Specchio di vera penitenza/Distinzione quinta/Capitolo quarto/Qui si dimostra chente e quale dee essere il confessoro

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Distinzione quinta - Capitolo quarto - Qui si dimostra chente e quale dee essere il confessoro

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Distinzione quinta - Capitolo quarto - Qui si dimostra chente e quale dee essere il confessoro
Capitolo quarto - Qui si dimostra come in certi casi la persona si può confessare altrui che al propio prete Capitolo quarto - Qui si dimostra come il prete confessore dee avere, colla scienzia, discrezione, e spezialmente in quattro cose
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Qui si dimostra chente e quale dee essere il confessoro.


In prima, dee essere di matura etade, non troppo giovane, acciò che sia reverito, e che ci abbia sospezione di disonestà. E però è comandato a’ vescovi, che non órdinino prete di minore etade di venticinque anni. E molto maggiormente non si dee commettere in loro cura d’anime. Non dee essere inligittimo, né servo, né schiavo; non lebbroso, né paraletico, né epilentico,1 né apopletico; non cieco, non sordo, non mutolo, non zoppo, non monco, non rattratto; e che non abbia in veruno modo, licito o inlicito, dato aiuto, favore o consiglio a morte di persona. Non abbia avute due moglie, né moglie che prima avesse avuto altro marito, per riverenza del sacramento del Corpo di Cristo, il quale ha a sagrare. Non sia obriaco o taverniere; non giucatore, né masnadiere; non isboccato né manesco; non buffone, non cortigiano, non secolaresco, non avaro, non mondano, non riottoso, non impronto, non dileggiatore,2 non litigioso, non iracundo, non furioso, non lusinghiere, non bugiardo, non giuratore, non infamatore, non blasfemmo, non piatitore, non maldicente, non ispergiuro, non falsario, non simuniaco, non istruffo,3 non [p. 125 modifica]leggiadro, non feminacciolo, non motteggiatore, non giullare, non crudele, non rattore, non vagabondo, non isleale, non oltraggioso, non ispietato, non astioso, non isfrenato, non prosontuoso: ma dee essere sobrio, pudico, casto, modesto, mansueto, pietoso, benigno, affabile, liberale, paziente, fedele, segretiere, tacito, pacifico e quieto, veritiere, caritativo, contenente, onesto, esperto e inreprensibile d’ogni male mendo. E chi vuole sapere chente dee essere colui che ha cura d’anime, legga nella prima Pistola di san Paolo a Timoteo quello capitolo dove dice: Oportet episcopum inreprehensibilem esse etc. Il quale capitolo esponendolo santo Agostino e santo Ambruogio, come si contiene nel Decreto, dicono che avvegna che paia che l’Apostolo parli de’ vescovi, ma quella regola s’intende di tutti coloro che sono preti ordinati e hanno cura d’anime. Guai a quel prete al quale è commesso cura d’anime, e ha a consagrare il corpo e ’l sangue di Cristo, e ha dispensare i sagramenti della Chiesa, se non ha la sofficienza che si conviene a tanto officio, e della vita santa e de’ buoni costumi e del senno e della scienza, con la necessaria discrezione. Quello che rende indegno il prete del santo4 offizio, è spezialmente la disonestà e la incontinenzia della carne; considerando con quanta reverenzia si debbano trattare i sagramenti, dei quali è ministro e dispensatore, e massimamente il corpo e ’l sangue di Cristo: onde apparì di ciò una fiata uno bello miracolo.

Leggesi iscritto da Cesario, che in Francia fu un prete il quale la notte di Natale passando da una villa a un’altra per dire l’officio, si scontrò in una femmina sola, colla quale, vinto dalla sua incontenenzia, in quell’ora carnalmente peccò. E temendo più la vergogna umana che la giustizia divina, detto il mattutino, si parò alla prima messa, e solennemente la cantò. Consegrato il corpo e ’l sangue di Cristo e mostratolo al popolo, come l’ebbe posto giù in sull’altare, di súbito venne [p. 126 modifica]da cielo una colomba bianca come neve, e messo il becco nel calice, tutto il sangue si bevve, e, veggendola il prete, anche tolse l’ostia sacrata d’in sull’altare, e volò via. Il prete tutto stupefatto,5 e non sappiendo bene quello che in tale caso fare si dovesse, pure temendo vergogna se ’l fatto si palesasse, procedette innanzi coll’officio in sino alla fine della messa, facendo vista di comunicarsi. E come ardito e prosontuoso, non volendo il fallo suo manifestare, celebrò la seconda e la terza messa, come s’usa di fare il dì di cotale pasqua. E in ciascuna messa, non volendo Iddio che prendesse il santo sagramento colla immonda e brutta coscienza, la colomba fece come avea fatto nella prima, portandone via il venerabile sagramento. Compiuto tutto l’officio, il prete venne ripensando il peccato suo e l’miracolo intervenuto; e compunto, andò a uno abate dell’Ordine di Cestella, e confessato il peccato suo con molte lagrime, contò el miracolo ch’era avvenuto. L’abate veggendo la contrizione del prete, con altre cose, gl’ingiunse per penitenzia, che dovesse dire la messa del Natale, la quale egli avea tre volte mal detta. La qual cosa facendo il prete con gran timore e con molto pianto, quando venne a dire le parole della consagrazione sopra l’ostia e sopra il calice, innanzi che le profferesse, la colomba bianca venne in su l’altare con tre ostie in becco, le quali ponendo in sul corporale, versò nel calice, traendosi del gozzo tutto il licore del sangue il quale beuto avea in tutte e tre le messe. Comunicòssi il prete con una di quelle ostie, e bevve parte del sangue, riservando il rimanente in testimonianza del miracolo.6 E tornando pieno di letizia al suo confessoro, e narrando tutto ciò che avvenuto gli era, domandò umilmente d’essere ricevuto all’Ordine; e esaldito, abbandonò il mondo e prese l’abito della santa Religione, dove, santamente vivendo, finì i dì della vita sua.

Note

  1. Ci piace starcene coi più, benchè nel Manoscritto trovisi: epilertico; e nella più antica stampa: pilentico.
  2. Il nostro Codice ripete qui quello che noi stimiamo errore del maggior numero, cioè dileggiato; ma uno de' testi veduti dagli Accademici, e l'edizione del 95 (benchè per segni d'abbreviazione) chiaramente ci offrono l'intera parola dileggiatore.
  3. Escludiamo isniffo dell'edizione del 23, e rimettiamo in essere istruffo, perchè confermato da tutte le altre stampe (quella del 93 ha, duramente: non struffo) e dal nostro e da altri Manoscritti. Nessuna di queste voci raccolse nè spiegò la Crusca, e fe bene, se non poteva fuorchè procedere per troppo sottili e labili congetture.
  4. Ediz. 95: di tanto.
  5. Le precedenti edizioni: stordito.
  6. L'antica stampa: del bel miracolo.