Storia di Torino (vol 1)/Libro I/Capo II

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Capo Secondo


De’ Tirreni, de’ Liguri, degli Umbri e dei Pelasgi secondo le tra­dizioni storiche. — Tavrini, gente Ligure.


Gli indizi storici che si possono ricavare dalla mi­tologia, dai poeti e da pochi scrittori più gravi non possono valere in così gran distanza ad assegnar epoche, a distinguere i tempi. La migrazione dalla Lidia e così dalle falde del Tauro d’un popolo molto civile e mollo potente, che s’insignorì di tutta l’Italia, è un fatto attestato da troppe testimonianze perchè sia possibile il dubitarne.1 Solo chiamansi promi­scuamente Tirreni, Lidi, Meonii, Etruschi, Toscani, confondendo in quest’ultimo caso la parte col tutto.2 Ma che il nome de’ Tirreni fosse più antico e più generatelo manifesta sufficientemente l’appellazione di Tirreno data al mare di ponente per quanto è lunga l’Italia.

I Tirreni erano ardili guerrieri. Ai loro eserciti, animati dal clangor della tromba, non v’era chi re­sistesse. Tennero anche il mare con poderosi navili. Plinio li fa inventori dell’àncora e del rostro alle [p. 18 modifica]navi. Scopertasi dai Fenici l’isola Gaditana nel mare Oceano, volevano i Tirreni dedurvi una colonia. Ma fecero contrasto i Cartaginesi. Vuoisi che occupassero la Sardegna e le isole di Creta, di Lenno, d’Imbro e di Stalimene nel mare Egeo. Così avrebbero si­gnoreggiato due mari.3

Più tardi, dopo le invasioni de’ Liguri e degli Umbri, una parte de’ Tirreni, gli Etruschi, coltiva­vano i loro colli ridenti, le loro amene pianure; aiutati prima dai Pelasgi sbarcati alle foci del Po, contra gli Umbri, li cacciarono poi, quando ne parve loro incomoda l’ospitalità, sicché i Pelasgi si misero di nuovo in mare e tornarono in Oriente.4 Allora gli Etruschi coronarono di nobili città i loro gioghi,5 fondarono Mantova in mezzo alla palude, e travagliarono con guerre continue Liguri ed Umbri.

Allora, otto o nove secoli prima di Gesù Cristo, tra il Tevere e la Magra Cori una civiltà maravigliosa, anteriore d’assai alla Greca; una civiltà veramente Italiana, poiché non da anni, ma da secoli erano italiani gli Etruschi, e da questo sole d’Italia, e dalla lieta varietà de’ prospetti e de’ climi, e della lussureggiante vegetazione predisposti a ricevere le norme del vero bello e del grande: beata influenza che risentono anche oggidì gli stranieri, che dalle tristi loro pianure coperte di brume, o dai monti deserti ed inarmonici s’inurbano in questa felice penisola, [p. 19 modifica]ed in una o due generazioni, ringentiliti, altro più esser non possono e non vogliono che Italiani. Le dodici città etrusche diedero il primo esempio d’una confederazione perenne, che non pregiudicava per nulla l’indipendenza di ciascun popolo. Aveano un sistema di monete e di pesi che non si potrebbe desiderar più perfetto.6

Agiata ed elegante era la loro vita domestica. Avean case con portico anteriore od atrio dove sta­vano i famigli. Sedeano a mensa due volte al giorno, e i loro pasti eran lauti e adoperavano bicchieri d’oro di varie forme. Erano servili a tavola dai proprii figliuoli a guisa de’ paggi del medio evo. Portavano ricchi e lunghi abiti ricamati a fiori. La toga di porpora, le corone, le insegne regie, la sedia curule, i fasci, le scuri, i littori erano usanze etrusche imitate poi dai Romani, che dallo stesso fonte attinsero sa­cerdozi, riti, anfiteatri e giochi, e soprattutto la va­nissima, ma gravissima allora superstizion degli au­guri, la quale tuttavia palesa uno studio profondo delle cose naturali e massime dei fenomeni del ful­mine.7

