Teatro ladino (Auronzo)/5

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La nebbia Jolanda


atto unico diviso in quattro scene


in italiano e dialetto auronzano


di


Bruno Ferroni



Personaggi:

IVO - (ragazzino di 12 anni)
MARISA - (coetanea)
TINA ONBRIA - (strega)
GERARDO - (folletto)
Folletto ROCCIA
Folletto FUNGO
Folletto ALBERO
Vento EMILIO
Marmotta ELIDE
Aquila TARINA
Corvo VALDO
Corvo GERMANO
PIERO - (cacciatore)
LEA - (sorella di Piero)
VECCHIO
altre streghe e corvi
voci fuori campo, di streghe, folletti e Jolanda

Ivo é n tosato sui dodese ane e, come tante tosate de la so età, da de siera l scrive sul so diario chel che i é capitiou via po l dì.

É n tin de tenpo che l se siente che no la gira dal vres, somea che dute la ebe su apede lui: so mare che no i par vero de cridiasi, chel che nsegna a duià a balon l ciata senpro algo da dì... che l é fiaco e che no l val nuia.

Nsoma, pore Ivo, l se nacorde che l à da moesse.

Algo beson che canbie.

L se pensa cuanche la nona i contaa che inze po la Val Giaralba,viviea na vecia e la dente disiea che la era na stria e pi de na ota la avea idiou chi che avea calche fastide, fasendo ncanteseme che solo ela cognossea. Forse, forse, la avarae podù ciatà la pedia anche por lui. Na dì, apede so colega Marisa, l và da sta vecia che i ciama Tina “Onbria”, porcè che la vien a largo solo cuanche l saroio no é pi, ma calchedun n tin pi tristo la ciama “l Onbria de Tina”, da tanto magra che la é.

Daspò de avé proou n bar de ote, una pedo de chelautra, no suziede nuia. Tina lassa perde, porcè che la so magra fegura la avea belo fata, ma gnante de lassasi partì, i mostra l indreto por dì a ciatà, su por chele erte, la nebbia Jolanda, che vive n medo ai giaroi e a le crode de la Val Giaralba: de seguro la avarae podù dasi na man.

Ivo e Marisa i dìs grazie e i ciapa l truoi che mena su che é n piazer; daspò de n tin che i scarpedea, i se nbate del folletto Gerardo che i conta le so desgrazie. Poreto, da zento ane l é confiniou su por chi luoghe por colpa de Ottilia, la stria, come punizion por le bausie che l disiea. Na banda de folete lo tira a zimento e Gerardo cogne responde, dal dito al fato, a calche ndovinel.

Ogni ota che l fala, i vien fora sul mostazo na fifa e por lui, blagon come che l é, é n gran despiazer.

Daspò de avé ben ciacolou apede Gerardo, anche Ivo e Marisa i cogne ndovignià la soluzion de nos-cè ndoviniei.

Ntanto che i và de sote su, i ncontra l vento Emilio, l'aquila Tarina e la marmotta Elide... stranbarie...

Ntanto scomenza a pioe, i và inze de na caverna agnó che i ciata Piero, l ciazador e so sió Lea, obligade a stà n chel bus da la nebbia Jolanda e a no ciatà mai la strada de ciasa, porcè che i avea sbarou a na femena de ciamorza che avea da fei. L conta la so storia ai doi tosate e li prea de dì a Jolanda de no desmenteasse de luore, pore grame, che i à belo pagou assei por chel che i avea sbagliou. Camina, camina, i rua su adauto e n zima al giaron li spieta l corvo Valdo che fei la guardia al “regno” de Jolanda, che daspò de n tin, rua.

Ivo i conta porcè che l é capitiou fin là, ma Jolanda i dìs che l podea sparagnasse duto l viado: la pedia l pó ciatàla da so posta e nò su poi crepe, vegnendo n tin al dì senpro meo, con bona volontà e tanta feduzia. Ela, Jolanda, i promete de stasi senpro ndavesin, anche se no i se sarae pi vedude, e de deliberà Gerardo, Piero e Lea.

Ivo e Marisa la saluda e i torna a ciasa strache morte, ma contente. Ivo è un preadolescente e come molti ragazzi della sua età, alla sera si confida con il suo diario, raccontando quanto gli è successo durante la giornata, e quanto succede a lui... In questo periodo, è insoddisfatto di sé, gli sembra che tutti se la prendano con lui, a cominciare dalla mamma che non perde occasione per rimproverarlo. Gli insegnanti lo riprendono spesso perchè si distrae e non rende quanto potrebbe... Per l'allenatore di calcio, è troppo fiacco e senza grinta.

Insomma, povero Ivo, si rende conto che qualcosa deve cambiare, e non saranno certo né la mamma, né i professori, ma toccherà a lui dare una svolta alla situazione.

Ma... da solo... non crede di farcela. Ricorda che la nonna gli aveva accennato che all'inizio della Val Giralba, viveva una vecchia signora, tenuta in odore di STREGA... che, in certi casi, ricorreva a dei sortilegi per trovare soluzione ai mille problemi che la gente le sottoponeva. Anche lui sarebbe ricorso a questa donna, e le avrebbe chiesto di diventare... se non proprio Superman...

Con l'amica Marisa, si reca da Tina Onbria, la strega, esponendole il suo caso. Dopo alcuni maldestri tentativi, non accade niente.

La signora Tina desiste, ma non senza suggerire ad Ivo, di cercare la nebbia Jolanda, potente presenza nelle montagne della Val Giralba, che sicuramente avrebbe potuto aiutarlo.

