Sull'Atlante/20. Le corse di Ribot

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20. Le corse di Ribot

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20.

LE CORSE DI RIBOT


Ribot, il bravo sergente che cinquanta volte aveva arrischiata la fucilazione per favorire le fughe dei suoi camerati stranieri ai quali la Francia, ignara di quanto accadeva negli inferni dei bleds, non riserbava, in compenso del loro sangue e del loro braccio, altro che tormenti inenarrabili commessi da una banda di mascalzoni...; Ribot non aveva perduto il suo tempo.

Risoluto ad aiutare in tutti i modi possibili il conte magiaro, a cui ormai si era legato da una profonda amicizia, e sua moglie, appena ebbe lasciata la cuba si era messo risolutamente in cerca di Bassot. Ignorava dove perlustrasse quel sergente, che pretendeva di rivaleggiare, per crudeltà, con Steiner; però non disperava di trovarlo.

Abilissimo ed instancabile cavaliere e profondo conoscitore delle grandi pianure del sud algerino, si era diretto risolutamente verso la grande catena dell'Atlante, poiché era convinto che gli spahis dovessero operare in quella direzione per impedire ai fuggiaschi di salvarsi sulle montagne e di mettersi sotto la protezione, sempre possente, degli sceicchi cabili e dei capi dei Senussi.

Per due giorni e due notti il bravo sergente aveva galoppato, non prendendo che brevissimi riposi e mettendo a dura prova la resistenza, fortunatamente straordinaria, del suo cavallo arabo; poi verso il tramonto del terzo, quando ormai cominciava a disperare, era caduto quasi improvvisamente fra gli spahis i quali si erano accampati in mezzo ad una specie di oasi formata da una quarantina di palmizi rigogliosi, perché innaffiata da una sorgente.

Bassot, che già russava sotto la sua piccola tenda da campo, avendo vuotata la sua copiosa razione di assenzio, udendo gli spahis salutare rumorosamente il sergente, aveva aperto un occhio, poi l'altro, e finalmente era uscito curioso di sapere che cosa succedeva nel piccolo accampamento.

— Tu, Ribot! — aveva esclamato, scorgendo il sergente il quale stava bevendo un bicchier d'acqua presso uno dei falò accesi sotto i palmizi. — Qual vento ti ha portato in fondo all'Algeria?

— Il vento del bled.

Bassot fece una brutta smorfia, poi incrociò le braccia, e, guardando fisso il camerata gli chiese a bruciapelo:

— Fai la parte della spia tu?

— Chi? — domandò Ribot lasciando andare il bicchiere e prendendo subito un'attitudine minacciosa.

— La tua presenza non era affatto necessaria qui.

— Ed io non sarei certamente venuto se non mi avessero mandato. Nei bleds non si sta troppo bene, tuttavia si sta sempre meglio che nella pianura bruciata dal sole e senza riparo.

— Che cosa vuole quell'imbecille di maresciallo che ha perduto il cervello per quella piccola mora che gli ha regalato quella magnifica pugnalata?

— Io non ho fatto altro che obbedire, te lo ripeto, Bassot — rispose il sergente.

— E perché sei venuto qui? Si temeva forse che non sapessi guidare i miei spahis?

— Andrai a domandarlo al maresciallo quando tornerai al bled.

Bassot represse a stento un moto di rabbia e si morse con rabbia i suoi baffi rossastri.

— Insomma, che cosa vuoi tu da me? Prendermi il comando del drappello?

— Ho avuto solamente l'incarico di raggiungerti per sapere se eri riuscito ad arrestare quei miserabili.

La risposta fu una salva di bestemmie, le une più grosse delle altre, che durò qualche minuto.

Ribot lasciò passare quella bufera senza scomporsi, poi, un po' ironico, chiese:

— Dunque, sono nelle tue mani, sì o no?

— Che il diavolo se li porti tutti all'inferno! — urlò il sergente degli spahis. — Io non so se il Profeta li protegga o qualche altro simile imbecille. Il fatto sta, che non sono stato ancora capace di scoprirli, quantunque io sia più che certo che non abbiano avuto il tempo di rifugiarsi sull'Atlante.

— Tu massacri inutilmente i cavalli del bled — disse Ribot, ridendo un po' sarcasticamente.

— Per le centomila code del diavolo zoppo! — urlò Bassot. — Che cosa avresti fatto tu al mio posto?

