di reti televisive locali via cavo; che, anzi - ebbe allora ad affermare la Corte - attraverso queste ultime era più largamente attuata da libertà di manifestazione del pensiero sancita dall'art. 21 Costituzione.

E’ infine da considerare la sentenza n. 202/76, la quale, pur richiamando la rilevanza della limitatezza dei canali disponibili, e, pur riconoscendo che, su scala locale, la disponibilità di frequenze è tale da escludere il pericolo di monopolio o oligopolio privato, e se ne renderebbe pertanto possibile la liberalizzazione, conferma tuttavia a chiare lettere che ciò non comporta «che debba escludersi la legittimità delle norme che riservano allo Stato le trasmissioni radiofoniche e televisive su scala nazionale».

Da tutto quanto testé ricordato emerge pertanto la consolidata opinione della Corte che il servizio pubblico essenziale di radioteletrasmissione, su scala nazionale, di preminente interesse generale, può essere riservato allo Stato in vista del fine di utilità generale costituito dalla necessità di evitare l'accentramento dell'emittenza radiotelevisiva in monopolio od oligopolio privato. Necessita, va aggiunto, che non emerge soltanto in relazione alla maggiore o minore disponibilità delle frequenze di trasmissione, ma attiene altresì alla natura del fenomeno delle radioteletrasmissioni visto nel contesto socioeconomico in cui esso è, destinato a svilupparsi.

Va peraltro considerato che l'asserito aumento della disponibilità delle frequenze non appare anche peraltro aspetto elemento determinante per escludere il pericolo di oligopoli privati. Invero, una serie di fattori di ordine economico, con la utilizzazione del progresso della tecnologia, fa permanere i rischi di concentrazione oligopolistica attraverso lo strumento della interconnessione e degli altri ben noti mezzi di collegamento di vario tipo oggi esistenti per le trasmissioni televisive.

Proprio per evitare tali inconvenienti sin da allora percepiti, la sentenza n. 202 del 1976, nel riconoscere il diritto di iniziativa privata nelle trasmissioni via etere in ambito locale, segnalò al legislatore la necessità di regolarne l'esercizio, in modo da armonizzarlo con il connesso servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale costituito dalla diffusione su scala nazionale affidata al monopolio statale, al fine di realizzare, così, nell'interesse dell'utente, una equilibrata coesistenza tra servizio pubblico e iniziativa privata.

Ma per la persistente inerzia del legislatore la situazione non è oggi diversa da quella sottoposta a suo tempo alla verifica di costituzionalità e pertanto non può la Corte discostarsi dalle sue precedenti statuizioni.

Dalle esposte considerazioni deriva la irrilevanza ai fini del decidere di ogni indagine, anche istruttoria, volta a stabilire se sussistano l'asserito aumento delle frequenze disponibili e la diminuzione dei costi di impianto e gestione dei servizi televisivi, non essendo gli anzidetti elementi determinanti e risolutivi per escludere il pericolo di formazione di oligopoli privati.

3. - Né potrebbe opporsi al riguardo l'apparente contraddittorietà derivante dalla esclusione dal monopolio statale delle trasmissioni locali in vista della natura di servizio pubblico essenziale attribuibile anche a queste ultime. Tale obiezione, infatti, prescinde dalla considerazione di quelli che sono i dati caratteristici del mezzo di diffusione del pensiero in esame che, per la sua notoria capacità di immediata e capillare penetrazione nell'ambito sociale attraverso la diffusione nell'interno delle abitazioni o per forza suggestiva della immagine unita alla parola, dispiega una peculiare capacità di persuasione e di incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica nonché sugli indirizzi socio-culturali, di natura ben diversa da quella attribuibile alla stampa. L'emittenza privata può essere attualmente esercitata senza le conseguenze dannose di cui si è parlato solo in ambito locale per la oramai ivi acquisita pluralità di altre emittenti di diversi e contrastanti indirizzi, mentre largamente travalicherebbe questi limiti qualora si estendesse a tutto il territorio nazionale, ove i suoi effetti si moltiplicherebbero di intensità finendo coli l'attribuire al soggetto privato, operante in regime di monopolio o oligopolio, una potenziale capacità di influenza incompatibile con le regole del sistema democratico. Capacità che si risolverebbe, oltre tutto, come del resto è già stato sopra ricordato, proprio nella violazione di quell'art. 21 Costituzione che, invece, si invoca a sostegno della tesi favorevole dell’abolizione del monopolio statale. Infatti, come è evidente, la delineata posizione di preminenza di un soggetto o di un gruppo privato non potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e tecniche del primo, finirebbero col vedere progressivamente ridotto l'ambito di esercizio delle loro libertà.

