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Storia di Torino (vol 1)/Libro V/Capo VII

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Libro V - Capo VII

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Capo Settimo


Condizione degli studi in Torino. — Stampa.


Ma è ornai tempo che dal ragionamento dei cibi materiali facciam passaggio a discorrere dei cibi dello intelletto.

Erano in Torino da’ tempi antichi una scuola di grammatica e scuole inferiori.

La scuola di grammatica penso che comprendesse l’intero corso che barbaramente si chiamava trivio; vale a dire non solo la grammatica, ma anche la rettorica e la dialettica, od almeno le due prime.

Il comune stipendiava un maestro, ordinariamente straniero, il quale, come gli altri ufficii, si rimutava spesso. Nel 1327, maestro Pietro di Brescia, reg­geva le scuole di grammatica.

Nel 1355, il giudice ed alcuni savi del consiglio esaminarono maestro Guglielmo, di Bene inferiore, [p. 399 modifica]che domandava l’ufficio delle scuole di grammatica, e trovatolo sufficiente, gli dier le scuole per un anno, ordinando:

1° Niun altro maestro potesse aprire scuola in Torino.

2° Ogni scolare potesse venir liberamente alle scuole, e far dimora in Torino (e così anche i fore­stieri), e fosse salvo e sicuro, non ostante qualunque cambio o rappresaglia; eccettuati i fuorusciti tradi­tori e i loro figliuoli.

3° Ogni scolare di Torino rispondesse per la mercede di un anno, se dormiva nella casa delle scuole, sedici soldi viennesi; se non dormiva, dieci soldi; e potesse esservi dalla curia costretto in via pronta e sommaria.

In altra occasione si statuì che potessero pel pa­gamento di tal mercede tenersi in arresto, e costrin­gersi con sequestri i parenti, od altri che accom­pagnassero i ragazzi a scuola.1 Nel 1346 ebbe le scuole per due anni Bertramino de Cumini di Mi­lano, chiamalo dottore di grammatica. Il comune gli assegnò una casa e 12 lire viennesi di stipendio all’anno, con questi patti:

Faccia sua continua residenza a Torino;

Insegni tutto l’anno a qualunque scolare di Torino e ripeta loro sufficientemente latinità, ed i libri che leggerà;

Riceva pel magistero e per la ripetizione da [p. 400 modifica]ciascuno scolare che dorma nella casa delle scuole, quattordici soldi viennesi; dagli altri sei soldi;

Abbia la facoltà di scacciare i discoli, i quali non sieno perciò franchi dal pagar la mercede sopraddetta;

Pigli quanto gli pare dagli stranieri; Niuno insegni grammatica per detti due anni in Torino, eccettuato soltanto i preti ed altri che am­maestrano qualche fanciullo.

Nel 1376, venne maestro delle scuole gramma­ticali Guglielmo Gazzaro, di Bene, collo stipendio di quaranta fiorini d’oro di piccini peso. Chiunque vo­lesse udir il Donato, e dal Donato in su (et ab inde supra) dovea frequentarne la scuola. Bravi an­che un ripetitore.

Col medesimo salario fu condotto nel 1393 mae­stro Taddeo de’ Branchis di Verona. Nove anni dopo 33 scudi s’assegnavano a Pietro Gaudin della città di Embrun, che proferiva di leggere la grammatica positiva e probativa, la logica e la filosofia natu­rale, secondo la capacità degli scolari.

