Trattato completo di agricoltura/Volume II/Piante da frutto/10

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Malattie dell’Ulivo

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malattie dell’ulivo.

§ 876. L’ulivo va soggetto a molte cause di deperimento; fra le quali è da notarsi per la prima il freddo.

Il gelo quando il tempo sia asciutto non è tanto dannoso all’ulivo quanto un pronto disgelo od un leggier freddo dopo la pioggia. Se poi la pianta ha cominciato a mettere in movimento l’umore, allora un sol grado sotto lo zero basta ad arrecare grandissimo danno.

I danni portati dal freddo si possono riconoscere soltanto nell’aprile o nel maggio quando incominciano ad ingrossare le gemme, ed è allora che vedesi ciò che resta a fare. — Se l’ulivo ha perduto soltanto le foglie, basta il diradare un poco più del solito i giovani rami; in quell’anno porta pochissimi frutti, ma rimettendosi entro l’annata, nella seguente fruttifica abbondantemente. — Se i soli rami d’un anno perirono pel freddo, si devono levare; accorciando un poco anche i rami principali, onde si riforniscano di nuovi ramicelli: e se invece soffersero i grossi rami, devonsi tagliare sul vivo un poco al dissotto della porzione morta. Talvolta bisogna tagliarli fin presso il tronco, ed è necessario in seguito formare nuovamente il capo della pianta coi giovani getti che sorgono dalla testa del tronco, togliendo interamente quelli che sorgono più in basso, e specialmente quelli della base. Lo stesso dicasi allorquando si è obbligati di tagliare anche parte del tronco, nel qual caso o se ne forma il capo appena sopra il taglio, se è ancora discretamente alto il tronco rimasto, oppure lo si innalza con un vigoroso ramo laterale sino a quell’altezza cui voglionsi stabilire le principali diramazioni. — In tutti questi casi se è bene sopprimere immediatamente i getti della base e quelli che sorgono sul tronco, e che non servono alla formazione del capo della pianta, giova altresì andar cauti nel levare quei getti che sorgono in alto sebbene non debbano in seguito essere conservati, poichè la pianta così fortemente mutilata abbisogna di uno sfogo all’umore che in gran copia assorbono le radici, le quali riescono in una proporzione molto maggiore dei rami, altrimenti la pianta perirebbe quasi apopletica per una specie di congestione. Questi getti adunque si dovranno spuntare, onde non vegetino a scapito di quelli che voglionsi conservare, e si [p. 147 modifica]taglieranno gradatamente mano mano che la vegetazione acquista vigore.

Alle volte la pianta muore sino alla base, cioè sino al coletto della radice, ed in tal caso, se l’ulivo non ha più di circa 30 anni, si taglia rasente terra. Numerosi sono i getti che sorgono nel primo anno, e questi si devono lasciare tutti per la ragione appena esposta. Nel secondo anno, se ne conserva soltanto tre o quattro, i più vegnenti e meglio ripartiti fra loro intorno alla parte recisa, e nel terzo e quarto anno si procura di formarne le diramazioni. Nella primavera del quinto se ne lascia un solo, ed il migliore, levando gli altri con radici onde trapiantarli in vivajo. — Quando però il ceppo abbia più di 30 anni, o che esso pure sia stato colpito dal gelo, è meglio scavarlo e stabilire la pianta sopra qualche getto che sorgerà dalle grosse radici, le quali si lasceranno intatte nel terreno, separate nettamente dal ceppo. Anche in questa circostanza i getti che sorgono sono molti, e nel quarto o quinto anno si lascerà al posto soltanto il più bello e vigoroso, e gli altri si ripianteranno nel vivajo.

La siccità troppo protratta bene spesso fa cadere le foglie, ferma la vegetazione e guasta il raccolto. Per rimediarvi, ove si può, si irrighi, e dove non si può irrigare si zappi frequentemente.

I tagli mal fatti, i mozziconi dei rami tagliati troppo lontano dalla base, i rami rotti producono quelli effetti che abbiamo notati al § 388 del Tomo I, e che si conoscono col nome di carie. A questo male altro rimedio non resta che togliere sino al vivo tutte le parti guaste col mezzo di appositi strumenti taglienti o perforanti, altrimenti il guasto progredisce con sempre maggiore intensità.

Le muffe ed i licheni devono pure essere levati diligentemente col raschiare la corteccia del tronco o dei rami, acciò non servano poi anche di ricettacolo agli insetti. Ma siccome il più delle volte queste apparizioni sono effetti d’una cattiva vegetazione della pianta, giova assaissimo il concime ed il lavoro più accurato.

