Trattato completo di agricoltura/Volume I/Educazione del baco da seta/8

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Malattie del baco da seta

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Educazione del baco da seta - 7 Dei cereali - Dei cereali
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malattie del baco da seta.

§ 635. Quantunque un buon pratico abbia detto: «educate i bigatti come vi ho detto, che minimi saranno i casi di malattie», io vi aggiungo: «se vedete che i vostri bigatti mostrano di non essere sani, gettateli, cambiateli con altri, se lo potete; oppure vendete la foglia.» Qui non si tratta di curare, ma di ricavare colla maggior probabilità e col minor possibile dispendio, il massimo possibile prodotto dalla foglia del gelso. Dunque è inutile che io mi accinga a gettar parole per insegnarvi una inutile cura per le varie malattie; piuttosto ve le indicherò, soltanto per farvele conoscere.

L’atrofia è quella malattia per la quale i bigatti restano più piccoli de’ loro coetanei, non potendo il più delle volte cambiar la pelle, per cui rimangono soffocati entro un abito più stretto del bisogno. La stagione fredda o piovosa, la foglia scarsa, e soprattutto le circostanze poco favorevoli alle mute sembrano esserne le cause.

L’idropisia è quella malattia che il volgo fa dipendere dalla luce che entra nei locali, e consiste nel mostrarsi il bigatto più grosso, lucido e trasparente, specialmente alla testa, evidentemente per gonfiezza prodotta da una raccolta d’un umor giallognolo tra le due pelli: dopo qualche tempo la pelle scoppia, ma non si cangia ed il bigatto muore. La causa di questo male pare risiedere nella foglia troppo tenera o bagnata, e nei locali freddi ed umidi.

Queste due prime malattie sono proprie di tutte le età, ma particolarmente delle prime tre, appunto perchè in tali epoche l’alimento ed il locale possono facilmente presentare i difetti surriferiti.

Il giallume rende il bigatto più grosso e gonfio a ciascun anello; non è lucido nè trasparente, ma si fa d’un color giallo, assumendo l’aspetto d’una sostanza grassa butirrosa. Morto il bigatto passa presto alla putrefazione. Questa malattia, che si mostra singolarmente dalla terza alla quarta muta, [p. 634 modifica]e da questa all’epoca di salire al bosco, evidentemente dipende dal cattivo nutrimento e dalla mancanza d’aria.

L’apoplessia rende il baco morto floscio e vuoto d’alimenti, essendo essa preceduta da lunga inappetenza o da perfetto digiuno. Questa morte non deriva da una vera apoplessia, ma piuttosto da qualche alterazione del canal alimentare, prodotta da cause che, a guisa di veleno, abbiano promosse ripetute scariche; dopo la morte anche alla bocca si mostra una goccia verdastra, dipendente pure dalla stessa alterazione.

Si attribuisce la colpa di questo malore quasi esclusivamente alla qualità della foglia; ma in questo caso vedesi che tutti i bachi d’uno stesso educatore, d’uno stesso locale, o d’una stessa tavola dovrebbero perire. Parmi che alla qualità della foglia debbasi aggiungere l’effetto delle esalazioni putride dei letti umidi, che agiscono come miasmi, quando non vi sia una ben intesa ventilazione. L’apoplessia si mostra quasi sempre dopo l’ultima muta.

Il Riccione è quella malattia per la quale il baco, quasi al momento di fabbricarsi il bozzolo, si raggrinza e si ritrae sopra sè stesso, ed in seguito, preso anche da giallume, muore, oppure vive assumendo in tutto od in parte le forme della crisalide, senza però filare il bozzolo. Se questo fenomeno proviene dalla mancanza di filo serico, per disordini delle funzioni assimilatorie, si fa crisalide e dà origine alla farfalla; ma se all’incontro è l’effetto del non averlo potuto emettere, come avviene se non trova dove appoggiare il bozzolo, il baco muore raggrinzato.

La Gangrena produce la morte del bigatto lasciandolo nero e sfacellato. Probabilmente ha origine dal cattivo alimento e dal locale troppo freddo o troppo caldo, ma umido e non ventilato. Questa malattia si manifesta specialmente nelle ultime due età.

Il Calcino è la malattia che oggidì più d’ogni altra dà a pensare al coltivatore, poichè da cinquant’anni a questa parte affligge oltremodo il baco, distruggendo spesse volte l’intero prodotto che ci ripromettiamo dalla sua educazione.