— Forse li avrei già ricondotti al bled — rispose Ribot, fingendo di scherzare.

— Io ti dico, invece, che avresti messo fuori di servizio tutti i cavalli che si trovano in Algeria per non riuscire a prendere un corno!

— Là! Là! Non ti riscaldar tanto, amico! Io non amo questionare coi camerati.

— Vieni però qui a provocarmi, corpo di un bisonte zoppo!

— Se ti ho già ripetuto a sazietà che sono stato mandato mentre sarei stato più contento di rimanere al bled.

— Potevi rimanerci, poiché qui la tua presenza non è affatto necessaria.

— E se invece ti recassi delle buone notizie?

— Su chi?

— Sui fuggiaschi.

— Tu!

— Io, Ribot.

— Mi canzoni?

— Vengo dal nord, sono tre giorni e tre notti che cavalco, e posso aver raccolto sul mio cammino qualche preziosa informazione che potrebbe farti guadagnare il premio promesso dal Governo, ed anche un avanzamento.

Bassot, che fino allora si era mostrato arcigno ed estremamente aggressivo, parve rasserenarsi. Si lisciò nervosamente i baffi rossicci e poi, cambiando tono, disse:

— Vuoi venire sotto la mia tenda, camerata? Ho ancora una bottiglia di assenzio, l'ultima disgraziatamente, che dividerò con te fraternamente.

— Preferisco dell'acqua inzuccherata.

— Va' a berla allora ad Orano. Siamo a secco di tutto o quasi di tutto. Che questa scorreria duri ancora qualche giorno, e noi ci troveremo alle prese colla fame. Fortunatamente ora possiamo contare su te, che sei il gran cacciatore del bled, un degno rivale di quella canaglia di conte ungaro.

— Allora accetterò il tuo assenzio in attesa della cena.

Seguì il sergente sotto la piccola tenda da campo, mentre gli spahis s'affaccendavano a far bollire tre o quattro marmitte entro le quali avevano gettate le loro ultime provviste.

— Sentiamo dunque — disse Bassot, sturando una bottiglia, l'ultima che possedeva. — Quali preziose informazioni puoi darmi tu? Da chi le hai avute prima di tutto?

— Da due Cabili che si recavano verso l'Atlante.

Bassot scoppiò in una risata fragorosa.

— Ti hanno canzonato, camerata, e come! Non sai che i fuggiaschi sono protetti da tutte le canaglie più o meno colorate che abitano l'Algeria? Anch'io sono stato giuocato da un preteso Tuareg, il quale ha rovinati tutti i cavalli del primo drappello.

— Quei due Cabili non avevano mai udito parlare del moro Hassi-el-Biac, né di sua figlia — disse Ribot.

— Sono furbi, mio caro.

— Qualche volta no.

— Ebbene, che cosa ti hanno narrato i tuoi famosi Cabili? — chiese Bassot ironicamente.

— Di aver incontrato, due giorni fa, verso le pianure di ponente un drappello formato da due uomini bianchi; da una donna, da due mori e da un vecchio negro.

— Per le centomila code del diavolo zoppo! — gridò Bassot, il quale era diventato raggiante. — Questo ti hanno narrato?

— Sì, camerata.

— Allora erano loro!

— Parrebbe anche a me.

— Cinque: quattro uomini ed una donna! Afza, il conte, il livornese, Hassi ed il suo servo. Sangue di Satana! Questa volta non ci scapperanno più. Il tuo cavallo si trova in buone condizioni?

— L'ho risparmiato più che ho potuto, e poi credo che sia il migliore di quanti ve n'erano nel bled.

— A mezzanotte farò suonare il buttasella e fileremo verso ponente seguendo la base della grande catena. Se non sono ancora riusciti ad attraversare la pianura li acciufferemo tutti e li porteremo al maresciallo legati come tanti salami. Ho un vecchio conto da saldare col conte.

— Che cosa ti ha fatto?

— È stato lui che ha spinto Steiner al suicidio. Me lo hanno assicurato parecchi disciplinari.

— Bah! Una canaglia di meno — disse Ribot alzando le spalle.

— Quello Steiner era il terrore del bled.

— Se ne può fare a meno.

— Noi non c'intenderemo mai.

— E perciò è meglio, camerata, che andiamo ad assaggiare la cena che ci hanno preparata i tuoi spahis.

— Una zuppa da campo algerino, figurati! Credo che vi troverai dentro perfino qualche lucertola per rinforzare il brodaccio. Meno male che abbiamo trovato un campicello di cipolle che abbiamo coscienziosamente saccheggiato.