I due amici si mettono in cammino imboccando un sentiero ripido e tortuoso. Dopo un lungo tragitto incontrano uno strano essere, il folletto Gerardo, che sta scontando una originale punizione per il suo viziaccio di raccontare sempre bugie: la strega Ottilia lo aveva condannato ad essere preda degli indovinelli improvvisi e dispettosi degli altri folletti. Ad ogni indovinello senza soluzione o con la soluzione errata, gli sarebbe apparsa sul viso una ruga. E questo, per il vanesio folletto Gerardo, era un vero e proprio dramma.

Ivo e Marisa si fermano un po' con Gerardo, ma quando credono di poter continuare il cammino, trovano la strada sbarrata da altri folletti che li sottopongono, pena un istantaneo “dietrofront“, alla stessa punizione di Gerardo. Incontrano poi strani personaggi che animano la montagna: il vento Emilio, l'aquila Tarina, la marmotta Elide. 6 Ripreso il cammino, sorpresi da un improvviso e terrificante temporale, cercano riparo in una caverna, dove trovano il cacciatore Piero e la sorella Lea che, per aver ucciso molti anni prima una femmina di camoscio gravida, vengono puniti dalla nebbia Jolanda a girare nei boschi senza mai trovare la via di casa. Il cacciatore e la sorella si intrattengono volentieri con i due amici che, cessato il temporale, proseguono il cammino alla ricerca della nebbia Jolanda.

Arrivati quasi in cima, sulla morena ampia e silenziosa, si accorgono di essere attesi dal corvo Valdo, capo della brigata di corvi che stanno a guardia del “regno” di Jolanda.

Valdo istruisce i due ragazzi sul comportamento da tenere quando saranno al cospetto di Jolanda: loro non la vedranno, ma lei li seguirà sempre. Neanche Valdo potrà assistere al colloquio quindi, dopo averli accompagnati vicino ad un grande masso, li saluta e se ne va. Non passano che pochi secondi quando, preceduta da un leggero venticello, Jolanda fa sentire la sua voce, chiedendo a Ivo quale grande afflizione lo ha indotto a cercare proprio lei.

Ivo espone il suo problema e Jolanda lo rassicura, affermando che nella determinazione che lo ha portato così in alto, superando le difficoltà del tragitto, c'è già l'energia che gli farà superare certi momentacci della vita. Ivo la ringrazia, riconoscente. Marisa, contravvenendo alle raccomandazioni del corvo Valdo, di non fare domande che potrebbero irritare Jolanda, riferisce a questa i saluti di Gerardo, ricordandole anche il povero cacciatore Piero e la sorella Lea che vorrebbero, dopo anni di isolamento nei boschi, tornare a casa.

Jolanda non si arrabbia, anzi, promette che Piero e la sorella torneranno a casa e che proverà ad intercedere per Gerardo, presso la strega Ottilia, affinchè gli venga tolta la punizione che ha scontato per tanti anni.

Jolanda scompare, rassicurando i due ragazzi che veglierà su di loro per sempre, anche se loro non la potranno vedere.

L'energica Marisa chiede all'amico: “Ivo, ce disto, done?“, rassegnata a sentire la solita risposta remissiva e accondiscendente di sempre... trasale però nell'udire dalla bocca di Ivo, un fiero e deciso “don!“.

SCENA PRIMA

IVO: (cantilenando quanto va scrivendo; lo spettatore vede, di schiena un

ragazzo che scrive muovendo la mano destra, e una voce parla da fuori campo) “Caro diario, ti ricordi quando, mesi fa la mamma non faceva che rimproverarmi perchè andavo male a scuola, avevo sempre la camera in disordine e... diceva che diventavo ogni giorno più disobbediente... insomma, ce l'aveva proprio con me? Assieme alla mia amica Marisa, sono scappato per andare a trovare “CHI” dicevo io... e mi avrebbe certamente aiutato in poco tempo a diventare “il meglio... il più”, e la signora mamma si sarebbe presto ricreduta. Le cose andarono così…”

(si alza la musica) (svanisce nell'ombra l'immagine del ragazzo che scrive, e il faro illumina il vero Ivo e l'amica Marisa che camminano nel bosco)

MARISA: “Alora Ivo, come éla che te é vegnù la voia de date a le

camigniade n montagna... no te faseo cossì sportivo!“

IVO: “Ce vosto, no sei gnanche ió ce che me capita: me mare à

senpro algo da dì... che no ei voia de dì a scola... che no feso chel che la dìs ela... che son n regnaduro... e ió me son stufiou de sentimele n continuazion; alora son camignou, e co decidarei de tornà, la se nacordarà...”

MARISA: “E come, dendo a fonghe su por sti crepe?“
IVO: “Nò... chela de la camignada é solo na scusa. No é por caso che

don inze po la Val de Giaralba.“ (con fare guardingo, avvicinandosi di più all'amica, le dice:) “Su por sta val, i dìs che vive ncora una de le ultime streghe“ (Marisa abbozza un sorriso incredulo)

MARISA: “Ma ce disto... no te credaras mia a le ciacole de calche

baba nbreaga...”

IVO: (con tono serio) “La nona, gnante de morì, cuatro ane fa, me

disiea che da ste parte stasea na femena vecia che la dente ciamaa Tina “Onbria“, porcè che la se lassaa vede de fora solo cuanche no era pi saroio. La nona contaa anche che calchedun la fasea ngendenà ciamandola, magra come che la era, l “Onbria de Tina”.

MARISA: “Mare mea, ce che te me conte. Ma ce avon da che fei

neautre pede sta megera?“

IVO: “Sta megera, come che te la ciame tu, n realtà é na strega... e la

tien n libro co le parole giuste por feite deventà forte, o furbo, o sior... forse anche l pi brao a duià a balon...”

MARISA: (incredula e canzonatoria ) “...E tu te crede a ste bale?“

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IVO: “Vien apede me e te vedaras se no ei reson.“

(I due amici si avvicinano ad una casa mezza diroccata dalla quale escono suoni indistinti e rumore di gente che balla. Impauriti, si nascondono lesti dietro alcune piante, appena in tempo per vedere uscire una fila di vecchie megere che agitando scope e bastoni, recitano cadenzandone le frasi, questa filastrocca. Alla fine si mettono a ballare.)

