Sopra le vie del nuovo impero/Rodi dei turchi

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Rodi dei turchi e de’ Cavalieri. Rodi d’Italia.

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Rodi dei turchi e de’ Cavalieri. Rodi d’Italia.
Da Trianda, sul monte Smith, lungo i bastioni Sopra la città
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Rodi dei turchi e de’ Cavalieri.
Rodi d’Italia.


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Rodi, Luglio.

Dentro la sua cintura d’oro tra il monte fiorito e il mare la città di Rodi è un rifugio del passato, intatto. È, a male agguagliare, ciò che è sulle colline toscane San Gimignano dalle belle torri, ultimi rifugi del passato e del mistero, per la contemplazione ed il sogno.

Rodi resta quale i Cavalieri la lasciarono il giorno, l’ora della resa. Da quell’ora i turchi vi abitarono come in un attendamento che si logora e si distrugge, e non si muta; e così i turchi abitarono, prolificarono, logorarono, distrussero, ma non mutarono. Penetrate in un vicolo tutto cavalcato da archi di pietra, in fondo al quale sta in sentinella un soldato italiano, e passando gettate uno sguardo attraverso una porta dentro uno stanzone oscuro, annerito e putrido di salsedine marina, nel quale stanno [p. 98 modifica]piramidi di palle di ferro come gli artiglieri del cinquecento le disposero, la ruggine le ricoprì, nè mano umana le toccò più.

La vita de’ Cavalieri, quel loro stato mistico d’avventura, di fede, d’armi e di nobiltà, riassunto del Medioevo europeo che si formò sul limitare de’ tempi moderni, appare ancora dentro questo labirinto di vicoli che salgono, sotto queste fughe d’archi. E poichè andando solo, nella solitudine dei luoghi, nel silenzio del vostro spirito che uscì da voi per spirare nel sogno di ciò che fu; poichè andando solo passate dinanzi all’albergo d’Inghilterra, dinanzi all’albergo d’Italia, dinanzi all’albergo di Francia, dinanzi all’albergo di Tolosa, dinanzi all’albergo di Spagna e di Portogallo, vi appare quella solidarietà delle genti europee che l’avventura, la fede, le armi e la nobiltà produssero nel nido costrutto sulla piccola isola mediterranea, tra il sepolcro di Cristo e Costantinopoli di Solimano. Quelli alberghi, piccoli e maschi, tutti di pietra, ora d’oro come la pietra de’ bastioni, ora anneriti dalle intemperie, raccolti dentro lo spazio di cinquecento metri salgono verso la cima della collina dove sorgeva la chiesa di San Giovanni che era di tutti, dove sorgeva il palazzo del Consiglio Generale che era di tutti, dove sorge il palazzo del Gran [p. 99 modifica]Mastro che era di tutti, dove sorgono i bastioni che erano difesi da tutti. Il cittadino dell’Europa divisa il quale giunge qui, prova una grata meraviglia trovando il piccolo romanzo de’ cavalieri antichi, questa comunità europea di fortezza e di chiostro.

Quanti stemmi! La vecchia Rodi è la città degli stemmi, com’è la città dei mulini a vento. Ci sono stemmi sopra le porte, le mura, le torri de’ bastioni, sopra le facciate degli alberghi di tutte le «lingue», a ogni parete, in ogni angolo, stemmi accanto a stemmi. Voi passate, vi voltate per caso, v’inchinate e scorgete a piè degli edifizii uno stemma, due, tre in fila, piccoli piccoli, d’un bassorilievo appena a fior di pietra, come di medaglie. Sono gli stemmi dell’ordine e delle nazioni, ma anche de’ nobili cavalieri e dei Grandi Mastri. Perchè nella comunità europea ognuno affermava la nobiltà della sua casa e se medesimo, come ognuno era guerriero chiuso nella sua armatura, come ognuno aveva la sua coscienza cristiana sola dinanzi a Dio al pari della sua nascita e della sua morte.