L’altezza d’animo, la gagliardia di volontà, rigoglio delle stirpi adolescenti, avean dato più anticamente ai Tirreni l’ imperio d’Italia e de’ suoi mari; più tardi, contemperati dal sorriso di questo cielo allo squisito sentimento del bello, ammaestrati dai Pelasgi, e forse più dal commercio intórno alle condizioni delle arti [p. 20 modifica]figurative nell’Asia Minore, ottennero il massimo sviluppo dell’idea archetipo del bello e la potenza di renderlo; e ne lasciarono inarrivabile monumento in quelle tante dipinte argille, in cui l’arte fece il supremo di sua possa8 assai prima che la Grecia s’ingentilisse di lavori degni d’essere con quelli para­gonati.9

Conduceano ancora gli Etruschi con molta bravura lavori d’oro, di filigrana e di cesello; foggiavano caraffe e lucerne aggraziatissime.10 Erano più che sufficienti scultori di marmo e di bronzo. Dalla sola Volsena i Romani portarono via due mila statue di questo metallo. Aveano monete di perfettissimo conio.

Tanto innanzi si era spinta in que’ secoli oscuri la civiltà etrusca, alla quale se non contrastavano più tardi Roma nascente da un lato, dall’altra le invasioni de’ Galli, chi sa quale influenza avrebbero gli Etruschi esercitata sull’incivilimento europeo.

Dopo i Tirreni, i più antichi abitatori d’Italia sono i Liguri.

Che i Liguri facessero parte degli Iberi, che dieder nome alla Spagna, è un fatto che sembra ornai di­mostrato;11 se non che gli autori li fanno venire in Italia dalle rive del Beti, l’odierno Guadalquivir, dove era situata la loro capitale Ligistina vicina alla famosa colonia Fenicia di Tartessus; laddove sembra più probabile, avuto rispetto all’antichità del nome e della potenza Ligure in Italia, che l’invasione dei [p. 21 modifica]Liguri in questa penisola abbia avuto luogo diretta­ mente dall’Asia e contemporaneamente a quella degli Iberi nella Spagna12; nè può far contrasto il tro­vare un popolo Ligure in mezzo agli Iberi sulle sponde del Beli, postochè è fuor di questione che i Liguri erano di razza Ibera, come lo erano i Sicani che sbarcarono in Sicilia e dier nome a quell’isola famosa.

Le memorie de’ Liguri sono, come ho detto, tanto antiche in Italia, che i popoli Tavarini e le altre genti minori, i Veneni, i Bagienni, i Salassi, i Libici, gli Stazielli, i Levi e fino gli Stoni del lago d’Idro, c gli altri popoli tra il Varo e la Magra, l’Apennino e il mare (ai quali si restrinse posteriormente l’appel­lazione di Liguria) compariscono nella storia come stirpi liguri, il che non ha potuto accadere, fuorché quando, col volger degli anni e colla fusion delle genti, sì smarrì la memoria de’ più antichi Tirreni.

Erano i Liguri fortissima gente, viveano in luoghi murati, adoperavano in sul combattere scudi di rame, onde ad alcuni scrittori parvero, un po’ leggermente, d’origine greca. Maneggiavano con singolar destrezza la fionda.

Nel loro idioma i Liguri chiamavano Bodenco il fiume Po, vale a dir profondo. Vestigio di tale denominazione conservavasiai tempi Romani in un castello costrutto lungo il Po, vicino alla città d’ Industria (ora Lavriano e Monteu) e chiamato Bodincomago,13 [p. 22 modifica]e forse era desinenza speciale del dialetto de’ Liguri della gran valle del Po la desinenza in engo che si vede frequente in molti villaggi alla sinistra, ed anche talora alla destra del fiume tra la Stura ed il Ticino.