Fra gl’insetti nocivi alla pianta dell’ulivo vi ha il chermes rosso (coccus oleae), insetto assai consimile a quello che vedesi sul fico, sulla vite, sull’oleandro, sui limoni. Ei si moltiplica così rapidamente ed in tale abbondanza da riuscire persino fatale alla pianta coll’impedirne quasi interamente la vegetazione. Nel verno il chermes si nasconde sotto la corteccia della pianta e non si mostra che verso la fine di maggio. [p. 148 modifica]

Il maschio, della forma rappresentata dalla figura 199 B aumentata di quattro volte la sua grandezza, è coperto da una polvere biancastra; e la femmina, che riscontrerete nella figura 200 A, pure ingrandita d’un quarto, rassomiglia ad una piccola tartaruga coi lembi del guscio aderentissimi alla pianta od a’ suoi rami. Alla fine di maggio il maschio feconda la femmina e muore. La femmina depone immediatamente le uova, le quali sono contornate da una piuma biancastra e ricoperte dal guscio, o corpo disseccato della madre, che pure morì subito dopo averle deposte. Le uova si schiudono pochissimo tempo dopo, ed un migliajo e più di piccolissimi insetti esce di sotto del guscio che li ricopriva, e va a distendersi e succhiare le foglie ed i teneri germogli, i quali insensibilmente deperiscono. Verso la fine dell’estate questa infinità d’insetti si raccoglie alla faccia inferiore dei rami obbliqui ed orizzontali, ove sono difesi dalle forti piogge, dalle nevi, ecc.; ivi continuano ad ingrossare finchè, giunto il vegnente maggio, si rinnova, infinitamente moltiplicandosi, la novella generazione. Epperò importa ispezionare i rami verso la fine del verno, e raschiarne la corteccia, raccogliendo in apposito utensile e trasportando sul fuoco la suddetta raschiatura; oppure applicando ai rami un miscuglio di calce viva, sapone nero e lisciva: in 4 litri di lisciva, si pongono 500 grammi di sapone nero, e vi si aggiunge tanta calce che basti a formare un liquido lattiginoso. Giovano anche gli olii i più comuni, e l’acqua ammoniacale bituminosa residua della fabbricazione del gas.

La psilla dell’ulivo (psylla oleae) (fig. 201 e 202), è un piccolo insetto che vive all’ascella delle foglie ed alla base od inserzione dei fiori. Il massimo danno è arrecato da questo insetto quando si trova allo stato di larva, poichè in allora si copre d’una materia cotonosa bianca, riempita di piccole goccie gommoso-zuccherine, [p. 149 modifica]provenienti dall’umore succhiato. Per tal modo i fiori (fig. 203) circondati da questa materia e succhiati alla base del loro peduncolo, o cadono immediatamente o non possono essere fecondati, essendo quasi impedita la fioritura. Finora non si è potuto trovare un vero rimedio ai guasti di questo insetto.

La tignola dell’ulivo (tinea oleae, fig. 204), genera tre volte entro l’anno. Le farfalle dell’autunno provenienti dalle larve nutritesi nel nocciuolo dell’ulivo, depongono le uova nelle foglie più tenere della pianta. Queste uova si schiudono prima dell’inverno, e le piccole larve (fig. 205) s’introducono nel parenchima delle foglie, e vi restano assopite fino alla primavera; allora esse mangiano ingrandendo la loro dimora, e poi n’escono per introdursi nella sommità dei giovani getti, nei quali si sviluppano e rapidamente si cangiano in crisalidi attaccandosi alla pagina inferiore delle foglie (fig. 206), da [p. 150 modifica]dove poi nascono le farfalle, le quali vanno a deporre le uova sopra altri teneri getti, o sopra altri fiori. Le farfalle che nascono da questa seconda generazione di larve depongono le uova sopra le giovani ulive, o sulle foglie che le avvicinano, e sono quelle le cui larve s’introducono nel frutto, al quale rodono il nocciuolo e vi penetrano. Nell’uscire poi dal nocciuolo dalla parte del peduncolo del frutto (fig. 207) per andare altrove a subire le ulteriori metamorfosi, v’inducono una ferita per la quale il frutto facilmente si stacca avanti la maturanza.

All’azione della larva di quest’insetto voglionsi attribuire anche quelle escrescenze legnose che alcune volte appajono in gran numero sui giovani rami (fig. 208). Queste escrescenze aumentano di volume ogni anno, scemano il vigore dei rami, e col tempo muore tutta la porzione ad essi superiore se l’escrescenza abbraccia tutta la circonferenza, epperò importa levarle. [p. 151 modifica]

La mosca dell’ulivo (fig. 209) è assieme col chermes l’insetto il più terribile per l’ulivo. La femmina coll’aculeo fora i frutti e vi depone le uova (fig. 210), dalle quali nascono quasi subito delle larve biancastre (fig. 211), che penetrano nella polpa del frutto e vi si nutrono; queste larve si cambiano in crisalidi (fig. 212) nell’uliva, e danno origine ad una mosca verso la fine dell’anno. Questa introduce le proprie uova nella polpa dei frutti dimenticati sull’albero; tali uova si schiudono in primavera producendo nuove mosche, le quali nascono appunto nel momento in cui le nuove ulive sono abbastanza sviluppate per ricevere una produzione di uova. Perciò uno dei mezzi per distruggere la mosca dell’ulivo consiste nel raccogliere i frutti più presto del solito, prima che n’escano le ultime mosche. Quest’insetto ha poi anche molti nemici, fra i quali le formiche, avidissime delle sue uova e delle sue larve (vedi tig. 210), e che le estrae dall’uliva dopo che furono deposte.