UNA LA CUNA
DOE LE SCOE
TRE L RE
CUATRO TOSATE
ZINCHE BATEA
SIE CORNEA
SETE L PREE
OTO L GOTO
NOVE I VUOVE
DIESE LE ZARIESE
UNDESE SE LE CURA
DODESE SE LE MAGNA,
E TREDESE SE LE SPARAGNA.

(Terminata la danza le streghe rientrano in casa, e rimane solo la strega Tina che, portando la mano “a visiera” sulla fronte, scorge i due ragazzi e li apostrofa:)

TINA: “Ce faseu là sconte? Forza, faseve vede... a ste ore no magno i

tosate... vegnì avante...” (Marisa e Ivo escono titubanti dal nascondiglio e si avvicinano timorosi alla strega Tina)

IVO: (un po' balbettando) “Signora... Tina Onbria...” (accortosi della

gaffe, si porta le mani alla bocca. La strega lo guarda minacciosa, sentendosi insultata)

TINA: (agitando minacciosa le mani) “Sfazou de un... vosto che te fese

deventà na vacia? E cossì che se parla a na femena de la me sorte?“

MARISA: (ironica, alludendo alla bruttezza di Tina) “... E de che

sorte...” IVO: “Siora Tina, son vignude fin ca inze por domandave se me fasé n incantesimo che me fese deventà pi forte, seguro, nteligente e brao...”

TINA: (gongolante) “... Ben, ben... vedo che te cognosse le me

capacità... poi desmenteame de chel che te me às ciamou gnante, (risoluta) te às nbrocou propio la persona giusta.” (Tina si gira, fa un cenno ad una strega che occhieggia dalla porta della casa; questa rientra e ritorna tenendo in mano un grosso librone che Tina inizia a sfogliare borbottando fra sé)

TINA: (trova finalmente la pagina e, con tono di voce che non ammette

repliche) “Ades, caro l me bolo, ndoneete dobas e betete sul ciou sta foia de “erba ruspia” e sote i denoie n tin de “sal del diau”!” (Ivo ubbidisce e sparge un po' di sale sotto le ginocchia. Una strega tiene aperto il librone sul quale Tina legge)

TINA: “Ades repete apede me la formula, e varda de no falà na

parola...” (Breve pausa di concentrazione, intanto che una lugubre musica si leva...)

“NOVE CAROTE E MEDO CONICIO
OTO PATATE E N TIN DE RADICIO
SETE BICERE DE VIN DE CHEL BON,
CIÀPELA AL VOLO STA BELA OCASION“

(Ivo e le streghe ripetono la formula che Tina poi conclude)

MUSCUI PI FORTE E TESTA PI FINA
GIANBE CHE CORE FIN SU A MESORINA
DORA LA LENGA CUANCHE STÀ BEN...
MA SEPE TASE CO VIEN TAREN”

(Vale a dire, sappi anche star zitto quando non hai più argomenti di cui parlare) (Ivo e le streghe ripetono)

TINA: “Ades levete su e bee n tin de sta agadevìta che fei miriacui...

tenpo n menuto e te saras pi che gnoo“ (gli porge una boccettina che Ivo porta alla bocca bevendo qualche sorso) (Passato qualche secondo, i due ragazzi si guardano con aria interrogativa. Tina, occhi socchiusi dalla soddisfazione, si sfrega le mani ridacchiando gongolante, sicura dell'effetto del suo incantesimo ma... non succede niente)

MARISA: (rivolgendosi a Tina con fare disincantato) “Cara... ehm...

signora, no é che l elisir che avé dou a Ivo, da le ote l fosse n tin scadù... no me par de vede dute sti canbiamente...”

TINA: ”Screanzada de na tosata, come aussesto bete n dubio le me

“grandi capacità...”

IVO: (con tono sconcertato... un po' brillo...) “Me despiase siora Tina,

ma oltre che a sentime n tin pi storno de gnante... no credo che see suziedù nuia...” (Intanto, le altre streghe ridacchiano mostrando le bocche sdentate: Tina si gira, cattiva, e le zittisce.)

TINA: (consulta il vecchio libro, smarrita...) “Caro l me bolo... se

gnanche l ultimo gozo de agadevìta no é serviu a nuia... credo propio che te tociarà restà n zucion (pausa; poi, pensierosa, massaggiandosi il mento)... ma, ades che me penso, à da esse chi che te pó idià...” (Ivo la guarda rinfrancato)

MARISA: “Coragio, siora Tina... che fason gnote...”
TINA: “Ciapà sto truoi che mena da chela banda (indica la

direzione)... vardà che l tira su che é n piazer... ma forse valarà la pena... (scandendo bene le parole per essere sicura di farsi capire)... te às da dì a ciatà la nebbia Jolanda! Chela é n portento e la pó proede duto chel che te avaras besuoi. Ma... moete! De pi no sei dite... ió la ei veduda solo na ota, cuanche ero tosata... se te saras fortuniou... chissà...”

(Si alza la musica e i due amici si rimettono in cammino)

SCENA SECONDA

Durante il cammino, dopo un'ora di ripida salita, Ivo e Marisa si fermano interdetti perchè par loro di sentire qualcuno che parla. (Bisbiglìo sommesso che lentamente va crescendo, formando una filastrocca le cui parole, piano piano, diventano sempre più distinte)

MARISA: “Ivo... no te siente anche tu calchedun che parlotea?“
IVO: “Me par propio de sì...”