La mitologia, che ha un piè nella storia l’altro nelle regioni della fantasia, stese sui nostri dolci campi le sue leggiadre finzioni. Lascio il troiano Antenore che, dopo le ruine Iliache venne alle spiagge de’ Veneti e fondò Padova; la profetessa Manto, che da’ suoi amori col Tevere generò un figliuolo chiamato Ocno, che fondò una città e la chiamò Mantova col nome materno. Ma lungo le rive di quest’Eridano, che re discorre tra i fiumi d’Italia, fu il triste caso di Fetonte che mal seppe reggere il carro del sole; qui lo piansero le Eliadi sorelle e le pietose lagrime mutavansi in ambra, e i lor corpi inarboravansi in pioppi; e qui Cicno, figliuolo di Stendo re de’ Liguri, si consumava d’affanno per la morte di Fetonte suo parente ed amico, tantoché gli Dei, impietositi, lo cambiarono in cigno.14 È assai verosimile che queste favole adombrino alcun vero fatto dei re Liguri, sui quali è muta la storia. Finalmente qui l’Èrcole greco, simbolo della forza operante, incon­trava nella terra paludosa l’esercito imperterrito de’ Liguri, contra cui non valeva nè saldo pesce di braccio, nè potenza d’arco. E poi, superando le nevose cime dell’Alpi, lasciava ad una parte di esse [p. 23 modifica]il nome di Graie. E in que’ difficili passi, lungamente dai Liguri e dai Romani invocato, otteneva altari e voti.

Degli Umbri sappiamo che fin da tempi antichi furono potentissimi in Italia, ov’ebbero, al dir di Plinio, trecento terre murate.15 V’ ha chi crede che occupassero la gran pianura Lombarda, lascian­dole il nome d’Insubria. V’ ha chi lo niega, fondato sulla radicale diversità de’ dialetti che distingue i popoli della Umbria Tiberina dalla marittima, e crede gl’Insubri piuttosto di razza ligure od aborigena16 che celtica. Solo dai Greci e non dagli Italiani es­sendo chiamati Insubri, quasi a dire collocati al di là degli Umbri. Comunque ciò sia, tutte queste im­migrazioni non poterono operarsi senza molta mesco­ lanza di popoli e confusioni di nomi, e quando si scende dalle grandi genti ad annoverar le minute, le tribù cioè o i pagi dei Romani, è difficile ricono­scere se i Leponzii, ad esempio, gli Orobii, gl’Isarci, gli Euganei fossero originariamente di razza tirrena o ligure od umbra.1718



Note

  1. [p. 32 modifica]Thuscorum ante Romamim imperium late terra marique opes patuere. Nam mari supero inferoque quibus Italia insulae modo cingitur quanlum potuerint nomina sunt argumento: quod alterum Thuscum communi vocabulo gentis, alterum Adriaticum mare ab Adria Thuscorum colonia vocavere Italicae gentes. Tit. Liv., v. 19. Servio dice: Constat Thuscos usque ad fretum Siculum omnia possedisse (ad Georg., lib. ii). Polibio dopo aver detto che i Tirreni possedeano una volta i paesi ove sono Capua e Nola ed i campi Flegrei, soggiunge: Idcirco qui historias legunt de Tyrrhenorum dynastiis et variis dominationibus eas oportet non od illas ditiones quas nunc habent referre, verum ad illos de quibus diximus campos, et ad opes quas ista loca suppeditabant. Lib. ii, cap. 17.
  2. [p. 32 modifica]Dice Licofrone, parlando dell’Etruria: Umbros inde exegere Pelasgi, hos Lydi. Erodoto dice che gli Umbri furono cacciati dai Lidi; ma questo dee intendersi nel senso che i Tirreni, o Lidi, o Meonii antichi, s’aiutarono de’ Pelasgi contra gli Umbri; e poi quando non ebbero più bisogno dei Pelasgi cacciarono anche i Pelasgi. L’influenza di questi Pelasgi in Italia fu, come giustamente osserva il Fea, molto esagerata. Ecco quello che ne dice Strabone: Rerum Alticarum scriptores tradidere Athenis fuisse Pelasgos qui cum instar avium qua sors vocaret huc atque illac errabondi commearent, Pelasgi, idest Ciconiae vacarentur ab Atheniensibus. Pare che fossero capitati in Grecia come erano capitati in Italia.
  3. [p. 32 modifica]Orazio chiama Mecenate Thyrrena regum progenies.