Ciò vale ovviamente, allo stato attuale della legislazione, in base alla quale, per la permanente carenza di una normazione adeguata, restano appunto aperte le possibilità di oligopolio o monopolio sopra delineate. A diverse conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore, affrontando in modo completo ed approfondito, il problema della regolamentazione delle TV private, apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche o oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione incluse quelle pubblicitarie.

4. - In base alle considerazioni che precedono, non solo va esclusa la violazione degli artt. 21 e 43 Costituzione ma, in relazione all'art. 3 Costituzione pure invocato, emerge anche la non comparabilità fra la situazione dell'impresa concessionaria del servizio pubblico e la situazione dei privati imprenditori, che per le stesse ragioni, legittimamente vedono sottratto l'esercizio del servizio stesso alla loro sfera di disponibilità. E, come pure si è detto, il difetto di omogeneità è riscontrabile anche fra la situazione dei privati, cui è inibita la facoltà di trasmissione su scala nazionale, e le emittenti estere cui invece tale facoltà è stata riconosciuta. Invero le trasmissioni provenienti dall'estero costituiscono, allo Stato, un fenomeno con caratteristiche del tutto particolari, non paragonabile sotto alcun profilo a quello cui lo si vorrebbe raffrontare. Pertanto è da escludere l'operatività nella specie del principio di eguaglianza.

5. - Il giudice a quo, nell'ordinanza di rinvio, ha rappresentato altresì un aspetto particolare della problematica sollevata, riferendosi al fenomeno delle interconnessioni fra stazioni locali emittenti, effettuate in modo tale da estendere la diffusione a tutto il territorio nazionale. Al riguardo il giudice osserva che, in sostanza, l'interconnessione così praticata involgerebbe un problema di legittimità costituzionale analogo a quello prospettato in linea principale, risolvendosi in una diffusione a carattere nazionale, come tale riservata allo Stato dalle norme impugnate.

In proposito è sufficiente osservare che la soluzione della questione scaturisce da tutto quanto già detto a proposito della liceità della riserva allo Stato delle trasmissioni su scala nazionale.

Il rilievo costituzionale della questione, invero, si esaurisce nell'aspetto testé menzionato, è, cioè, limitato all'ipotesi in cui la interconnessione conduca ad una trasmissione che travalichi i limiti di liberalizzazione delineati da questa Corte con la sentenza n. 202/76. Ogni diverso aspetto del fenomeno, sia per quanto riguarda i mezzi usati, sia per quanto riguarda l'ambito e le modalità di esercizio delle trasmissioni sono materia devoluta alla regolamentazione legislativa sulla cui urgente attuazione è già stata richiamata l'attenzione degli organi competenti.

6. - Il giudice a quo nella formulazione delle censure sollevate sembra poi identificare un ulteriore specifico elemento di illegittima nella asserita discrezionalità che sarebbe attribuita al Ministero delle Poste nella elaborazione del piano di assegnazione delle frequenze ai privati autorizzati. Ma tale profilo - che concerne non già la sussistenza ma l'esercizio del diritto preteso - appare inammissibile poiché, al di là della mera enunciazione della censurata discrezionalità, non si rinviene nell'ordinanza di rinvio alcuna motivazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della specifica questione, elementi entrambi indispensabili perché possa essere validamente promosso il giudizio incidentale di legittimità costituzionale delle leggi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE


1) Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della normativa risultante dal combinato disposto degli artt. 1, 183, 195, d.P.R. 29 marzo 1973, n. 151 in relazione a quanto prescritto dalla legge 1-4 aprile 1975, n. 103, con particolare riferimento, per quest'ultima, all'art. 45 nonché all’art. 2 della legge 10 dicembre 1975, n. 693, ed agli artt. 1, 2 e segg. della citata legge n. 103 del 1975, così come formulata in relazione agli artt. 3, 21 e 43 della Costituzione con l'ordinanza del Pretore di Roma del 18 novembre 1980.

2) Dichiara inammissibile la questione riferita alle stesse norme di legge ed ai medesimi parametri costituzionali sollevata con la detta ordinanza sotto il particolare profilo dei poteri discrezionali che la normativa impugnata attribuirebbe alla pubblica Amministrazione in ordine alla “determinazione dell’ambito di utilizzazione delle frequenze”.