Sotto l'Austria nel Friuli/Mariuccia/XI. La lettera

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XI. La lettera

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Mariuccia - X. Dio non paga il sabato La donna di Osoppo

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XI.

La lettera.


Dopo aver assistito ai funerali della sua povera cugina, l’Oliva tornava a casa col cuore affranto, impaziente di riabbracciare il marito e i figlioletti, di rivedere la buona signorina; e adesso che aveva tanto patito, sentiva maggior bisogno di confortarsi un poco nel loro affetto. Quando fu vicina al villaggio vide nella casa del barone chiuse le finestre dell’appartamento della signorina, e n’ebbe un sinistro presentimento. Che fosse ammalata? E prima della propria famiglia, corse a vedere di lei.

Nel cortile i cavalli erano attaccati; entrò, e sulla porta dell’ingresso vide il barone così abbattuto, che non osò avvicinarlo, tanto più che quella fisonomia, rimastale sinistramente impressa fin da quella tal [p. 73 modifica]sera, le aveva sempre ispirato una specie di ritrosia. Tutta la servitù mostrava una grande tristezza, come se fosse accaduta in casa qualche grave disgrazia. In cucina trovò la Menica che piangeva.

— Per carità, Menica, che cosa è avvenuto? — le domandò. — Dov’è la signorina?

— Oh, non la rivedremo mai più — rispose la fattoressa accorata. — Io credevo che fosse andata a Gorizia; invece nella lettera che ha lasciata per il padrone, dice che ci ha abbandonati per sempre: si è ritirata in un convento. —

L’Oliva rimase così colpita da quella inaspettata notizia, che non trovava parola.

— Ah! io dovevo prevederlo! — continuò la Menica. — Quando mi disse addio, ella pianse tanto.... E poi quel raccomandarmi di salutare i suoi amici, quel ricordarsi di ciascuno.... Quell’anima santa ha voluto fino all’ultimo momento far del bene a tutti quelli che conosceva; e anche di te, Oliva, si è ricordata; anche del tuo bambino. — E la condusse di sopra per consegnarle i doni che la signorina le aveva destinati e per ripeterle le ultime parole di affetto con cui si era divisa da quelle persone e da quei luoghi che aveva tanto amato.

La lettera che ella aveva lasciata allo zio diceva così:

                    «Mio buon padre,

Permettete che nel dividermi per sempre da voi, io faccia ancora uso di questo dolce nome che mi concesse la vostra tenerezza. L’orfana che voi avete raccolta, la creatura che vi piacque ricolmare di tanti benefizi, la figliuola del vostro amore, la vostra Cati, [p. 74 modifica]viene ora a darvi il suo ultimo addio! So, e ne piango, quale crudele ferita aprirà nel vostro cuore amoroso questa lettera; riconosco che avrei dovuto dedicare a voi tutti i miei giorni e sforzarmi di nascondervi il dolore che mi strugge, perchè l’aspetto della mia apparente felicità vi compensasse in qualche maniera del tanto bene che voi mi avete e mi avreste fatto. Ma un destino, contro al quale ormai io più non valgo a lottare, mi comanda di ritirarmi a pregare e a piangere per il mio povero paese. Mi sta dinanzi la vostra santa immagine paterna, e intendo di parlarvi senza velo, anzi, di aprirvi tutto il mio cuore, come se fossi inginocchiata a’ vostri piedi e voi mi deste la vostra ultima benedizione.

Nata italiana, nulla ha potuto affievolire l’affetto grande che mi legava alla mia terra, qualunque si fossero i suoi destini. Lontana da lei, unica consolazione della mia vita erano le sue memorie; tornata, non vissi che delle sue speranze. Se Iddio le avesse benedette, e la mia nazione fosse adesso libera e indipendente, forse io avrei potuto accettare lo sposo che voi, credendo di farmi felice, mi avevate destinato. Tra i figli di due paesi egualmente liberi, egualmente potenti, è bella l’unione del sangue. È il preludio di quella santa alleanza, che nel cospetto di Dio stringerà un giorno come altrettante sorelle tutte le nazioni della terra. Ma finche v’è chi abusa della forza e chi patisce, cotesta fraterna eguaglianza non esiste, e tra noi e gli oppressori sorge un muro di separazione che non si può varcare senza delitto. Ora le vicende mi hanno pur troppo insegnato che io appartengo alla stirpe dei conculcati ed ho veduto nelle file dei nostri oppressori l’uomo che avevate scelto a compagno della mia vita.... La mano ch’egli mi offriva era [p. 75 modifica]bagnata del sangue de’ miei.... l’alloro della sua fronte grondava delle nostre lagrime!... Da quel momento un profondo orrore s’impadronì dell’anima mia, e aborrii una simile unione. Voi rispettaste il mio dolore, nè più mi parlaste di quelle nozze di peccato. Fu delicatezza di cui vi sarò grata in eterno; nè mai dimenticherò le cure amorevoli di cui mi circondaste quando afflitta dalle tante sciagure che desolavano il mio paese, io caddi ammalata; nè la vostra generosa pietà che mi permise di rifugiarmi in questa tranquilla solitudine, lungi dalla gioia oscena di chi poteva godere dell’esterminio dei propri fratelli!

E la pace dei campi e i semplici costumi e l’amore di questa buona gente col ridonarmi la salute, mi avrebbero anche riconciliate col mondo, se il mondo potesse avere ancora qualche attrattiva per l’anima che ha veduto svanire l’unica speranza che ancora l’attaccava alla vita! Ve lo confesso: al prorompere della lotta io mi ero guardata intorno e avevo veduto i miei fratelli fra quelli che pativano e provato simpatia, non pei favoriti dalla cieca fortuna, ma per l’imprescrittibile diritto di un popolo calpestato; non pei vittoriosi, ma pei vinti! E amai la misera donna fuggita da Jalmicco in fiamme che vi chiedeva la elemosina in nome dell’incendio; i feriti trascinati a Gorizia in mezzo agli insulti; il prigioniero che aveva combattuto per la sacrosanta causa dell’Italia; e allora la mia vita si legò alla sorte della mia povera patria, e sperai che tante lagrime e tanto sangue non sarebbero indarno versati.

A Dio non piacque ch’io vedessi il giorno della sua giustizia. Forse non è colma ancora la misura de’ nostri patimenti che ce la devono far meritare. Forse per affrettarla una voce del cuore mi comanda [p. 76 modifica]di ritirarmi nel tempio del Signore a pregare e piangere per il mio povero paese. Tra pochi giorni io avrò pronunziato il voto solenne che mi distacca per sempre da voi e da tutti quelli che mi amarono. Se qualche volta vi ricorderete di me, sia per compiangermi e perdonarmi.

»Cati».