(Da fuori campo, arriva il canto quasi sommesso di molti folletti... il brano, volendo si può solo recitare)

“GERARDO IL FOLLETTO BUGIARDO
MANGIAVA TRE PIATTI DI LARDO
E A TUTTI DICEVA TESTARDO:
“IO SONO IL FOLLETTO MALIARDO”
VOLENDO SEMBRARE PIU' BELLO
VESTIVA CON PIUME DI UCCELLO
AL DITO PORTAVA L'ANELLO
E IN TESTA UN ENORME CAPPELLO;
OTTILIA LA STREGA, LO STRIGLIA,
PUNISCE LA SUA GOZZOVIGLIA,
GERARDO, LUI NON SE LA PIGLIA E
CONTINUA A MANGIARE VANIGLIA.“

IVO: “Marisa, asto sentiu... ca mo son capitiade ben...”
MARISA: (indicando con un dito) “... Varda, varda chi che vien fora da

chel bus...”

(Da una piccola grotta, esce furtivo un folletto con un grande cappello in testa, bello, grassoccio e paffuto: guarda i due ragazzi e, sedendosi, allegrotto si rivolge a loro)

GERARDO: “Erano anni che non vedevo qualcuno degli umani

passare di qua: dove andate di bello? Continuando per questo sentiero, troverete solo dirupi e foreste...”

IVO: (osservandolo con curiosità) “... E tu, chi sosto?“
GERARDO: (alzandosi in piedi, piccolo com'è, si gira e si rigira per farsi

ammirare da tutti i lati poi, soddisfatto di potersi pavoneggiare) “Io sono Gerardo, il folletto maliardo. Sono il capo dei folletti della Val Giralba... da quattrocento anni vivo quassù.“

(Improvvisamente, una voce che sembra provenire da dietro una roccia, rivolgendosi con tono impertinente a Gerardo, quasi urlando)

FOLLETTO: “Gerardone, qual'è il male che nessun uccello potrà mai

soffrire?” GERARDO: (smarrito, arrabattandosi alla meglio, si porta un dito alla bocca, meditabondo e, quasi di scatto, urlando per farsi ben sentire, risponde) “...Sì, sì... lo so... ehm... il mal di denti!”

ALTRO FOLLETTO: “Di sera vengono senza essere chiamate... al

mattino scompaiono senza essere rubate... chi sono?“

GERARDO: (sicuro) “Sciocchi folletti: le stelle!”
ALTRO FOLLETTO: “Chi sta sempre nel letto e non dorme mai?“
GERARDO: “... Ehm... ehm... il fiume!” (fa un gesto con la mano come

per dire...”ben ti sta”) (Marisa e Ivo si guardano stupiti chiedendosi cosa mai starà succedendo, e Gerardo, intuito il loro imbarazzo, con un tono un po' dimesso...)

GERARDO: “Vi debbo una spiegazione, lo so. Non è vero che io

sono il capo dei folletti. Accadde circa cento anni fa... quando, per il mio viziaccio di raccontare sempre bugie, la strega Ottilia mi volle punire in questo strano ed originale modo: ogni tanto, quando più, quando meno, i folletti mi propongono a sorpresa degli indovinelli ai quali devo subito dare la soluzione. Se non rispondo o sbaglio, mi spunta una ruga sul mio bel viso che, come potete vedere, grazie a... immaginazione, fantasia e... furbizia, è ancora abbastanza fresco.”

FOLLETTO: (sempre da fuori campo) “Gerardone, Gerardone...

Quando lo nomini, non c'è più... chi è?“

GERARDO: (rivolto ai ragazzi) “Questa la so: (alzando la voce) il

silenzio.”

IVO: “Come fai a conoscere sempre la soluzione di questi

indovinelli?“

GERARDO: “Con gli anni, non si diventa solo più vecchi, ma anche

più saggi... e a volte le risposte a certi indovinelli sono prevedibili... ma (più triste), negli ultimi anni, alcuni folletti arrivati chissà da dove, mi propongono enigmi sempre più difficili... (pensieroso, si gratta la testa)... ho paura che fra un po' mi toccherà far provvista di crema antirughe...” 20

FOLLETTO: “Gerardone... tieni pronta una tonnellata di crema:

vengono attaccati da tutti senza aver mai fatto nulla di male. Chi?” (Gerardo si guarda attorno smarrito... Marisa, compresa la difficoltà del povero Gerardo, gli si avvicina e gli sussurra all'orecchio la soluzione)

GERARDO: “Lo so... lo so... I francobolli!”
GERARDO: (si rivolge a Marisa, tergendosi il sudore dalla fronte)

“Grazie mille, stavolta rischiavo di fare scena muta... una ruga in meno. (cambia espressione)... Ma, di me finora ne sapete abbastanza: voi chi siete, cosa venite a cercare fin quassù?“

MARISA: “Io accompagno il mio amico Ivo... siamo stati dalla strega

Tina, per un incantesimo, ma la poverina non ce l'ha fatta.”

GERARDO: (con il tono di chi snobba...) ”Ah... Tina... roba passata...”
IVO: “Dice che solo la nebbia Jolanda potrebbe fare al caso nostro,

quindi siamo in cammino per cercarla... ed abbiamo incontrato te.” (Gerardo li ha ascoltati con attenzione, lisciandosi la barba con gesti lenti e pacati)

GERARDO: “La nebbia Jolanda abita lassù (indica con la mano), in

alto. Io l'ho vista un po' di volte, e le ho anche parlato... tanti anni fa. Sarà difficile trovarla... si sposta continuamente. Siete disposti a camminare molto? Il sentiero è lungo, difficile... a tratti è franato. Siete proprio certi di voler trovare Jolanda?“

MARISA: “Penso proprio di sì... al punto in cui siamo arrivati, non ci

conviene tornare indietro.”