Il bigatto preso da questo morbo perde l’appetito, si fa lento ne’ suoi movimenti, ed infine, dopo una specie di letargo, muore appassito e molle, nella posizione che teneva nell’ultimo momento. Talvolta, mentre è ancor vivo, mostra delle macchie nerastre sul dorso, e specialmente ad uno o più degli stigma o fori aerei che tiene ad ogni anello. Morto appassito il bigatto, [p. 635 modifica]entro poche ore, incominciando dalla coda, indurisce ed arrossa; indi si va impicciolendo e si ricopre d’una muffa biancastra, tanto più presto quanto maggiore è l’umidità. Questa muffa è la botrite. Se però il baco morto vien esposto al sole, od in luogo molto asciutto, s'indura e si rende fragile senza mostrare la muffa.

La botrite (fig. 166) è un vegetale parassito, che sorge dall’interno del baco morto, che trapassa la pelle e che ramifica soltanto all'esterno in contatto dell’aria. Ingrandita col microscopio, la si vede composta di filamenti, che sorgono quasi dritti dal corpo del bigatto, e che, dopo qualche tempo portano dei globetti o delle vescichette che diconsi spore. 166.
Botrite ingrandita.

In quanto all’origine del calcino, v’ha chi sostiene che possa nascere spontaneamente e che non sia contagioso, e v’ha chi rattribuisce soltanto alla presenza ed al contatto delle spore o semi di vegetazioni presenti o precedenti della botrite. Però, se si danno dei casi d’infezione che a stenti potrebbersi spiegare col contatto di semi della botrite, pure è certo che ogni [p. 636 modifica]qual volta si tocchi con questi un baco, deponendoveli sul corpo, esso, dopo un tempo più o men lungo, è preso da calcino e muore.

Il tempo che trascorre perchè un bigatto, trattato come si disse, cominci a mostrarsi preso da calcino, varia dai 6 sino ai 10 giorni, secondo la maggiore o minore temperatura.

La botrite certamente è un effetto di quella special alterazione che subisce il baco dopo la morte; ma ciononpertanto essa può divenir causa potendo riprodursi, ed agire come fermento, sopra un corpo analogo a quello da cui ebbe origine.

Quali sieno le cause di questo disastroso malore, non si sa ancora; quale il modo di prevenirlo e di curarlo, parimenti non si conosce, non conoscendone le cause. Chi ne dà la colpa alla qualità della foglia; chi al freddo od al caldo; chi all’umido ed al secco, ecc., ecc., e tutti hanno ragione, perchè il calcino spesso si sviluppa in ognuna di queste circostanze. A prevenirlo si prescrivono profumi deleterj alle muffe, e lavature ai locali, agli utensili, ecc. Chi lo cura col freddo, chi col fumo, chi con foglia medicata, e il morbo seguita a far stragi. Dunque? Dunque mi limiterò ad accennare alcuni fatti, dai quali lascio che tiriate voi le conseguenze.

1.° Il calcino domina assai più nelle regioni fredde ed assai ventilate, che nei paesi caldi.

2.° La semente di paesi caldi, trasportata in paesi più freddi, facilmente dà bigatti presi da calcino.

3.° I bigatti fatti nascere a gran calore spesso mostrano questa malattia anche nelle prime età.

4.° Il calcino infierisce specialmente nelle ultime età, quando il bigatto abbisogna di maggior calore, e talvolta scompare esponendo le tavole al sole.

5.° Il calcino fa maggiori stragi nei locali grandi che nei piccoli; più nei molto ventilati, che nei poco ariosi; più nella parte bassa dei locali che nella superiore più calda, e più ancora in quella parte del locale che maggiormente sia esposta alle correnti d’aria fredda.

6.° Questa malattia domina maggiormente negli anni freddi ed umidi, o di temperatura molto saltuaria; dovendosi forse a ciò l’infierire di essa dopo il raffreddamento prodotto da pioggie temporalesche.

7.° Chi educa in più breve tempo i bigatti, mantenendo calore, va meno esposto a vederli presi da calcino. [p. 637 modifica]

Riflettete bene sopra questi fatti, non dimenticando che questa malattia possa propagarsi per contagio, e forse troverete anche in ciò una prova di più che il baco va educato a calor crescente, per quanto si può naturale, e che esso esige una foglia sostanziosa; le quali cose non si potranno mai ottenere col disporre troppo presto la semente all’incubazione, e col contrariare gli effetti dell’inoltrarsi della stagione.