Trattato dei governi/Libro secondo/VII

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Libro secondo - Capitolo VII: Della republica di Sparta

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro secondo - Capitolo VII: Della republica di Sparta
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E quanto al governo spartano, e a quello dei Candiotti, e quasi a quello d’ogni altra republica due considerazioni occorron di fare. Una è se in quegli è stato nulla bene o male ordinato per fine di conseguire un ottimo modo di governo; e l’altra è se v’è ordine alcuno contrario alla supposizione, e al modo del governo che s’ha proposto il legislatore.

È adunque da ogni uomo conceduto, che a quel modo di governo, che ha da esser buono, gli debba essere innanzi preparato un’abbondanza delle cose necessarie. Ma il modo come s’abbia avere questa preparazione, non è già facile ad essere compreso; imperocchè la moltitudine dei poveri, che erano in Tessaglia, molte volte congiurò contro quello stato. E il simile feciono gli Iloti appresso degli Spartani; perchè e’ v’erano non altrimenti, che insidiatori nei loro infortunî. Ma in Candia non interveniva mai uno accidente simile, di che forse fu cagione la vicinanza di quelle città. Le quali avvenga che l’una con l’altra facessino guerra, con tutto ciò non porgevon mai ajuto alcuno ai ribegli per non esser tal cosa utile ancora a loro; che avevono ancora esse gli chiamati Pericci. Ma gli Spartani avevono i vicini tutti per nimici, come eran quei d’Argo, di Messina, e quei d’Arcadia. Ancora gli poveri sopradetti si ribellaron da prima da quei di Tessaglia nel tempo ch’e’ facevon guerra con gli Achei, coi Perrebii, e con quei di Magnesia lor vicini.

E certamente ch’egli apparisce se non altro questo almeno esser di troppa briga, l’aver a star sempre intento al modo, che tu abbi a tener nella conversazione di tai genti; perchè se tu gli straccuri e’ ti fan villania, e stimansi d’esser tuo pari; e se tu fai stentare lor la vita e’ ti pongono insidie, ed hannoti in odio. Onde è manifesto che a chi intervien questo non può trovar modo, che buono sia per conversar con simili.

Oltra di questo la vita delle donne licenziosa è contra l’intento di quella republica, e ancora è contra alle buone leggi di quel governo. Che così come l’uomo, e la donna è parte della casa, è ancor manifesto, che la città quasi in due parti si debbe stimar divisa; nel numero, dico, degli uomini, ed in quello delle donne. Onde in tutti quei governi, dove sta male la parte che è intorno alle donne, quivi parimente si può stimar che vi stia male la metà della città. Siccome intervenne in Sparta, dove il dator di legge volendo farvi la città sopportatrice delle fatiche, è manifesto che negli uomini e’ vi consequi questo fine; ma nelle donne straccurò egli questa parte, perchè elle vi vivono dilicatissimente, usandovi ogni specie di disonestà.

Onde conseguita necessariamente, che in tal modo di vivere la ricchezza vi sia in gran pregio; e massimamente quando egli avviene, che gli uomini stien sottoposti alle donne. Siccome avviene alla più parte de’ soldati, e di quegli uomini, che esercitano il mestier dell’arme; eccettuatone gli Francesi1; o se altri si ritrova, che scopertamente abbino avuto in pregio il concubito con gli maschi. E par bene che senza ragion non facesse quel primo, che favoleggiando congiunse Marte con Venere; perchè tutti gli uomini militari pare che all’una o all’altra Venere sieno inchinati.

E però un tale effetto seguì ancora in Sparta, ove gran parte delle faccende nei magistrati eran disposte all’arbitrio di donne. Imperocchè che differenza è dire o che le donne governino, o che chi governa sia comandato da donne? perchè a ogni modo ne seguita l’effetto medesimo. E non essendo ancora l’ardire utile a nessuno esercizio, che s’abbia bisogno dattorno alla persona, ma solamente essendo utile alla guerra, perciò le donne Spartane ancora furon disutili per questo fin conseguire. E ciò si manifestò nello assalto, che gli Tebani dettono a Sparta; dove elle non furon utili in cosa alcuna, non altrimenti ch’elle non si sieno nell’altre città: anzi feron maggiore tumulto, che non feron gli inimici stessi.

Da prima adunche intervenne con ragione in Sparta questa licenza donnesca, perchè egli stavan assai tempo fuori alla guerra, or con gli Argivi, e or con gli popoli d’Arcadia, e con quei di Messina combattendo; dove esercitandosi si rendevano atti al legislator loro pel mestieri dell’armi. Il qual mestieri in vero contiene in sè molte parti di virtù. Dicesi ben che Licurgo tentò di ridurre le donne sotto le leggi; ma che poi vista la resistenza fattagli e’ se ne astenne.

