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Sulle frontiere del Far-West/CAPITOLO VIII - Gli squatters di Kampa

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CAPITOLO VIII - Gli squatters di Kampa

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CAPITOLO VIII - Gli squatters di Kampa
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CAPITOLO VIII.


Gli “squatters„ di Kampa.


I cavalieri, persuasi anche quella volta di essere sfuggiti ai terribili tomahawak ed alle lance dei Chayennes, balzarono in sella, e dopo un’ultima esplorazione dell’orizzonte, si slanciarono verso il sud, fendendo impetuosamente quell’oceano di verzura che pareva non dovesse finire mai.

La colonna di fumo era sempre visibile e serviva loro come di faro. Qualche cosa di grosso doveva bruciare in mezzo alla prateria, poichè non accennava a scemare quel pennacchio che si raccoglieva sul limpidissimo cielo, mantenuto immobile da una calma assoluta.

Non essendovi in quella direzione che Kampa, doveva essere quella piccola stazione che bruciava.

In quell’epoca l’emigrazione bianca era ancora lentissima in causa delle continue ostilità degl’indiani, ed i villaggi si trovavano situati a grandissime distanze, avendo tutti bisogno della protezione di un fortino e d’una piccola guarnigione che il Governo non avrebbe potuto fornire a tutti, se fossero stati in molti.

Come era sua abitudine, John, il quale cavalcava sempre alla testa del minuscolo drappello, di quando in quando faceva qualche brusca fermata per osservare attentamente le erbe, potendo darsi che in mezzo a quelle si nascondessero coloro che avevano assassinato il corriere di San Luigi, il disgraziato Patt ed il suo compagno.

Prestava specialmente estrema attenzione agli animali selvaggi, che di quando in quando si mostravano nei luoghi ove l’erba era meno alta od intorno agli occhi pieni d’acqua, poichè dalle loro fughe precipitose era in caso di giudicare se l’indiano si trovava in una di quelle direzioni.

Una scoperta lo rassicurò pienamente.

Aveva percorso, sempre guidando i compagni, una mezza dozzina di miglia e già la colonna di fumo stava per scomparire, quando vide passare dinanzi a sè, colla furia d’un uragano, uno stuolo di cavalli selvaggi.

Erano una quarantina ed appartenevano tutti ad una razza sola, l’andalusa, che è la più diffusa, razza piuttosto piccola, vigorosa, dotata d’una resistenza incredibile e che è stata importata dai primi [p. 84 modifica]conquistatori del Messico e più tardi da Fernando di Loto che li lanciò invece dalle rive del Mississipi.

Si trovano però anche delle caballade di cavalli inglesi, venuti da oriente, e che si sono anch’essi straordinariamente propagati malgrado le grandi cacce che subiscono di tratto in tratto dagl’indiani, i quali sono i loro più accaniti avversari.

Dove s’incontrano è difficile che vi sia a breve distanza l’uomo rosso, quindi John poteva ormai marciare, quasi con piena sicurezza, verso il sud, poichè era appunto da quella parte che i magnifici andalusi erano giunti, nitrendo allegramente.

— Ora mi sento più sicuro, — disse ad Harry, il quale ammirava i bellissimi mantelli e le lunghe criniere dei fuggiaschi. — Dinanzi a noi non si trovano di certo i Chayennes. —

Il mustano sente a gran distanza l’uomo rosso e lo sfugge come la peste.

— Si direbbe che vengono da Kampa, — soggiunse lo scorridore di prateria.

— L’incendio li avrà spaventati e sono risaliti verso il settentrione.

— Peccato non aver del tempo per cacciarli!

— Non mancheranno le occasioni, camerata. Per ora pensiamo alle nostre capigliature e non già alle criniere dei mustani.... Toh! Il fumo è cessato completamente.

Odi nessun colpo di fucile, tu?

— No, John.

— E voialtri?

— Nemmeno, — risposero ad una voce Giorgio ed il gambusino.

— Allora tutto va bene. —

Come per smentirlo prontamente, i quattro cavalli che si avanzavano di buon trotto, spiccarono tutti insieme un gran salto, come se avessero cercato di evitare qualche ostacolo nascosto fra le altissime erbe.