Oggi nel castello de’ Cavalieri abita l’avversario, quegli che per un buon volere del destino presentemente è anche nostro avversario. Per un meraviglioso imprevisto ora da via de’ Cavalieri scende il bersagliere [p. 100 modifica]tirandosi dietro il mulo carico di vettovaglie, ma abitano ancora dove per quattro secoli prolificarono, tra i gigli di Francia, la croce dell’ordine e l’aquila d’Italia, i discendenti di Solimano. Pure, qualcosa me li fece perdonare qui il primo giorno dello sbarco, le loro donne, un atto delle loro donne rispondente al carattere de’ luoghi come l’eco alla voce. Salivo, m’inoltravo pel laberinto. Assuefatto alle antiche città italiane, a riconoscere presto ed a sentire le città sante dell’anima, mi ero accorto che una era quella dov’ero giunto, nella piccola isola mediterranea. Al godimento era pari la meraviglia. Tutto era vuoto. Mi pareva di essere in una seconda Pompei rimasta in piedi. Tutte le porte e le finestre chiuse. Attraverso a qualche porta sconnessa s’intravedeva un giardino fiorente, ma vuoto. Non si sentiva un piede umano strisciare. Quand’ecco in fondo a una fuga d’archi schiacciati, lunga e stretta come una calle veneziana, apparvero due o tre donne e sparirono alla vista dell’infedele. Si dileguarono come ombre che si ritirano. Allora cominciai a cercare e quasi a promuovere quella sparizione di donne, quel dileguarsi d’ombre in mezzo alle ombre di tanti secoli. Uscivano dalle case e rientravano chiudendo. Oppure, colte in mezzo al cammino [p. 101 modifica]si stringevano al muro e coprendosi tutto il viso scantonavano dal primo angolo che trovavano. Una era uscita da una bella porta cinquecentesca con un’anfora sul capo e si disponeva a scendere la gradinata; si voltò rapidamente, riaprì, intravidi un giardino, sparì. Giunsi in un punto da cui si partivano quattro fughe d’archi. Da per tutto sparirono donne silenziosamente. Non una che mettesse un piccolo grido. Mi soffermai per incanto. Ero in una città vuota.

La vecchia Rodi è abitata da tre vecchie stirpi: la turca, l’ebraica e la greca. I greci, cristiani, non possono propriamente abitare nel castello pel divieto dell’islam; vi hanno soltanto le botteghe e la sera tornano alle loro dimore di Neokorio dove stanno anche gli altri europei; ma i più ai sobborghi di Sant’Anastasia, San Giorgio, Anarghiros e Metropolis che circondano la città dalla parte di mezzogiorno. Nel castello, insieme coi turchi e nella parte orientale, abitano gli ebrei. Quivi ed ai mercati dove ebrei, turchi e greci hanno le botteghe, Rodi serba il solito aspetto delle solite città levantine, sia delle isole, sia delle sponde del Mediterraneo, delle solite città, cloache di popoli, sian questi greci od ebrei, arabi o turchi. Qui è il fondigliolo di vecchi popoli, o mercanti e navigatori come il greco e il fenicio, [p. 102 modifica]o emigranti per i tre continenti del mondo antico come l’ebreo, o predoni e conquistatori come il turco e l’arabo. Ovunque questi popoli si ritrovarono insieme, come il turco, l’arabo e l’ebreo a Tripoli, o il turco, l’ebreo e il greco a Rodi, impotenti tutti e ciascuno di loro a rinnovarsi e trasformarsi, prolificarono nella loro immobilità secolare e millenaria. Come bestie giacenti del loro sterco, così essi si ricoprirono delle loro prolificazioni. E le condizioni della loro esistenza sono appunto la immobilità economica, civile, morale, la loro separazione etnica, la sozzura. Quando da una delle nostre città moderne passiamo in uno di questi stallaggi di prolificazione delle vecchie stirpi, e subito naturalmente sentiamo di aver fatto un salto a picco nel passato, una grande nausea ci assale: non per la pietra che prende e commuove in noi l’artista, ma per quella umanità la quale repugna alla nostra capace di sempre più organarsi con le forze organiche sempre più veementi e spaziose dell’universo. La bellezza della natura, dov’è, come in questa divina isola del sole circondata dal mare e dall’Asia; la bellezza della natura nell’immutabilità della sua vicenda eterna si sposa con la pietra vetusta e col monumento diruto, ma non con la bestiale inerzia dell’uomo. [p. 103 modifica]

I greci, gli arabi, gli ebrei, i turchi, abitano accanto, non insieme; convivono secoli e secoli nella stessa città dove convennero d’ogni parte, portati da ogni fortuna, e restano separati nei loro quartieri, stranieri gli uni agli altri, tutti stranieri sulla stessa terra. Rodi, come ogni città simile, ha un quartiere per gli ebrei, un quartiere per i greci, un quartiere per i turchi; ed ha poi un quartiere comune dove turchi, greci ed ebrei vengono cotidianamente a rimescolare i loro cenci, le loro sozzure e le loro vettovaglie. Sono appunto questi i mercati.