Queste adunche furono le cagioni d’un tale effetto. Onde si può dire ancora, ch’elle fussino cagioni di questo errore. Ma io non vo’ considerar questo; chi sia, dico, che meriti d’esserne scusato o no; ma io considero quello che sta bene. Ma gli ordini, tornando, che v’erano delle donne mal disposti, siccome io ho detto innanzi, non pure generavano in quel governo una disconvenienza grande, secondo la considerazione, dico, stessa del governo; ma di poi vi facevono gli uomini molto intenti alla roba.

Conciossiachè oltre agli predetti errori, si potrebbe ancora accusargli di quello della disuguaglianza che v’è delle possessioni; che a certi accade d’averne pur assai, e ad altri molte poche. Onde gli terreni vi son divisi in pochi. E ciò fu mal provisto per legge, che vietò, chè non si potesse nè comperar, nè vendere (e ciò fu bene ordinato), ma che e’ fosse ben lecito a chi ben venisse di lasciare, e di donare il suo patrimonio. Ma per questa via, e per quella ne riesce il medesimo effetto.

Ed è intervenuto per quegli ordini, che delle cinque parti del lor tenitorio, le due ne son pervenute nelle donne, e mediante i lasci stati lor fatti, e mediante le doti grandi che si danno loro. Ma egli era me’ fatto, o che e’ non fosse permesso, che e’ si desse dote alcuna; o poche o mediocri. Ed oggi v’è lecito donar per via di testamento il suo a chi ti pare; e benchè un muoia senza constituire erede, e’ può nondimanco donare il suo a chi e’ vuole. Di qui è nato, che essendo già quella provincia solita a poter nutrire mille cinquecento uomini d’arme, e trentamila fanti; oggi in tutto ella non ne può nutrir mille.

E la prova ha mostrato chiaro, che tale ordine vi sta male; perchè quella città non ha potuto sopportare una ferita sola; ma per il poco numero d’uomini v’è rimasa spacciata. È chi dice, che a’ tempi dei primi re e’ detton la civiltà a molti; acciocchè e’ non vi fosse poco numero d’uomini, facendo guerra continuamente. E dicesi, che e’ mettevono in arme diecimila fanti. Ma o sieno queste cose vere o non vere, affermo io esser meglio riempier la città d’uomini per via del pareggiamento dei beni.

Evvi ancor contraria alla intenzione di quella republica la legge, che è intorno alla procreazione dei figliuoli; perchè volendo il legislatore far che gli Spartani fossin assai di numero, invita gli cittadini a procrear figliuoli il più che si può con una legge, cioè, che, chi arà generato tre figliuoli, non abbia ad essere obbligato alla guardia della città: e chi quattro sia disobbligato da ogni peso civile. Ma egli è chiaro: che in tal modo, moltiplicata la generazione, e talmente divisa la provincia, conseguirà di necessità, che la più parte dei cittadini vi sien poveri.

Sta ancor male circa il magistrato degli Efori, dove tal magistrato quivi è padrone di tutte le cose importantissime, e da altra banda è composto d’uomini popolari. Onde nasce, che sovente v’è dentro uomini molto poveri; i quali per tal cagione son corruttibili. E tale effetto hanno eglin dimostrato più volte innanzi a questi tempi: e al presente nella guerra contro agli Andrî: quando certi d’essi corrotti per danari, in quanto stette a loro, rovinarono quel governo. Ed oltra di questo tal magistrato, per esser di gran forza, e quasi che tiranno, ha costretto i re a diventar popolari; onde ancora per tale verso la republica viene ad aver patito, essendo di ottimate cangiatosi in popolare.

È ben vero, che tal magistrato ha in sè il nervo di quella republica, perchè il popolo vi si quieta per partecipar di questo magistrato supremo. Onde, o sia stato la prudenza del legislatore, o sia stato il caso, tal magistrato, è utile a quello Stato. Perchè egli è di necessità, che un governo, che abbia a durare, voglia che tutte le parti della città stieno insieme, e mantenghisi nello esser loro. Li re adunque vi stanno contenti per l’onore che gli hanno. E li cittadini buoni e onesti son soddisfatti per il senato che v’è, essendo tal dignità senatoria data in premio della virtù. E il popolo vi sta quieto per il magistrato degli Efori, il quale è composto d’ogni sorte uomo.

Ma egli stava bene, che, tal magistrato fosse composto ben d’ogni sorte uomo; ma non che e’ vi fossin eletti in quel modo, che e’ sono, che è invero molto da fanciugli. Ancora e’ v’è padrone di giudicare casi importantissimi uomini vili; però non è bene, che e’ vi dien giudizî pettorali, ma giudizî, che sieno scritti, e dalle leggi ordinati. È ancora il modo del viver degli Efori non consentaneo all’intenzione di quella republica. Che invero egli è un vivere, che ha molto del molle; e nel resto dei cittadini è un’asprezza di vita, di tal maniera ch’e’ non può essere sopportato; anzi gli cittadini, furtivamente ingannando la legge, si danno ai piaceri del corpo.