    E altrove: Non quia Maecenas Lydorum quidquid Etruscos
                             Incoluit fines nemo generosior est te.


    Virgilio chiama il Tevere ora fiume Tirreno, ora Toscano, ora Lidio: Silio Italico dice: Moeonios Italis permixta stirpe colonos. E questi stessi Meonii Virgilio li chiama Lidi là dove ricorda l’ antica Cere.


                                            Ubi Lydia quondam

                        Gens, bello praeclara iugis insedit Etruscis.

    Altrove lago Meonio, altrove ancora stagno Tirreno chiama il Trasimeno.
  4. [p. 33 modifica]Per non ripetere citazioni inutilmente, rimando il lettore alla Storia dei vasi fittili dipinti, del Fea, in cui sono raccolte tutte le autorità che confermano ciò che qui si narra. La migrazione dei Lidi dall’Asia in Italia è negata dal solo Dionigi d’Alicarnasso. È negata, perchè Xanto, nativo di Lidia, ed accurato scrittore, non parla di colonie Lidie condotte da un duce chiamalo Tirreno in Italia. Ma questo è argomento negativo e perciò debo­lissimo. Altronde giova osservare che trattasi, non d’una colonia dedotta, ma d’una emigrazione, di data anteriore ad ogni luce di storia; e in fatti così remoti conviene lasciar da parte il pensiero d’assegnar epoche certe, o di trovar nomi d’individui: non badare anzi ai particolari che ci son narrati da scrittori tanto posteriori per attenersi solamente alla sostanza dei fatti. V. Dionis, Halic., lib. i, c. xxvii. In contrario V. Herod. i, c. xciv; ed Erodoto fu tra i Lidi assai tempo, e pigliò le sue notizie da Eforo, storico an­teriore a Xanto. E vedi Strabone lib. xiv, e Giuslino e gli altri citati dal Fea.
  5. [p. 33 modifica]Pare che la prima e principale fosse Vetulonia. Le altre erano Pisa, Cortona, Arezzo, Agilla, poi detta Cere, Vejo, Volsena, Chiusi, ecc.
  6. [p. 33 modifica]Marchi, l’œs grave del Museo Kircheriano illustrato.
  7. [p. 33 modifica]Etruscorum aruspicini, et fulgurales, et rituales libri. Cic., De Divin., lib. i. Dai Tirreni impararono, al dir d’Ateneo (lib. vi), i Romani l’ordinanza delle battaglie. — Pitagora era nato, nodrito e ammaestrato in Etruria. — Anfiteatri mai non ebbe la Grecia, ma li avea l’Etruria. — Il capitello chiamato dorico trovasi ne’ monumenti etruschi. — Livio dice: an­ticamente i fanciulli romani sicut nunc Grecis, ita tane Etmscis litteris erudiri solitos.
  8. [p. 33 modifica]Nella serie de’ vasi disotterrati nei sepolcri dell’antica Etruria si vede il cominciamento ed il progresso dell’arte. I più antichi mostrano nelle loro figure la rigidità che si vede nelle egizie e nelle indiane; prova d’arte bambina. Ne’ meno antichi vanno migliorando le forme finché per­ vengono ad un grado inarrivabile di bellezza. Anche questa è una prova che i vasi etruschi sono prodotti dell’arte indigena, e non una importa­zione straniera. Ma in cosa tanto evidente è superfluo intrattenersi. Vedi Maffei, Dell’Italia primitiva; e Micali, L’Italia avanti il dominio de’ Ro­mani. — La regina Maria Cristina colla usata sua sapiente munificenza, di cui è degno ministro il conte Filiberto di Colobiano, ha fatto praticare negli anni 1838 e 1839, nel sito dell’antica Vejo, di cui è proprietaria, varii scavi, fruito de’ quali fu una notevole quantità d’olle, anfore, gutturnii, ciati, tazze, prefericoli, tripodi, ecc. Vedi Campanari, Descrizione dei vasi rinvenuti nei sepolcri dell’antica Vejo.
  9. [p. 33 modifica]Pitture etrusche ci rimangono nei vasi conservati ne’ sepolcreti. Ma pitture di ben altro magistero esser dovean quelle di cui rideano i templi: [p. 34 modifica]Ante aedem Cereris (dipinta da Damofilo e Gorgaso, greci) Thuscanica omnia in aedibus fuisse auctor est M. Varro. Ex hac cum reficeretur crustas parietum excisas tabulis marginatis inclusas esse. Lib. xxxv, c. xii.
  10. [p. 34 modifica]Pherecraies lucernulam vocatam faculam his verbis vocavitin erapatallis: ars quae facularum cernitur Tyrrhenica. Erant enim variae apud Tyrrhenos comparatae; quum Tyrrheni artium essent studiosi. Atheneus xv, 23. Plinio rammenta signa Thuscanica per terras dispersa: lib. xxxiv, c. 78; e Pausania ricorda il trono di bronzo mandato da Arimno re degli Etruschi a Giove Olimpico; lib. v, c. 12; il che prova corrispon­denze di riti e di commerzii.
  11. [p. 34 modifica]Philist. Syrac. apud Dionis. Italie. — Festus Avienus— Diodorus Siculus— Strabo— Hecat. apud Sieph. Byzant. riferiti dal sig. Amedeo Thierry nella Mémoire sur la population primitive des Gaules.
 Appunto perchè i Liguri erano di stirpe Iberica scrisse forse Eschilo, riferito da Plinio, che l’Eridano scorre nell’Iberia.
  12. [p. 34 modifica]Tale è l’opinione del sig. conte Cesare Balbo.
  13. [p. 34 modifica]Che Bodincomago sia diverso dalla città d’Industria lo prova il cav. Costanzo Gazzera in una sua dotta memoria, in cui restituisce alla vera lezione un passo adulterato di Plinio.
  14. [p. 34 modifica]Il Gallerato (Antiqua Novariensium monumenta) reca l’iscrizione che un liberto di questa potente famiglia pose a Minerva, o, forse meglio, alla dea Memoria; libertatis causa.