Ai mercati di Rodi e in tutta quella zona della città che per noi europei è più propriamente città; presso al porto, nel cosidetto centro delle botteghe e dei traffici, ritrovate la sozzura di Tripoli. Se passate di notte, non vedete più che in una tomba, e inciampate nelle carogne dei cani distese dentro le buche del selciato, e di vivo c’è soltanto il tanfo terrestre e marino alle vostre nari. Di giorno, vedete tutto quel ben di Dio che l’isola ferace manda, i canestri delle auree albicocche, i corbelli dei pomodori pregni di polpa, i piccoli poponi retati, gli erbaggi freschissimi e le untuose olive, splendere sopra la putredine.

Sotto il regime turco Rodi decadde. Di tutte le Sporadi Rodi ha oggi la fama di [p. 104 modifica]essere la più povera. Non ho modo d’assicurarmi dell’esattezza delle cifre, ma leggo e mi vien detto che l’isola in antico aveva dai 200 ai 300 mila abitanti, sotto i Cavalieri dai 120 ai 150 mila, cinquant’anni fa più di 40 mila, mentre oggi è scesa a 30 mila e forse meno, dei quali 15 mila nella città, fra greci, turchi ed ebrei. Un terzo del terreno, da coloro stessi che si fermano alla prima evidenza, è dato per coltivabile; ma di questo soltanto un decimo è coltivato. Gli stessi indigeni greci si stremarono e furono stremati, nè amano più il lavoro. E la mancanza di strade rese difficili i trasporti, e la mancanza di trasporti rese difficile l’agricoltura. Lo stesso commerciante ebreo qui si accontenta di essere quello che può essere, non molto di più d’un rigattiere. Tutti insieme, i turchi dominatori, gli ebrei ed i greci soggetti; i primi piccoli proprietarii ed impiegatucoli; i secondi piccoli commercianti, i terzi piccoli proprietarii, contadini, commercianti e un po’ anche industriali, costituiscono una stessa popolazione ugualmente inetta alla vita moderna. Mettete gli arabi invece dei greci, e in luogo di Rodi avrete in una parola ancora Tripoli. Sempre lo stesso fatto di una o più stirpi decadute sotto un dominatore decaduto. Il dominatore decaduto porta alla estrema decadenza [p. 105 modifica]e alla estrema miseria e segrega nello spazio, perchè ha segregato nel tempo. Dalla vita di Rodi, come da quella di Tripoli, alla vita d’una città moderna, d’una regione moderna, intercedevano per lo meno dieci secoli di cui la prima e la seconda erano indietro. E così Rodi e Tripoli, questo sulla costa d’Affrica, quella nel Mediterraneo, erano segregati dal mondo attivo. Son cadaveri per il mondo attivo. Restano le plebi che prolificano e poltriscono.

Giorni fa camminavo lungo il mare, sulla diga che porta al forte di Sant’Elmo dove sono ancora tre o quattro mulini. Le ruote giravano. Mi fermai ad uno e salii su. In cima trovai un vecchietto che pareva il vecchio pastore della tragedia greca, o il vecchio servo di Ulisse, il quale, se ora la memoria non mi falla, si chiamava Eumeo. Gli dimandai se era greco: era greco. Aveva per cappello un conetto in capo con la punta ritorta a mo’ del berretto frigio, e stando curvo a sommo della scaletta, come l’età e la riverenza volevano, levava sopra di me un piccolo viso fino, tutto contornato di barba bianca, attonito, scrutatore e attento, proprio come ci raffiguriamo quello de’ suoi antichi pari e consanguinei che ho nominato, quali ci appariscono nei bassorilievi, nei quadri e sulla scena. Il vecchietto tolse una manciata [p. 106 modifica]di grano e me la mostrò; tolse una manciata di farina e me la mostrò senza far motto, perchè nè io la sua, nè egli parlava la mia lingua. Io ero nel mondo di tremil’anni fa. Di tanto in tanto la macina si fermava. Perchè? Il vecchietto era così lento al lavoro? Mi sfuggiva che fuori la ruota girava; ma non girava, se il vento non soffiava. Così erano le opere semplici delle prime età.

Sceso ed uscito fuori, ero perplesso, bilanciando insomma il pro e il contro. Rodi, rimasta così indietro nel tempo, era pure una sovrana sede di poesia, un’inaspettata meraviglia in mezzo al Mediterraneo. Sarebbe così, se fosse venuta in mano d’un popolo europeo?

Adocchiai l’Amalfi dinanzi al forte di Sant’Elmo e conciliai il Pro e il contro nel fatto compiuto. Ma noi italiani saremo il popolo delicato e potente che saprà il meno possibile deformare Rodi rinnovandola, restituendole una missione, nel Mediterraneo, tra l’Europa, l’Affrica e l’Asia a cui è congiunta.