È ancor difetto nel senato dei loro vecchi, perchè egli starebbe forse bene, dove gli cittadini fossin buoni, e sufficientemente disposti alla virtù. E contuttociò è dubbiosa cosa, se e’ fosse bene far sempre gli medesimi padroni di giudicare casi d’importanza grandissima; perchè così come nel corpo, parimente nella discursiva parte, vien la vecchiaja. Ma dove e’ sono assuefatti di maniera, che il legislatore stesso non si fidi di loro che e’ sieno buoni, è egli in tutto ordine pericoloso.

Apparisce bene, che gli senatori molte cose vi donino, e molte grazie vi faccino di quel del publico. Onde sarebbe meglio, ch’egli avessino a render conto delle loro azioni; il che ora non vi si fa. Pare ancora, che il magistrato degli Efori vi sia un correggimento di tutti gli altri. Ma tale esecuzione è certamente troppo grande onore a tal magistrato. E dipoi il modo che egli usa a correggerli, non approvo io, che e’ sia buono. È ancor modo fanciullesco quello, che vi si tiene in elegger il senato per via di giudicio. E che e’ domandi tal grado chi giudichi d’esserne degno, non sta ben fatto: perchè egli è bene che e’ sia nei magistrati chi merita d’esserne, o voglia esserne, o no.

Ma qui il legislatore fa il medesimo che nel resto di quel governo; dove facendo egli li cittadini ambiziosi, usa poi i medesimi nella elezione del senato. Che nessuno è invero che chiegga un magistrato, se e’ non è ambizioso. Ma la più parte delle ingiurie, che son commesse dagli uomini, son commesse da loro per via dell’ambizione o dell’avarizia.

Quanto al regno se egli è bene, che tale degnità sia nella città o no, altra volta ne faremo disputa. E qui dicasi essere me’ fatto, che gli re vi siano giudicati non per quella via che vi si usa, ma per via della vita di ciascheduno. E qui manifestamente si vede, che esso legislatore non si vanta di potervi far gli uomini buoni, anzi che e’ non ha fede in loro come se e’ fussin cattivi; e perciò mandan fuori con loro imbasciadori, di quei cittadini, che sien loro nimici. E stimasi quivi per salute della republica che gli re vi stieno in discordia.

È cattivo ordine ancor quello, che è intorno al mangiare insieme; chiamato da loro Fidizia del modo che e’ fu da prima messo per legge perchè egli era me’ fatto, che la ragunata dei convivanti si facesse a publiche spese, siccome s’usa in Candia. E in Sparta s’usa che ciascun vi porti da mangiare, ancora che e’ vi fosse dei poveri affatto, e che non potessin sopportare questo carico. Onde qui interviene il contrario, che il dator delle leggi s’era proposto; che voleva che questo ritrovamento del mangiar insieme servisse a un ordine popolare; ove egli, constituito in tal modo all’incontro non ha del popolar punto, non potendo i molti poveri parteciparne. E l’ordine antico fu in questo verso che chi non poteva sopportare tal carico, non potesse partecipare ancora della civiltà.

La legge ancora dei capitani delle armate è stata da altri, che da me, ripresa e con ragione: perchè ella è movitrice di sedizione. Perchè alli re, che seggono, che sempre sono capitani degli eserciti, l’aggiungersi poi una perpetua commesseria sopra l’armate, fa che s’aggiugne in quella republica quasi un altro regno.

E così qui si può riprendere medesimamente la supposizione del legislatore, la quale ancora riprende Platone nelle leggi, perchè tutte l’ordinanze di quei modi sono indritte a una parte di virtù che è la militare; e tale è utile a vincere. Onde egli stavan bene, mentre che e’ facevono guerra, e vinto che egli avevano, rimanevano perdenti; perchè e’ non sapevon vivere in pace; nè sapevano esercitare alcuna di quelle arti, che son più nobili della militare. E qui è un difetto in loro non minore, che essi, cioè, stimano, che li beni per l’acquisto de’ quali si combatte, si acquistino maggiormente per mezzo della virtù, che per mezzo del vizio. E ciò stiman bene. Ma reputando poi, che quei beni sien da più che la virtù stessa; non è da uomini di buon giudizio.

Stavvi ancora male la parte che è intorno ai danari publici; imperocchè nel publico non se ne trova. E facendo essi guerre di grande importanza per forza, contribuiscon danari mal volentieri; che per avere essi del paese assai, però non van facendo conto l’un con l’altro attamente; quanto possa ciascun contribuire. E qui riuscì al dator di legge il contrario di quello che è utile, facendo povero il publico; ed i privati pieni d’avarizia.

E quanto alla republica spartana siene detto infin qui: che tante son le cose, che più delle altre ci si posson riprendere.


Note

  1. Aristotele si riferisce ai Galli o Celti. (Nota di LiberLiber)