Ma fin dal secolo xiii, Vercelli avea uno studio ge­nerale. E fin dal 1343, il modesto comune di Moncalieri aveva scelto un maestro di grammatica, dia­lettica, ed arte metrica, invitando per sue lettere encicliche tutte le terre vicine a mandarvi scolari, ch’esso prometteva di riguardar quai figliuoli. Que­sto celebralo dottore era maestro Arrigo di Cucerdo di Carmagnola.2 [p. 401 modifica]Mosso da tali esempi, e dalle domande di alcuni lettori dello studio di Pavia che volevano mutar cielo, affaticati com’erano dalle incessanti guerre lom­barde, Ludovico, principe d’Acaia, fondò nel 1404 uno studio generale, ossia una università a Torino. In settembre di detto anno comunicò il suo pensiero al comune; e lo esortò ad incaricarsi del salario dei due dottori di leggi, Giorgio de’ Gili e Barto­lomeo Bertone, ed era di 260 scudi d’oro fra i due; promettendo di quitar il comune da tutti i sussidii, salvo da quello concesso per la dote di Margarita. Nel 1406 già v’insegnava il celebre giurisconsulto Baldo di Firenze.3 Ma poco stante la nuova guerra in­sorta fra Acaia e Monferrato, soffocava quella na­scente istituzione, die ripigliò vigore alla pace del 1411, nel qual anno venivano chiamati alla lettura di leggi civili e canoniche nello studio torinese, Cristoforo Castiglioni, Bertolino Duina, Pier Besozzi, Signorolo Omodei, tutti chiarissimi nomi, preclaro ornamento d’ogni più famosa università.

Allora cominciarono, secondo una bella frase di Amadeo viii, parlando appunto dell’alma sua fi­gliuola, l’università di Torino, allora cominciarono ad illuminarsi le menti ottuse, a cingersi le chiome de’ Piemontesi di corona d’alloro. Questa corona erano prima obbligati a cercarla, e la cercavan di fatto negli studi di Pavia, di Padova, di Bologna, d’Orleans è di Parigi. [p. 402 modifica]

Ma una instituzione di tanto pubblico vantaggio venne inceppata al suo nascere da molte contra­rietà. Eravi segreta ruggine tra i Torinesi e il prin­cipe, il quale procedeva, a dir vero, con non molto riguardo e con soverchia severità. V’ebbero diffi­coltà nel trovar casa adattata. V’ebbero sdegni cogli scolari, che, uniti in corpo numeroso, cui crescean baldanza la giovinezza e i privilegi clericali, in molte guise disturbavano la quiete pubblica e davan martello ai cittadini, non avvezzi a que’ tumulti. A’ 17 maggio del 1418 si diè a Solutore della Rovere un sussidio per addottorarsi. Ma frattanto lo studio di Torino, non sorretto dal pubblico favore, andava sca­dendo, e in quel mentre i Cheriesi, avveduti e sol­leciti; ne cominciavano un altro a Chiari, chiaman­dovi alcuni professori. Fino dal 1421 vi si leggeva, e molti de’ lettori torinesi si recavano a quello, seb­bene non s’operasse legalmente siffatta traslazione, fuorché per lettere patenti d’Amadeo viii del 13 di febbraio 1427. Richiamavasene vivamente la città di Torino tornata a migliori consigli; ma non ostanti i suoi richiami lo studio rimase varii anni a Chieri, dove fra i lettori di teologia annoveravasi Fran­cesco della Rovere savonese, e fra que’ di medicina il celebre Antonio Guainerio. Ma nell’anno 1434 incresceva già ai Cheriesi l’ospitalità conceduta allo studio, e però chiedevano venisse il medesimo tras­ferito in altra terra. Desiderarono i Saviglianesi di [p. 403 modifica]averlo, e il duca ne li compiacque. Ma il gran nu­mero degli studenti ben presto vi generò carestia. I lettori lagnavansi della poca nettezza delle strade, del soverchio prezzo delle vettovaglie e delle pi­gioni. Il comune di Savigliano cercò ogni via per riparare a que’ mali, ma inutilmente; onde dopo varii ondeggiamenti lo studio fu, per lettere del 6 d’ottobre 1436, restituito alla città di Torino, dove sempre rimase dipoi, fiorendovi in mezzo ad alcuni nomi oscuri anche uomini per ingegno e dottrina celebratissimi, come Giovanni Grassi, Cristoforo Nicello, Ambrogio Vignati, Jacopino S. Giorgio, Pietro Cara, Gianfrancesco Balbo, Claudio Seyssel, Francesco Porporato, Girolamo Gagnolo, Giovanni Nevizzano, giurisconsulti, Pantaleone da Confienza, Pietro da Monte, ossia Pietro da Bayro, Lorenzo Arpino, medici.