IVO: “Ma tu, Gerardo, cosa farai ora?“
GERARDO: “Vi accompagnerei volentieri, ma la punizione della

strega Ottilia mi costringe a rimanere in questi boschi della Val Giralba, tenendo testa ai folletti matti... fino a che le rughe aumenteranno... (tergendosi una lacrima)... addio, e fate attenzione, i folletti potrebbero farvi pagare caro il passaggio che vi porterà su...” (Ivo e Marisa abbracciano con calore il folletto, e si dirigono verso le prime rocce, dove il sentiero continua impervio. Fatti pochi passi, ecco che un folletto/albero sbarra la strada, allargando i suoi rami.)

FOLLETTO/ALBERO: “Credevate... credevate (ghignando) di

passare senza fare i conti con noi...”

(Marisa e Ivo si stringono impauriti... ma Marisa, la più spigliata, gli risponde)

MARISA: “Cosa volete da noi?“
FOLLETTO/ALBERO: (ridacchiando) “Troppo comodo. Anche voi

risponderete ad alcuni indovinelli. Se non ci darete soddisfazione, tornerete da dove siete venuti.“ (si schiarisce la voce) “Contadino che sta nel campo... sotto il tuono e sotto il lampo; pensa, ride e si trastulla, tutto il giorno non fa nulla. Chi è?“

MARISA: ”Ci credi proprio degli allocchi, certo che lo so. (si gira e

guarda, rassicurandolo, Ivo)... è lo spaventapasseri. (decisa) E adesso fateci passare.“ (Il folletto/albero si fa da parte ma, fatti pochi passi, i due amici vengono fermati da un folletto/fungo)

FOLLETTO/FUNGO: ”... Non è finita, amici cari: (scandendo bene le

parole) più son caldo e più son fresco, che fenomeno grottesco...”

IVO: (a Marisa) “Sta ota son frite...”
MARISA: “Chi credi di spaventare... il pane. Adesso, caro il mio

porcino, fatti da parte che ho da fare!“ (Fanno alcuni passi, ma un folletto/roccia li minaccia)

FOLLETTO/ROCCIA: ”... E' l'ultimo indovinello, ma è anche quello

che vi rimanderà fra gli “gnocchi“ della Val d'Ansiei. (parla con gli occhi a fessura... sicuro di mettere in difficoltà i due amici) “Qual'è il gigante che porta casse grandi come palazzi, ma non riesce a reggere neppure un sassolino?“ (con tono giulivo, convinto di aver colpito nel segno...) “... quà vi voglio, gnocchettini...allora?“

MARISA. (a Ivo) “Me sà che sta ota l ne frega...”
IVO: (tremante) “Ce fasone... dì algo... nventa la prima resposta che

te vien n mente...”

MARISA: (sta pensando con intensità e parla fra sé)... ”Grandi come

palazzi... neppure un sassolino...”

FOLLETTO/ROCCIA: “... Allora, conto fino a cinque, poi...

dietrofront... e vai “ (inizia) “u... no... du... e (Marisa e Ivo si consultano febbrilmente sottovoce) tr... rrr... rrre... qu... a... ttt... rr... oo... cin... qu...”

(Da sotto, arriva trafelato, facendo appello a tutte le sue forze, Gerardo che, avendo intuito gli scherzi dei folletti, non aveva perso di vista i due amici. Con tutto il fiato che gli rimane, grida verso il folletto/roccia:)

GERARDO: “Il mare, il mare!!!“

(Il folletto, emettendo qualche “grr”, all'indirizzo di Gerardo, si ritira, e i due amici sollevati, si avvicinano a Gerardo) IVO: “Gerardo, ci avete salvati...”

GERARDO: (soddisfatto) “Sì... sì... appena in tempo...”

(Accade che, all'improvviso l'aria si anima e inaspettato, arriva un certo venticello che scompiglia i capelli e fa ondeggiare le fronde degli alberi. I folletti, sconfitti nei loro tentativi di non far passare i due amici, ridiventano immobili)

GERARDO: “Eccolo, è venuto anche lui!“
IVO: “Lui, chi?“
GERARDO: “Lui, il vento Emilio!“
MARISA: “Mi pare, Gerardo, che siamo in troppi, in questa

radura...”

VENTO EMILIO: “Non preoccupatevi, il vento Emilio non si

trattiene molto: viene, osserva e se ne va.“

GERARDO: “Ciao, Emilio, qual buon... ehm... vento ti porta da

queste parti?“

EMILIO: “Lassù in alto, dove abitualmente io risiedo, si sta

spargendo la voce che due ragazzi stanno cercando la nebbia Jolanda... a quanto pare, è vero.“

MARISA: “... E saremmo anche stanchi di camminare! Dimmi

Emilio, è ancora lontana Jolanda?“

EMILIO: “No... sareste quasi arrivati... ancora qualche sforzo...”

(Un verso inconfondibile arriva dall'alto e, neanche il tempo di alzare lo sguardo per cercarne la fonte, quando una grossa aquila si posa planando, su uno spuntone roccioso vicino al gruppo...)

EMILIO: “Ciao,Tarina, non ci mancavi che tu! (rivolto ai ragazzi)...

Ragazzi, questa è Tarina... lei vive molto vicino a Jolanda, anzi, credo che non se ne allontani mai per molto tempo.“

AQUILA TARINA: “Anch'io ho sentito che qualcuno sta cercando

Jolanda. Prima di parlarne con lei, sono scesa a controllare: Jolanda non va disturbata invano!“

IVO: “Aquila Tarina, come mai vivi così vicina a Jolanda, e perchè

porti questo strano nome?“

TARINA: “Circa dieci anni fa, un bracconiere sparò a mia madre,

proprio nei boschi sopra la borgata di Tarin, in paese. Trovò poi il nido, dove io aspettavo affamata, il ritorno della mamma con il cibo. Stava per prendermi e portarmi chissà dove, quando una densa nebbia oscurò la montagna. Jolanda mi portò in alto, nel suo regno, ordinando ad altre aquile di accudirmi. E così fu. Del bracconiere, nessuno ebbe più notizia. Io sono rimasta e rimarrò sempre al fianco di Jolanda, fino a che le forze me lo permetteranno.”