Gli spahis avevano già staccata la pentola ed avevano riempito le gamelle mettendole a disposizione dei due comandanti pel primo assaggio, il quale ebbe pieno successo pel fatto che invece di far bollire insieme alle cipolle una mezza dozzina di lucertole o qualche coda di serpente, vi avevano gettato dentro un paio di chilogrammi di ranocchi raccolti in uno stagno vicino.

Si capisce che quei bravi soldati, dotati di uno stomaco di ferro e di un appetito fenomenale, non si erano presi la briga né di togliere la pelle ai poveri batraci e nemmeno quella di decapitarli.

Li avevano scaraventati anzi dentro vivi, per prendersi il gusto di vederli saltellare nell'acqua bollente! Diamine! Erano così poche le distrazioni in quella interminabile pianura!

Scomparsa in un baleno la zuppa da campo, tutti si gettarono sotto le piccole tende, in attesa della mezzanotte per ripartire.

Sapendosi isolati, non avevano nemmeno presa la precauzione di mettere qualche sentinella intorno all'accampamento.

Cinque o sei ore di riposo bastarono per rimettere in gambe uomini e cavalli.

Alle dodici tutti erano in sella, ansiosi di giungere alle spalle dei fuggiaschi, che per loro rappresentavano un premio ingente, seguito da un permesso lungamente atteso.

La galoppata cominciò con molto slancio e con altrettanto entusiasmo.

Guidava il drappello Ribot, nella sua qualità di sergente anziano, e ci si era messo con grande impegno per allontanare sempre più gli spahis dalla via che dovevano tenere i fuggiaschi per raggiungere le falde dell'Atlante.

Quelle corse duravano da un paio di giorni con nessun altro risultato che quello di fiaccare completamente i poveri cavalli e chissà quanto ancora avrebbero durato, se un avvenimento imprevisto da Ribot non le avesse bruscamente interrotte.

Si erano accampati ad una cinquantina di miglia a ponente della cuba, quando videro giungere un beduino che montava un cammello corridore coperto di sudore e di schiuma.

La comparsa di quel figlio del deserto era stata salutata con un evviva, poiché prometteva probabilmente qualche buona informazione su coloro che cercavano, o meglio, che Ribot non voleva cercare.

— Che cosa fanno qui i frangi? — aveva chiesto subito il selvaggio abitante della bassa Algeria, appena balzato di sella. — Dove vanno a cercare gli uomini fuggiti dal bled?

— Corpo di centomila tuoni! — gridò Bassot il quale stava fumando la sua ultima carica di tabacco. — È Maometto od il simun che ti porta? Che tu sii benedetto, anche se hai il muso quasi nero come compare Belzebù!

Tutti avevano fatto circolo intorno al beduino, ansiosi di avere notizie sui fuggiaschi.

Solo Ribot non si era mostrato affatto lieto di quell'arrivo inaspettato.

— Che cosa ne sai tu dunque dei fuggiaschi del bled? — chiese Bassot, gettando via la pipa diventata ormai inservibile per mancanza di tabacco. — Di dove vieni tu? Chi te n'ha parlato?

— Siamo passati, cinque giorni sono, dall'ultimo bled, e siamo stati avvertiti che due frangi erano scappati, e che quindi potevamo concorrere al premio di cattura.

— Ah! Quanto a quello ne riparleremo più tardi — disse il sergente. — Quali nuove rechi su quei due frangi? Sono stati veduti?

— Marciano insieme alla carovana del mio padrone — rispose il beduino.

— Chi è?

— El-Madar.

— Mi pare di averlo conosciuto — disse Bassot. — Dove si dirige il tuo padrone?

— Verso i villaggi dei Cabili. Abbiamo un grosso stock di stoffe da vendere lassù.

— Chi c'è coi due frangi?

— Due mori, una bellissima giovane ed un vecchio negro.

— Per le corna di Belzebù! Sono loro! Hai udito, Ribot? E noi, imbecilli, li cercavamo da queste parti! Te lo avevo detto, io, che quei due Cabili ti avevano canzonato!

— Può darsi — rispose il sergente il quale appariva assai preoccupato dalla cattiva piega che prendevano le cose. — Però non possiamo fidarci nemmeno di questo beduino. Mi pare che abbiano intessuto intorno a noi una tela di ragno, per farci correre da ponente a levante col solo scopo di slombare i nostri cavalli.