Un esame di baccellierato in gius canonico, sostenuto nel 1458 nell’aula della prepositura di S. Dalmazzo da Amedeo Nores protonotaio, era degnato della pre­senza di Ludovico duca di Savoia, e de’ principi suoi figliuoli Ludovico, principe d’Antiochia, e Jacopo.4

La facoltà di teologia era composta pressoché esclu­sivamente di frati minori e di frati predicatori; o sia perchè attendessero con più costante ardore agli studi, o sia perchè procurassero di non lasciar ag­gregare frati d’altre religioni. Il clero secolare in generale poltriva nell’ignoranza.5 [p. 404 modifica]

V’ebbero ancora nel corso del secolo xv sdegni e contrasti fra la città e gli studenti. Nel 1463 lagnavasi il comune degli eccessi che commetteano cherici e studenti andando attorno armati in qua­driglia il giorno e la notte. In agosto 1472 eranvi discordie fra i dottori e gli scolari, eranvi risse per la nomina del rettore fra gli scolari italiani e gli oltramontani; poiché tanto era già cresciuta la fama dello studio torinese, che fin dalla Germania e dall’Inghilterra vi si recavano. Fu mandato a quetar que’ tumulti il sire di Seyssel, maresciallo di Sa­voia.6

Due anni dopo, affinchè non si rinnovassero tali inconvenienti, la duchessa Violante, che reggea lo stato durante la minorità di Filiberto i suo figliuolo, venne a Torino, e fu presente alla elezione del ret­tore.7

Ma siffatti inconvenienti, colpa de’ tempi e della forma di monopolio e di privilegio che pigliavano al­lora le più belle instituzioni, non pregiudicarono i pro­gressi dell’università di Torino. Universale era allora l’amor del sapere. Nel 1460 i figliuoli del duca Ludo­vico intervenivano alle scuole del famoso giurisconsulto8 Giovanni Grassi, professore di gius canonico; quel medesimo che tre anni prima avea fondato in Torino un collegio per quattro poveri scolari, chia­mato la sapienza de’ poveri scolari de Grassis, e che più tardi professò nella università di Pisa. La [p. 405 modifica]duchessa Violante, già mentovata, nel commettere a Niccolò di Tarso l’ammaestramento del piccolo duca, rammentava nelle sue lettere patenti, beati esser i popoli i cui re sono filosofi o di filosofia studiosi. E alcun tempo dopo, nel deputargli un governatore, che fu Filiberto di Grolee, sire d’Eslins, disse, che sapendo di non poter fare al figliuolo un maggior dono che di porlo sotto la guida d’un tant’uomo con tante lettere, con tante preghiere, con tante ambasciate l’avea ricercato di assumere quella vasta provincia, che alla perfine avea dovuto con­sentire.9

Filiberto i riusciva, adir vero, un principe addot­trinato; ed ancor fanciullo orava al cospetto dei tre stati della monarchia, non senza maraviglia nè senza lagrime di molti di que’ che l’udivano.10

Continuò lo studio torinese a fiorire a’ tempi di Carlo iii, principe la cui mente era vaga e adorna di buoni studi. Il celebre Desiderio Erasmo di Roterdam, agostiniano, vi fu laureato in teologia il dì 4 di set­tembre 1506 insieme con Tommaso Redda della dioc­esi di Worms. Insignoritisi poscia i Francesi di queste contrade, dapprima mostrarono di voler favorire lo studio torinese; anzi al loro tempo si diedero le prime lauree in chirurgia; ma nel 1558, essendo nata contesa tra gli scolari e i soldati, monsignor d’Ossun, governatore della città, fece chiuder lo studio; e tacquero le dotte scuole fino al 1566, quando [p. 406 modifica]Emmanuele Filiberto vi trasferì l’università che area fondata a Mondovì. Questa buona nuova fu pubblicata per le vie e le piazze di Torino da quattro trombettieri addì 17 d’ottobre. E intanto il comune non si stancò di dar prove del suo amor per le scienze. Aiutò la stampa d’un’opera di quel bizzarro ed acuto ingegno di Gio­vanni Nevizzano, autor della Selva nuziale. Diè la cit­tadinanza a Filiberto Pingone e a Francesco Pacciotto da Urbino, l’uno storico, l’altro ingegnere. Aprì i suoi archivi al primo, e pagò l’amanuense che ne copiò le storie. Trattò nel 1567 col rettor del col­legio de’ Gesuiti per lo stabilimento delle scuole di lettere greche e latine, sebbene nel 1572 s’adope­rasse presso al generale de’ Gesuiti, al nunzio, ed all’arcivescovo, perchè i padri della Compagnia non avesser letture nell’università, massimamente di me­tafìsica, cosa, diceva il comune, che loro non ap­partiene secondo la regola della loro religione.