EMILIO: (con tono suadente e carezzevole) “Bella e dolce Tarina,

puoi tornare da Jolanda e dirle che tutto va bene. Il vento Emilio mostrerà la strada a Ivo e Marisa e li farà arrivare sani e salvi.”

GERARDO: “Porta i saluti del povero Gerardo alla nebbia Jolanda, e

dille di venire a trovarmi quando passerà da queste parti... io l'aspetto sempre!“

TARINA: “Caro e gentile follettone, sarà mia cura riferire il tuo

messaggio a Jolanda“

(Tarina con due battiti d'ali, abbandona il campo e si avvia, doppiando una ripida parete rocciosa, su... verso il regno di Jolanda. Si sente, nelle vicinanze, come un rumore di terra smossa... qualcuno sta scavando e borbottando parole incomprensibili: emerge dalla terra una grassa marmotta che non smette un attimo di bofonchiare)

EMILIO: “Eccola... Elide, la marmotta!“
MARMOTTA ELIDE: “Emilio, sarò anche vecchia, ma non sorda! Ti

ho sentito sai... e tutta questa gente, cosa fa qui, cos'è questo assembramento?“

EMILIO: “Non sarai sorda, ma brontolona,sì! Cosa sei venuta a fare,

Elide?”

ELIDE: (arrabbiata) “In tanti anni di vita, non ho mai sentito un

rumore simile, da queste parti... e tu, Emilio mi chiedi cosa sono venuta a fare...” EMILIO: (si rivolge a bassa voce a Ivo e Marisa) “Non è cattiva... ormai tutti conosciamo la permalosa Elide, e non facciamo caso alle sue intrusioni.” 28 ELIDE: (rivolta ai ragazzi) “Allora, avete trovato i folletti? Avete risposto bene ai loro indovinelli? Cosa state facendo ancora qui... quelli ci mettono poco a ricominciare!“ MARISA: (un po' spazientita) “Penso proprio che sarebbe il caso di avviarsi, prima che questo posto divenga ancora più affollato...” EMILIO: “Hai ragione cara Marisa, ma credevi forse di trovare Jolanda così... all'improvviso, senza farti annunciare? (indica un punto poco più lontano) Quello è il sentiero: seguitelo e non allontanatevi mai dalla sua traccia. Altri sentieri, vi sembreranno più facili e percorribili, ma seguendoli, vi condurrebbero sul ciglio di profondi burroni... chiamatemi se vi trovaste in difficoltà!“ (Una brezza sottile accompagna le parole di Emilio che se ne va)

IVO: “Ti saluto, Gerardo. Non potremo dimenticare la tua simpatia...

ciao Elide, e... sorridi qualche volta!”

MARISA: “Gerardo, parleremo di te a Jolanda, chissà che possa fare

qualcosa per liberarti dal tormento dei folletti matti...”

(Ivo e Marisa imboccano il sentiero indicato dal vento Emilio e ricominciano la salita)

SCENA TERZA

Il sentiero continua a salire ripido: Ivo e Marisa, un po' più stanchi, continuano la loro ricerca. Jolanda sembra introvabile.

Sulle cime si addensano enormi nuvoloni neri, si odono i corvi gracchiare e un po' alla volta la pioggia inizia a cadere, dapprima incerta e sottile, poi più densa e copiosa. I due amici affrettano il passo e, scorgendo una grotta poco distante, decidono di raggiungerla. La grotta non sembra disabitata perchè ben presto sentono un parlottare nel buio.

Piero il cacciatore, vestito con pelli e qualche straccio, sta sussurrando qualcosa vicino ad un capriolo; la sorella Lea si dà da fare attorno ad una fascina di rami, per accendere il fuoco. Piero massaggia delicatamente la zampa dell'animale che immobile, sembra aver compreso le buone intenzioni dell'uomo e si lascia toccare.

PIERO: (al capriolo) “Eco... ncora calche massagio, e n tin a l ota te

tornaras a stà meo... fato... là.. brao! Spieteme ca, che torno. Vado a bete de fora sto vaso... me par che l pioe, cossì ca de n tin te podaras anche bee...” (Piero fa per avviarsi verso l'ingresso della grotta, quando si accorge dei due ragazzi. Si ferma di scatto, sorpreso, e si gira per acquietare l'animale. Poi osservando i due con attenzione, rivolge loro la parola)

PIERO: “E voi, chi sieu?“
MARISA: “Io sono Marisa, e questo è il mio amico Ivo... e... voi?“
PIERO: “Ió me ciamo Piero, e chela (indicandola) é me sió Lea. Son n

ciazador. (si corregge) … Ero n ciazador, e vivion ca de sto antro, no sei gnanche ió da cuante ane... ma la storia sarae massa longa, se avesse da contàla por filo e por segno...”

IVO: (incoraggiato dalla voglia, malcelata, del cacciatore, di raccontare)

“Sì... sì... la sentirei volentieri. (si accorge che Piero gli si è rivolto parlando in dialetto e continua) “... de fora pioe... tanto val che se fermone ca pede veautre... ce disto Marisa?”

MARISA: “Anche ió sarae n tin stracota... de scarpedà su po ste

erte... co la pioa, po... Se sto òn é dacordo...”