— Ma questo è un beduino, anima mia!

— Già!... Fidati di coloro! Per uno zecchino venderebbero anche la tomba di Maometto se si trovasse nelle loro mani.

— Eppure io credo a quell'uomo — disse Bassot. — Non mi ha l'aria di essere un traditore, ed io intendo...

— Che cosa? — chiese Ribot ironicamente.

— Ritornare verso levante e cogliere quelle canaglie.

— E se io mi opponessi?

— Tu! Con qual diritto?

— Devo dunque rammentarti che io sono più anziano di te e che perciò il comando spetta a me? E che io vengo dal bled con ordini precisi del maresciallo?

— Per centomila code del diavolo zoppo! — urlò furiosamente Bassot.

— Contane anche duecentomila, a me poco importa — rispose Ribot, con voce ferma. — Io compio il mio dovere, e basta.

— Gli spahis sono stati affidati a me!

— Sta bene, ma ora condurrò io la corsa come meglio mi piacerà.

— Tu abusi dell'anzianità.

— Compio il mio dovere, ti ho detto.

— Noi salderemo questa questione al bled, non è vero, camerata? — disse Bassot coi denti stretti, pallido di rabbia.

— Alla sciabola o alla pistola — rispose Ribot, che conservava una calma ammirabile. — La nobiltà provenzale, anche se piccola, sa battersi e morire.

— Bella nobiltà perduta in Africa! Dove hai lasciato il tuo dorato blasone? In fondo alla Loira od alla Garonna, come l'ha perduto quel cane di magnate nel fango del Danubio?

— Ne riparleremo il giorno che ti pianterò una palla in fronte. Ora obbedisci e basta: questo è l'ordine.

Quindi volgendosi verso il beduino, il quale aveva assistito impassibile a quel battibecco, gli disse:

— Vattene: delle tue informazioni non ne abbiamo bisogno.

— È il capo...

— Torna dal tuo capo e non occuparti più di noi.

Il beduino comprese che non spirava troppo buon vento per lui, e risalito sul suo mahari si allontanò prendendo la direzione di levante.

— Riposo fino all'alba — disse Ribot agli spahis. — I nostri cavalli hanno bisogno di riposarsi, ed il bled è ormai troppo lontano.

I cavalleggeri, stanchissimi, non avevano tardato a cacciarsi sotto le loro tende con la speranza di fare una bella dormita, ma non erano trascorse due ore, quando furono bruscamente svegliati da un colpo d'arma da fuoco sparato in vicinanza del piccolo accampamento.

I due sergenti erano stati i primi a precipitarsi all'aperto colle sciabole e le pistole in pugno, credendo che qualche tribù di predoni tentasse un attacco.

Si trovarono invece, con non poca loro sorpresa, dinanzi ad un secondo beduino, che montava un cammello corridore.

— Toh! — esclamò Bassot. — Un altro di quei panduri del deserto! Che cosa verrà a raccontarci quest'uomo? Apri gli orecchi, Ribot, perché credo che tu abbia avuto un gran torto a mandare via il primo come un can frustato.

Il provenzale aveva aggrottata la fronte, e si era fatto oscuro in viso. Aveva ormai intuito il pericolo gravissimo che correvano i suoi amici. Mosse verso il beduino il quale era già saltato a terra, chiedendogli bruscamente:

— Chi ti manda?

— Il mio padrone, lo sceik El Madar.

— Ancora questo El-Madar! — esclamò Bassot. — L'affare è serio.

— Che cosa vuoi? — chiese Ribot.

— Mi ha mandato per avvertirti che i frangi fuggiti dal bled marciano insieme alla sua carovana.

— Questo ce lo ha già detto un altro tuo compagno giunto qui due ore sono, ma io non avevo voluto prestare fede alle sue parole.

— Hai avuto torto: quell'uomo diceva il vero.

— Hai veduto tu quei frangi?

— Sì.

— Quanti sono?

— Due.

— Per le centomila code del diavolo zoppo! — urlò Bassot. — Sei finalmente convinto, camerata, che quei due Cabili ti avevano canzonato? Confessalo, almeno!

— Non correr tanto, Bassot — rispose il nobile provenzale.

Poi volgendosi nuovamente verso il beduino gli chiese:

— Chi accompagna quei frangi?

— Due mori, una giovane donna ed un negro.

— Hai capito? — urlò Bassot.