Nel 1570 il comune permetteva ad Emmanuele Curbis di recarsi al collegio della Viola, proprio del marchese di Masserano, a Bologna a terminarvi i suoi studi. Nello stesso anno il comune fece la spesa d’un teatro per la notomia che fu, credo, il primo costrutto in Torino.

Torino fu la terza città del Piemonte a concedere ospitalità all’arte famosa della stampa, che dovea mutar le ragioni umane, ed influir cotanto sui [p. 407 modifica]governi e sui popoli, ed in bene e in male, ma, checché ne dicano gli schifiltosi, più in bene che in male. Dopo Savigliano e Mondovì, l’arte tipografica fu eser­citata a Torino nel 1474 da Giovanni Fabri di Langres associato con Giovannino de Petro. Verso il cader del secolo operavano in Torino i Silva, che lungo tempo continuaron quest’arte, ed erano non solo tipografi, ma anche librai e legatori da libri, poiché non erano queste arti sempre disgiunte; e poco dopo lavoravano di tal magisterio Pier Paolo Porro e Ga­leazzo suo fratello, che di zecchieri ed orefici, si mutarono in tipografi, e dier prova d’intendere le più care eleganze dell’arte.11

Fioriva in Torino nel 1497 un altro libraio, chia­mato Giacomino (librier), che ebbe l’incarico di co­prir di raso l’uffizio della duchessa Bianca.12

Non parlo della numerosa schiera d’altri stam­patori che largamente operarono in Torino nella prima metà del secolo xvi. Soggiungerò solamente che Emmanuele Filiberto, dopo d’aver riconquistato gli aviti dominii, restaurando ogni cosa, volle re­staurare eziandio l’arte tipografica. E però chiamò a’ suoi servigi i celebratissimi stampatori Torrentino e Bevilacqua; il primo da Firenze, il secondo da Venezia. A quest’ultimo la città di Torino fe’ cession di un sedime affinchè potesse stabilirvi la sua of­ficina. Ma credendosi poscia offesa ne’ suoi diritti, per causa del privilegio esclusivo di stampar libri [p. 408 modifica]che Bevilacqua aveva ottenuto dal duca (ed è da notarsi che il duca era socio della stamperia), se ne risenti vivamente, e fe’ instanza presso al Senato ed alla Camera affinchè ricusassero l’interinazione di quel privilegio.13


Note

  1. [p. 417 modifica]Nel 1403, vedi Lib, consil.
  2. [p. 417 modifica]Datta, Storia de’ principi d’Acaia, ii, 160.
  3. [p. 417 modifica]Lib. consil.
  4. [p. 417 modifica]Vedi la dotta Storia dell’università del Piemonte del professore Tommaso Vallauri, 90.
  5. [p. 417 modifica]V. Cibrario, Notizie sull’università degli studi di Torino nei secoli xv e xvi.
  6. [p. 417 modifica]Conto di Giovanni Lotteria, tesor. gener.
  7. [p. 417 modifica]Conto del tesor. gener. Alessandro Richardon.
  8. [p. 417 modifica]Lib. consil. civ. Taur. — Il Grassi era di Castelnuovo in Canavese.
  9. [p. 417 modifica]Patenti date da Pinerolo il primo maggio 1478.
  10. [p. 417 modifica]Item libravit illustrissimo domino nostro Rippolis die v januarii millesimo quatuorcentesimo septuagesimo sexto de mandato prelibate domine nostre contemplacione oracionis facte per ipsum in tribus statibus in patria ultramontana ultimo tentis. — Unum ducatum auri valoris ii florenor. vi grossor. — Conto del tesor. gener. Alessandro Richardon.
  11. [p. 417 modifica]Vernazza, Lezione sopra la stampa.
  12. [p. 417 modifica]Conto del tesor. gener.
  13. [p. 417 modifica]Lib. consil.