Se non fossero stati tutti abilissimi cavalieri, provati a qualunque sorpresa, e se la piccola indiana, sempre lesta come una scimmia, non si fosse prontamente aggrappata a suo padre, sarebbero stati tutti sbalzati di sella.

— Ehi, John!... — aveva gridato Harry, armando prontamente il rifle.

L’indian-agent aveva risposto con una bestemmia.

— Un agguato? — riprese lo scorridore.

— Hanno teso dei lacci sotto le erbe, — rispose il gigante, trattenendo il suo cavallone.

— Chi? — chiese Giorgio.

— Chi vuoi che siano stati se non i Chayennes? Armate i fucili e fermi tutti!... —

[p. 85 modifica]I cavalli, come se avessero compresa già l’intenzione dei loro padroni, si erano fermati di colpo su una sola linea, senza però nitrire, ciò che non avrebbe mancato di fare un cavallo europeo.

— E dunque, John? — riprese Harry, mentre il gigante allargava, colla canna della carabina, le erbe.

— Qui era stato preparato un agguato, — rispose il gigante.

— Per noi o per la corriera?

— Per la corriera, suppongo.

— Che vi siano altri lacci?

— È probabile.

— Eppure i cavalli selvaggi che sono passati poco fa galoppavano in questa direzione!

— E saltavano anche molto in alto, — disse il gambusino.

— Mettete i mustani al passo, — soggiunse John. — Non voglio che si rompano le gambe e proprio ora. Eh!... —

In lontananza si era udito, in quel momento, un rombo, a cui aveva tenuto subito dietro una densa colonna di fumo nero, alzatasi in direzione di Kampa.

— Pare che sia saltato qualche deposito di munizioni, — disse Harry. — Mio caro John, deve essere proprio la stazione che se ne è andata in cenere.

— Può darsi, — rispose l’indian-agent, la cui fronte si era assai annuvolata.

— Vuoi proseguire?

— Sì.

— Andiamo dunque a vedere se i Chayennes sono più o meno brutti degli Sioux, poichè io sono certo di vederli ben presto.

— Taci e bada ai lazos: ve ne possono essere ancora. —

Quella seconda nuvola di fumo si era dileguata quasi subito, segno evidente che doveva essere stata prodotta dallo scoppio di uno o più barili di munizioni e non già da un altro incendio; però John possedeva un’orientazione poco dissimile da quella posseduta dagli uomini rossi i quali, al pari dei piccioni viaggiatori, non hanno mai avuto bisogno della bussola, e perciò era più che sicuro di condurre il drappello alla stazione.

Dopo d’aver fatto percorrere ai cavalli un tratto di quattro o cinquecento metri, sempre al passo pel timore di trovare altri lazos, i quattro cavalieri, ormai rassicurati, si slanciarono ventre a terra.

Il sole tramontava rapidamente e l’oscurità cominciava a piombare, avanzandosi da levante. Gli uccelli notturni, nascosti chissà mai dove durante la giornata, forse nelle tane dei cani di prateria come affermano gl’indiani, si alzavano dovunque starnazzando le ali e mostrando i loro brutti occhi fosforescenti.

Ancora pochi minuti e l’oscurità doveva avvolgere completamente [p. 86 modifica]la sconfinata e pericolosa pianura, e Kampa, la stazione sospirata dall’indian-agent, non appariva ancora.

— Date dentro cogli sproni!... — aveva gridato. — Io non mi accamperò all’aperto coi Chayennes che battono la prateria. —

Avevano percorso un altro paio di miglia, a galoppo serrato, i rifles pronti a far fuoco, aspettandosi da un momento all’altro una di quelle spaventose sorprese che finiscono quasi sempre colla perdita delle capigliature e della vita, quando videro sfilare fra le alte erbe una mezza dozzina di quei monumentali furgoni, trainati da quattro ed anche da sei cavalli, coperti da ampie tele più o meno bianche ed usati dai pionieri che si recano nelle praterie a fondare fattorie o a tentare la fortuna fra i placers della California.

— Degli emigranti!... — gridò John. — Dove fuggono? —

Vedendo i quattro cavalieri, i conduttori dei furgoni si erano fermati urlando:

— Chi vive?... —

Erano quindici o venti, parte squatters e parte volontari delle frontiere. Sotto le tende però si vedevano apparire delle teste di donna e di bambini.