— Taci, noioso, e lascia che io continui l'interrogatorio. Dove accampa il tuo padrone?

Il beduino pensò un momento, poi rispose:

— A circa cinquanta miglia di qui e marcia lentamente verso l'Atlante.

— Non ha ancora raggiunta la montagna?

— Non potrà giungervi prima di cinquanta o sessanta ore, poiché la carovana è formata quasi interamente da cammelli da carico.

— Allora possiamo riposarci fino a domani — disse Ribot, il quale aveva preso rapidamente il suo partito.

— Riposarci? — gridò Bassot. — Tu vuoi farli scappare!

— E tu vuoi rovinare completamente i nostri cavalli — rispose Ribot, piccato. — Quando saranno slombati, come farai tu a galoppare? Adopererai le tue gambe?

— Che belle carcasse che ci passa il Governo! E poi esige da noi dei servizi straordinarii!

— Quelle povere bestie hanno fatto abbastanza. Orsù, andate a dormire e tu, beduino, coricati accanto al tuo cammello. Domani ci guiderai dal tuo capo.

Gli spahis, lieti di poter riprendere il loro sonno si gettarono sotto le piccole tende. Bassot era stato il primo a gettarsi a terra; Ribot invece era rimasto fuori, con la scusa di terminare la sua pipata di caporale.

Invece di una furono tre, quattro, fors'anche cinque cariche di tabacco che passarono attraverso la pipa del sergente, il quale pareva che si fosse perfino dimenticato che l'alba sorge presto in Algeria.

Il bravo provenzale aveva ben altro da fare che riposarsi. Si tormentava il cervello per cercare un mezzo qualunque che gli permettesse di salvare il conte ed Afza.

Ormai non poteva più condurre il drappello dove voleva. Quei maledetti beduini gli avevano guastato tutto il suo piano ed aveva da fare i conti con Bassot, il quale non si sarebbe certamente prestato a farsi canzonare una seconda volta. Ci andavano di mezzo i galloni, e forse qualche cosa di peggio.

Ad un tratto però parve che avesse trovato una soluzione di quel terribile problema, poiché cessò di fumare, vuotò lentamente la pipa, borbottando, quindi estrasse un borsellino a maglie d'acciaio e rovesciò il contenuto nel palmo della mano sinistra.

— Sette marenghi — disse. — Vi è qui abbastanza per comprare l'anima di due beduini.

Girò intorno alle tende per assicurarsi che tutti dormissero, specialmente il terribile Bassot, poi avendo udito gli spahis russare come canne d'organo s'avvicinò al beduino il quale si era addormentato accanto al suo cammello.

— In piedi, amico — gli disse sottovoce, scuotendolo con mala grazia.

— Che cosa vuoi da me, frangi? — chiese il figlio del deserto.

— Fa' alzare il tuo cammello e seguimi. Debbo parlarti e ho da regalarti delle monete d'oro.

Udendo parlare d'oro, l'avido uomo fu pronto a obbedire. Accarezzò dolcemente il mahari, sussurrandogli qualche parola negli orecchi e lo fece alzare, seguendo il sergente.

A duecento passi dall'accampamento si fermarono.

— Tu mi assicuri che col tuo capo viaggiano due frangi? — gli chiese il sergente.

— Lo giuro sulla barba del Profeta.

— Ti credo, perché è il vostro più grande giuramento. Vuoi guadagnare due o tre monete d'oro?

Gli occhi del beduino brillarono di cupidigia. — Devo uccidere qualcuno di quei frangi? — chiese con accento feroce.

— Lascia in pace quegli uomini che sono miei amici. Tu non devi far altro che salire sul tuo mahari e tornare dal tuo padrone.

— Solamente? — chiese il beduino stupito.

— Nient'altro.

— Tu vuoi scherzare, frangi!

Ribot tolse dal borsellino tre napoleoni e li mise nella mano del figlio del deserto, aggiungendo:

— Ti avverto che se i miei soldati giungeranno al campo del tuo padrone, dovrai prendere delle precauzioni per non farti riconoscere.

— I nostri caffettani hanno il cappuccio ampio, ed un viso si fa presto a nascondere.

— Basta: parti.

Il beduino si nascose i tre pezzi d'oro nella fascia che gli cingeva i fianchi, fece alzare il mahari e salì in sella.

— Addio, frangi — disse. — Io ti sarò amico.

— Che Allah ti guardi! — rispose Ribot.