PIERO: “É da n pezo che nessun passa da ste bande, ei propio a caro

de scanbià doe ciacole pede autra dente... son deventade mede salvarghe!“ (Si siede, facendo cenno ai ragazzi di trovarsi un posto dove sedersi. Fuori il temporale impazza, con tuoni, fulmini e saette. Lea, compresa la situazione, si avvicina al fratello che, con gesti pacati, accende la pipa ed inizia...) PIERO: “Ió e me sió Lea deone a ciaza pede nos pare, che reone ncora pizui... da lui avon ereditiou sta passion... e partione che era ncora gnote, por ruà n tenpo a ciatà le ciamorze. Anche la mira, n tin a l ota era deventada “micidiale”... (attizza il fuoco) 3 LEA: “...Ma na bruta ota, che ereone vegnude a ciaza nsieme a noscè coleghe... dente che sbaraa a duto chel che se moea, ntivion de vede na bela ciamorza... e, da peza che la era, avaràe volù poco por capì che la avea da fei. E...”dai, ciàpela... dai, ciàpela... no te vede che no la e ncora nacorta...” i ne à fato la testa come n balon...” PIERO: (con tono desolato) “Ei ciapou la mira e... por no esse da manco, la ei copada!“ LEA: “La é tomada dobas zenza di “ba“. (silenzio... si sente la pioggia scrosciare) “... vado ndavesin... e me ncordo che oramai la era duda... I coleghe, visto l malfato, i à dou a scanpà, chi da na parte, chi da chelautra, disiendo che era colpa nostra... che luore i scherzaa... che era stou me fra... Ben, ero là che pensao sul da feisse cuanche, de n atimo... no vien do na nebia che no vedeo pi da ca a là. Vardo Piero che era ncora duto stromiu, e me digo...”ca, mo... ce elo sto caligo?“ PIERO: “Chel che era fato, era fato...” me son dito... ”gnante che see duto scuro, vado a parcuriame sta bestia...” ma de la ciamorza che aveo copou, gnanche l onbra“ IVO: “Alora?“ LEA: “... Nuia! Anche cuanche daspò de n tin la nebia e sconparida, no é stou vres de ciatà sto animal. Me fra, medo nbanbolou, no l capia gnanche agnó che l fosse, alora me son vardada ntorno, ei 33 romenou le brusse, ei ociadou n fondo a na busa là ndavesin, ma nuia... nuia!” MARISA: “Che mistero! E (titubante, temendo l'inopportunità della domanda)... ce à da che fei chel che avé contou... col fato che sé ca da tante ane?“ LEA: “Purtropo no era finida... me giro e vedo n vecio che me fei segno de dì ndavesin... n bruto... co n pezo de nas... e no me pensarae de avelo mai vedù. Ma cuanche l à scomenzou a moe la bocia, parea che l me cognossesse.” (Voce del vecchio, fuori campo. Si può anche far entrare il vecchio, come se apparisse) VECCHIO: “Voi avete ucciso una femmina di camoscio incinta. Avete disobbedito a tutte le norme che regolano la vita degli esseri del bosco! La nebbia Jolanda ha visto lo scempio ed è intervenuta, ridando la vita all'animale che avete abbattuto e portandolo a vivere più in alto, in zone impervie che voi, avidi cacciatori non potrete mai raggiungere. (il tono si fa più minaccioso) NON TORNERETE PIÙ A CASA! Girerete invano, cercando un sentiero che la nebbia ha provveduto a cancellare. Deciderà Jolanda, se lo riterrà opportuno, quando potrete far ritorno in paese!” 34 LEA: (rivolta al fratello che si asciuga una lacrima) ”... éro Piero, no avon pi visto sto vecio...” PIERO: “No me par, propio...” LEA: “Da alora vivion ca de sto bus, e zercon de idià calche bestia che avesse besuoi... Ogni tanto, o ió o me fra, ne pararae de avé nbrocou l truoi che mena a ciasa... ma daspò de n tin, se ciaton nbaranciade... che fason fadia a tirià fora i scarpete...” MARISA: “Ma, éla cossì trista, sta nebia?“ PIERO: “Nò ela! Ió son stou tristo, e sta poreta de me sió che me é vegnuda davoi. (imprecando)... Maledeta l ota che avon pensou de vegnì fin cassù a sbarà a le ciamorze...” IVO: “Alora, neautre che camignon da n pezo propio por ciatala, sta nebia?” PIERO: “Avaré le vostre rason, por core davoi a Jolanda. Ma vardave senpro ntorno... che lassù à da esse...” (si guarda attorno con fare sospettoso, come di chi ha già detto troppo) 35 LEA: “Neautre no la avon pi ne vista ne sentida, ma zerte siere de autono, cuanche scomenzia a fei fredo... me par de vede su n zima... agnó che le crode fenisse, come na peza de onbria che se moe... e me magno na pèra, se chela no é Jolanda...” IVO: “Ioso, me par che no pioe pi... sarae cuasi ora de moesse, éro Marisa?“ LEA: (ricomponendosi) “Dé mo, dé... se avé chela, e co la ciatarè, disiesi che la se pense de ste doe pore aneme che à belo pagou assei...” IVO: “Sane, Lea (la abbraccia)... sane, Piero. Co vedaron Jolanda, i digaron che la proede... vedarè che cuanche mai no se pensa...” (Ivo e Marisa pian piano si incamminano, seguiti dallo sguardo di Piero e Lea, verso quella che sembrerebbe l'ultima tappa della loro ricerca) 36

SCENA QUARTA

I due amici con fatica e dopo molto cammino, giungono fin su, alla morena, dove un numeroso gruppo di corvi si fa loro incontro. Marisa si ferma e con la mano fa cenno a Ivo di fare altrettanto. In tempo per notare un grande corvo che, staccandosi dal gruppo si avvicina e si esprime così:

CORVO VALDO: “Io sono il corvo Valdo e sto con la mia

compagnia di corvi, a guardia della dimora di Jolanda. Vi aspettiamo da stamattina. La nebbia Jolanda vi riceverà, ma voi non la potrete vedere: nessuno, a meno che non abiti sui più alti picchi della Val Giralba, la può vedere. Adesso seguitemi. Dovremo doppiare quelle due cime e poi vi fermerete. Da lì parlerete con Jolanda e lei vi dirà quanto vorrete sapere. (Il gruppo, Ivo, Marisa, il corvo Valdo e gli altri corvi, si mettono in cammino verso i due picchi che si ergono minacciosi sopra tutte le altre cime)

VALDO: (perentorio) “Alt!“ (tutti si bloccano) “Tu, corvo Germano, vai

avanti ad avvertire Jolanda che stiamo arrivando, ed aspettaci là. (il corvo Germano si alza in volo e scompare dietro la prima cima.)