    T  •  VIBIVS


    T          L

    
OPTATVS

    M  •  V  •  S  •  L  •  M

    
LIBERTATIS CAVSSA

  15. [p. 34 modifica]Timeo riferì questi avvenimenti. Polibio ne fa un cenno, ma dice che Timeo non conobbe il paese. Lib. ii, c. 16.
  16. [p. 34 modifica]Umbrorum gens antiquissima Italiae — trecento eorum oppida.
  17. [p. 34 modifica]Notizie naturali e civili sulla Lombardia I. introduzione.
  18. [p. 34 modifica]A Usseglio ultima terra d’Italia appiè del Roccamelone, presso ad una ghiacciaia che divide il Piemonte dalla Moriana, fu trovato un altaretto votivo che si conserva nella facciata della chiesa parrocchiale, e dice così:

    HER

    
C V L I

    
M   •   VIBIVS


    MARCELLVS

    [p. 35 modifica]dello stesso M. Vibio Marcello v’ è memoria in una lapide sepolcrale (Mar­mora Taurinensia ii, 49) da lui consacrata ai mani di Caio Geminio Vibiano e di Lartide Priscilla. La gente Vibia era illustre in queste regioni subal­pine, e se ne ha memoria in più marmi. Vibiforum presso l’Alpi alla destra del Po era forse stato da essa fondata. Crispo Vibio vercellese fu annove­rato a Roma fra i più illustri oratori, e si dice nel dialogo De Claris oratoribus noto in extremis partibus terrarum. A stirpe così famosa appar­teneva M. Vibio Marcello, che dovendo valicare il colle d’Arnasso, e la sua pericolosa ghiacciaia che mette nella valle d’Arverole in Moriana, lasciò in Usseglio memoria del voto fatto al Dio Ercole, da lui quasi emulato con quella impresa. Nè i Vibii erano tutti vercellesi, avendosi un’iscrizione di Lucio Vibio, censore, figliuolo di Caio, che si dice della tribù stellatina, alla quale, come vedremo, furono aggregati i Torinesi. Nell’iscrizione Ussegliese da me riferita, ho letto altra volta, non bene, virius, in luogo di vibius.