Storie lodigiane/Vicende civili

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Vicende civili. Libro primo

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VICENDE CIVILI

LIBRO PRIMO

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PROLOGO


Sulla sinistra del Po, tra Piacenza, Crema, Cremona, Milano, Bergamo e Pavia, stendesi un fertilissimo piano dolcemente inclinato, corso dall’Adda, dal Lambro e dal canale Muzza, che per simiglianza dicono fiume. Abbondantissime acque qui e qua in grossi e piccioli corpi lo tagliano in ogni verso, e lambono intorno, ed innaffiano delle verdissime e pingui praterie tramezze a misura, e circondate di salici e di pioppi, e risuonanti del muggito di numerose giovenche. È frequente di grosse terre, frequentissimo di cassinaggi e di ville, che il verde rompono degli alberi e dei prati. Qui una numerosa popolazione d’indole, costume e dialetto facilmente dai contermini distinta, dal pampinoso colle di San Colombano alla sassosa valle dell’Adda, dal limite Milanese al confine paludoso del Po, non lascia un palmo di terra non coltivato. [p. 22 modifica]Questo suolo e questo popolo, che prendono suo nome da Lodi, picciola sì, ma una bella e ben posta città sopra l’elevata sponda dell’Adda, vicina a Milano e Pavia egualmente forse a venti miglia, ora prendo a narrare dagli antichissimi tempi.

E perchè le prime prime notizie ci sono molto generali ed oscure, non vorremo crearle nè trovarle questionando per congetture, od al contrario passarle senza dirne parola. L’una, cosa sazievole e tediosa senza profitto, anzi troppo facile corrompitrice del vero; l’altra non soddisfa e tiene incerta la mente di chi legge. Ho scelto però di prendere le notizie dal punto più lontano che si possa attingere, e di ridirle continuatamente, ancora che le nostre particolari ora sieno incerte molto, ora interrotte.

Ma per ottenere il proposito mi attaccai alle vicende di nazioni intere, e seguendole narrai le nostre, ora spiccate e certe quando mi spiccavano fuori, ora, quando dubbiose, accennai brevemente al dubbio, e quando poi non potevansi discernere, per non romperne la traccia toccai altre vicende relative, continuando così la narrazione insino a che venisse nuovamente fuori qualche cosa del nostro, pensando che il lettore, meglio che distaccarsi dalla narrazione, ami sentirsi ripetere delle cose note per seguire le altre nel bujo, dove, come ruscello in fiume, si confondono, non si perdono punto.

A questo modo la nostra istoria, che debb’essere coerente alla generale d’Italia, talora escirà fuori con del suo, talora rientrerà a guisa di filo nell’orditura di una tela, ed assumerà, io spero, quel carattere suo proprio che deve distinguerla dalle altre. Il quale, più che dai grandi fatti, dipende da tante picciole e quasi non percettibili particolarità tutte insieme.