VALDO: “Allora, Ivo e Marisa, fra poco il mio compito sarà

terminato. Io non posso assistere al vostro incontro e non potrei aiutarvi se aveste bisogno di qualcosa... ricordate: non interrompete Jolanda, e non fate domande che la irritino. Quando vi congederà, salutatela e tornate indietro senza indugi. Voi non la vedrete, ma lei vedrà bene voi. Ora andate, andate... fermatevi ai piedi di quel grosso masso e attendete.”

MARISA: “Grazie corvo Valdo, spero che ti farai rivedere almeno

quando cominceremo la discesa...” (I due amici vanno ai piedi del grande masso, come il corvo Valdo aveva loro detto e aspettano... non molto, dato che un certo venticello comincia a soffiare molto vicino e, quando, smarriti si guardano attorno, odono vicina, una voce... Jolanda!)

JOLANDA: (da fuori campo: ha una voce calma, tranquilla, che nasconde

però in certe inflessioni, come una regale e nobile cadenza, determinata e comprensiva al tempo stesso) “Eccovi, finalmente! Dopo tanto cammino su un sentiero che pochi si arrischiano a percorrere, siete qui, nel mio regno! Benvenuti! Allora, Ivo, sei tu che volevi incontrarmi, non è vero?” IVO: (quasi tremante, guardando ora qua, ora là, nel tentativo di indirizzare la voce verso il punto esatto da dove arrivava quella di Jolanda) “... Sì... sì, nebbia Jolanda, sono io che ho bisogno di te.”

JOLANDA: “Allora parla, ti ascolto!“
IVO: “Io te lo dico, ma sono certo che già conosci il motivo della mia

visita. Sono ancora un ragazzo, ma da tempo mi sento come... insoddisfatto di quello che faccio... a scuola... fra gli amici... a casa... mi sembra che gli altri non mi capiscano... a volte sono convinto che quanto di brutto accade, è colpa mia. Cerco qualcuno che mi dia sicurezza, che mi faccia stimare dagli amici... e mi dia quel po' di fiducia in me stesso... perché no, anche per segnare qualche goal durante le partite di calcio...”

JOLANDA: “E per cercare tutto questo, sei venuto fin quassù?“
IVO: “Sì... sì...”
JOLANDA: (* Jolanda parla lentamente, pesando ogni parola) “Ivo, se tu

non avessi già trovato quello che desideri, non saresti qui! Sei partito, hai affrontato la strega Tina, il folletto Gerardo e gli indovinelli degli altri folletti, hai conosciuto il cacciatore Piero e la sorella Lea e Valdo, il capo dei corvi... non ti ha fermato neppure la pioggia, né il ripido e, a tratti, impraticabile sentiero. La sicurezza, la fiducia la determinazione che cerchi, caro Ivo, io non te li posso dare, perché sono già dentro di te... nello sforzo che ogni giorno compi per fare il tuo dovere, anche sbagliando, per essere ascoltato, e non compatito. Nel rammarico di non sentirti quello che vorreti essere, c'è l'energia che ti darà forza, aiutandoti a migliorare un po' al giorno. Ivo, ascolta i tuoi genitori e le persone che ti vogliono bene. Non serviva che tu affrontassi tutta questa strada per cercare da Jolanda quello che è già scritto nel tuo cuore. Un giorno gli altri ti lasceranno, ma tu non sarai mai solo perchè le loro parole, i loro consigli e l'amicizia che ti hanno donato, non ti abbandoneranno mai. Ecco, Jolanda ti ha risposto. Torna a casa e non dimenticare le mie parole. Tu non mi vedrai, ma io, che non vivo nel tempo, ti seguirò sempre.”

(rumore di vento)

  • L'attore che dà la voce a Jolanda,legge, naturalmente da fuori campo, il

lungo intervento della Nebbia.

MARISA: “Nebbia Jolanda, non arrabbiarti se ti chiedo qualcosa

anch'io...”

JOLANDA: “Sì, dimmi Marisa!“

MARISA: “Volevo portarti i saluti del folletto Gerardo e pregarti... se non ti sembrerò sfacciata, di liberare il cacciatore Piero e la sorella Lea che ho trovato davvero pentiti per quanto è accaduto molto tempo fa.“

JOLANDA: “Sì, cari ragazzi, libererò Piero e Lea e... quel

simpaticone, anche se un po' bugiardello di Gerardo lo andrò a trovare quanto prima e cercherò di convincere la strega Ottilia a togliergli il tormentone dei folletti dispettosi: chissà che non abbia imparato anche lui la lezione.“

IVO: “Addio nebbia Jolanda... è veramente valsa la pena di venirti a

cercare... addio...”

MARISA: “Ciao Jolanda... sei forte!“

(La voce va lentamente affievolendosi, perché la nebbia se ne sta già andando)

JOLANDA: “... Addio ragazzi... addio...”
MARISA: (si gira verso Ivo, soddisfatta ) “Alora Ivo, done?“
IVO: (con tono sicuro) “Don!“

(I due amici si avviano sulla strada del ritorno) (musica)

FIN

Auronzo di Cadore/Auronzo, 30 ottobre 2003