Attese che cammello ed uomo fossero scomparsi fra le ombre della notte, poi tornò verso l'accampamento, sguainando la sciabola.

— Mi rincresce per quelle povere bestie — mormorò. — Tutti i mezzi sono buoni, anche i più disperati, quando si tratta di raggiungere lo scopo. È necessario ritardare l'arrivo degli spahis.

Fece un'altra volta il giro delle tende, ascoltando attentamente dinanzi ad ognuna. I soldati russavano sempre della grossa.

Bassot poi, sembrava una fisarmonica scordata.

— Possiamo agire con piena sicurezza — mormorò il bravo sergente. — Si direbbe che quell'Afza è stata fatale a tutti!

Soffocò un sospiro, estrasse la sciabola ed una pistola a due colpi, e si avvicinò ai cavalli. Le povere bestie, sfinite dalle lunghe corse, dormivano profondamente le une accanto alle altre.

Ribot impugnò saldamente la sciabola, si avvicinò al gruppo, e tirò tre formidabili fendenti in direzione delle gole.

I tre animali, sgozzati di colpo, si diedero a sparare calci in tutte le direzioni, svegliando i compagni, i quali si erano affrettati a saltare in piedi per salvarsi da quella tempesta secca.

Ribot ringuainò subito l'arma lorda di sangue che poteva tradirlo, poi sparò due colpi in aria, gridando con voce tremante:

— All'armi! All'armi! Tradimento!

Gli spahis, svegliati di soprassalto, si erano precipitati fuori dalle tende, impugnando i moschetti.

Tutti urlavano, tutti si domandavano:

— Che cos'è successo?

— Dove sono i traditori?

— Chi ha fatto fuoco?

— Sergente, Ribot!

Bassot era stato il primo a gettarsi fuori scatenando tutte le centomila code del suo diavolo zoppo.

— Dunque, Ribot, che cos'è accaduto? — chiese al sergente il quale stringeva ancora la pistola fumante. — Hai sognato, camerata? Io non vedo nessuno.

— Ed il beduino lo vedi tu? — gli domandò Ribot.

— Come! Non c'è più?

— È scappato, mio caro.

— Vada pure a farsi impiccare dove vuole! Sapremo trovare l'accampamento di El-Madar senza di lui. Con una buona galoppata vi giungeremo.

— E con quali cavalli?

— Corpo del diavolo zoppo! Coi nostri, spero! — urlò Bassot. — Tu sei diventato pazzo.

— Si, va' a vedere intanto che cosa ha fatto quel cane di beduino prima di scappare.

— Ribot! Vuoi spaventarmi?

— Ti ho detto di andare a vedere i nostri cavalli.

Il sergente esitò un momento, spaventato da quelle parole che gli annunciavano certamente una qualche grave sciagura, poi si precipitò verso gli animali.

Una scarica di bestemmie, le une più grosse delle altre, echeggiò nella notte.

Bassot si strappava i capelli.

— Ah! Malandrino! — urlava, dandosi dei formidabili pugni sul cranio. — Ci ha rovinato tre cavalli! Pezzo da galera! Ed io che lo credeva un galantuomo! Sono dunque tutti in lega, Cabili, Senussi e beduini per proteggere quel cane di ungherese? E il premio che minaccia di sfuggirci sotto gli occhi! Dio maledica il diavolo zoppo e tutte le sue code!

— Se te lo avevo detto, io, di non ti fidare di quei furfanti... — disse Ribot.

— Non li credevo però malandrini fino a quel punto!

— Ed ora, che cosa faremo?

— E me lo chiedi? Corpo del diavolo zoppo! Andrò a trovare quella canaglia di El-Madar per assicurarmi, coi miei occhi, se è vero che ha fra la sua carovana il conte ed il toscano.

— Con tre cavalli di meno? Quando vi potremo giungere?

— Presto o tardi questo famoso El-Madar lo scoveremo fuori.

— Dove?

— Seguiremo la base dell'Atlante.

— Come vuoi.

— Dubiti tu?

— Io credo, camerata, che continuino a canzonarci.

— La cosa finirà, mio caro, perché quel caro El-Madar, se intende di avermi giuocato, lo farò fucilare come un cane. Ho carta bianca, e poi un beduino di più o uno di meno non sarà gran cosa. Ohe, ragazzi, levate le tende e montate come potete. I cavalli più robusti porteranno gli uomini che sono scavalcati. In sella!