— Amici!... — rispose subito John, vedendo gli uomini disporsi solleciti dinanzi ai furgoni e puntare risolutamente le carabine. — Sono l’indian-agent del colonnello Devandel.

— Del colonnello Devandel!... — gridò una voce.

Un vecchio ancora vegeto, che indossava la divisa dei volontari coi galloni di sergente sulle maniche, con una bella barba quasi bianca, si era staccato dal gruppo degli squatters, avanzandosi verso i quattro cavalieri.

— Da dove venite? — chiese.

— Dai Laramie, — rispose John.

— Fuggiaschi anche voi?

— Perchè dite questo?

— Non sapete che gli Sioux hanno distrutto completamente la colonna del colonnello?

— Quando? — chiesero ad una voce, con doloroso stupore, John, Harry e Giorgio, mentre un cattivo sorriso increspava le labbra di Nuvola Rossa e di Minnehaha.

— Ieri mattina, prima dell’alba, — rispose il sergente.

— Noi abbiamo lasciato il campo ventiquattro ore prima, — disse l’indian-agent — per compiere una missione ordinataci dal colonnello.

Da chi avete saputo che la colonna è stata annientata?

— Da un volontario che è passato stamane da Kampa per portare notizie a San Luigi. Credo che fosse l’unico superstite.

— Sicchè il colonnello?

— Non ne so nulla. —

[p. 87 modifica]John guardò con spavento i due scorridori della prateria, i quali parevano annichiliti.

— Avete udito, camerati? — chiese, con voce assai commossa.

— Purtroppo! — rispose Harry.

— È quella terribile Yalla che ha fatto il colpo. Ormai sapeva che era il colonnello che comandava la colonna. Che cosa ne avrà fatto di quel disgraziato? L’avrà preso vivo? Oh!... Preferirei che egli fosse morto alla testa dei suoi valorosi!

— Gli uomini della sua tempra non si lasciano scotennare vivi, — disse il sergente — nè si arrendono. Deve essere morto. —

Nuvola Rossa e la fanciulla si erano scambiato uno sguardo, ma non avevano osato pronunciare una parola.

— Da dove venite? — chiese finalmente l’indian-agent, al sergente.

— Da Kampa. Ho incendiata la stazione ed ora cerco di condurre in salvo la piccola guarnigione e le famiglie degli squatters verso la California.

I Chayenne sono già in campo; gli Sioux ormai hanno la via libera. Che cosa avrei potuto fare? Attendere la morte? Preferisco tentare la ritirata, pur non ignorando che presto o tardi dovrò incontrarmi colle bande degli Arrapahoes che verranno dal Lago Salato.

— E mi pare che abbiate fatto bene, — disse John. — In quanti siete?

— In ventisette, comprese le donne ed i fanciulli.

— E quattro fanno trentuno e tutti solidi, sergente, se volete che ci uniamo a voi. Contavamo di scortare l’ultima corriera di Kampa.

— L’abbiamo abbruciata, poichè non avrebbe servito a trasportarci tutti, — rispose il vecchio soldato.

— E voi siete ben sicuro che i volontari del colonnello Devandel, che dovevano difendere la gola del Funerale, siano stati distrutti?

— Sì. —

Cosa incredibile! Sulle abbronzate gote dell’indian-agent scesero due lagrime.

— Bah!... — esclamò poi il gigante, scrollando le spalle. — Questa è la vita della prateria.

Ma più tardi, come sempre, avremo la nostra vendetta su quei maledetti rettili dalla pelle rossa.

— Signori, — disse il sergente, dopo aver avuto un breve colloquio con alcuni squatters. — Se volete approfittare, noi conteremo sul vostro valore e sulle vostre carabine.

— Siamo con voi, — rispose John. — Anche noi ci ripieghiamo verso il gran Lago Salato, e se non vi diamo incomodo vi terremo buona compagnia, se gl’Indiani ce ne lasceranno il tempo.

— Siete i benvenuti. —

[p. 88 modifica]Il sergente mandò un grido gutturale ed i sei pesantissimi furgoni, carichi di masserizie, poichè quei disgraziati coloni avevano posto in salvo il meglio che possedevano, prima di dar fuoco alla stazione, si misero in marcia, facendo stridere le ruote che non avevano nè cerchi, nè raggi.

I quattro cavalieri si erano messi alla retroguardia insieme al sergente. Nuvola Rossa, però, a poco a poco era rimasto indietro, per poter parlare liberamente con sua figlia.

— Hai udito, Minnehaha? — chiese alla fanciulla, sempre rannicchiata dietro di lui, sulla larga groppa del mustano il quale, per altezza, poteva competere con quello dell’indian-agent.

— Sì, padre, — rispose la piccola vipera.

— L’ho sempre detto io che tua madre era troppo vendicativa.

— Forse che non ha fatto bene, padre, a vendicare il povero Uccello della Notte? —

Un sorriso sardonico sembrò contorcere le labbra sottili dell’antico capo dei Corvi.

— Per tua madre, quel valoroso ragazzo, valeva meno del mio calumet (pipa), — disse poi. — Tu non conosci tua madre.

— So che tutti gli Sioux l’ammirano e la rispettano, — disse Minnehaha, con uno scatto di collera.

Nuvola Rossa si volse verso la fanciulla. La luna, che sorgeva allora sulla prateria, splendidissima, mostrò all’indiano due occhi di fuoco ed un viso selvaggiamente contratto.

— Tu, — soggiunse — hai nelle vene il sangue di tua madre, ma credo che diverrai peggiore di lei, un giorno.

— Forse che non sono tua figlia? — chiese Minnehaha, con voce sorda.

— Certo: tu sei la figlia di Nuvola Rossa, e guai a chi oserebbe negarlo!

— Che cosa vuoi concludere, allora? —

L’indiano scrollò le spalle, accarezzò la criniera del suo cavallo, il quale pareva che si impazientisse di essere costretto a seguire i furgoni al passo, poi chiese:

— Mi hai detto che l’hai ucciso, è vero!

— Chi?

— Il colonnello, o meglio il primo sposo di tua madre, o meglio ancora il padre dell’Uccello della Notte.

— Spero.

— Meglio così: non parliamo più di quel viso-pallido. In un modo o nell’altro deve essere morto, poichè Yalla lo odiava troppo per risparmiarlo.

— E noi che cosa facciamo, ora che mia madre è forse scesa nella pianura alla testa delle bande degli Sioux?

— Mia moglie, — corresse Nuvola Rossa, con un sorriso beffardo.

[p. 89 modifica]— Ma è anche mia madre, — ribattè Minnehaha, con voce imperiosa.

— Continua, — disse Nuvola Rossa.

— Ti domando che cosa faremo noi.

— Andremo a trovare Mano Sinistra, il gran capo degli Arrapahoes, e poi a dare l’assalto all’hacienda di San Felipe. Non è questo che tua madre desidera?

— E se lasciassimo invece questi visi-pallidi e raggiungessimo mia madre? Si potrebbero ritrovare più tardi e scotennarli tutti.

— Mia moglie può essere ancora troppo lontana e preferisco andare a trovare Mano Sinistra.

— Hug!... E se a me non piacesse così? — esclamò la fanciulla, rabbiosamente. — Presso mia madre mi sentirei più sicura che presso mio padre. —

Un lampo di fuoco passò negli occhi di Nuvola Rossa.

Si era per la seconda volta voltato ed ora il suo viso esprimeva un furore impossibile a descriversi.

— Minnehaha, — disse, con voce cupa — la luna scintilla, ma le coyotes ed i lupi neri corrono sotto le alte erbe della prateria, pronti a precipitarsi sulla prima preda vivente che viene loro gettata.

Se tu non fossi mia figlia, a quest’ora ti avrei scaraventata nelle loro fauci spalancate.

Nuvola Rossa vale tua madre, ricordatelo, anche se invece di avere nelle sue vene sangue Sioux ha quello dei Corvi, una nazione che vale la tua.

Bada!... Qui comando io!... E, come vedi, tutti quelli che ci circondano sono nemici della tua razza.

Che io dica loro che tu hai pugnalato il colonnello e non avrai grazia e sarai giustiziata, benchè tu sia una fanciulla.

Silenzio: Nuvola Rossa, tuo padre, lo vuole!... —