Trattato della Pittura (da Vinci)/Parte seconda/55. Discorso de' precetti del pittore

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Parte seconda
55. Discorso de' precetti del pittore

Trattato della Pittura (da Vinci)/Parte seconda/54. Del giudizio del pittore Trattato della Pittura (da Vinci)/Parte seconda/56. Precetto del pittore IncludiIntestazione 1 giugno 2008 75% Pittura

Parte seconda - 54. Del giudizio del pittore Parte seconda - 56. Precetto del pittore

Io ho veduto universalmente a tutti quelli che fan professione di ritrarre volti al naturale, che quel che fa piú somigliare è piú tristo componitore d’istorie che nessun altro pittore. E questo nasce perché quel che fa meglio una cosa gli è manifesto che la natura lo ha piú disposto a quella tal cosa che ad un’altra e per questo n’ha avuto piú amore, ed il maggior amore lo ha fatto piú diligente; e tutto l’amore ch’è posto a una parte manca al tutto, perché s’è unito tutto il suo diletto in quella cosa sola, abbandonando l’universale pel particolare. Essendo la potenza di tale ingegno ridotta in poco spazio, non ha potenza nella dilatazione, e fa questo ingegno a similitudine dello specchio concavo, il quale pigliando i raggi del sole, quando riflette essa quantità di raggi in maggiore somma di dilatazione, li rifletterà con piú tepida caldezza, e quando esso le riflette tutti in minore luogo, allora tali raggi sono d’immensa caldezza, ma adopera in poco luogo. Tal fanno questi tali pittori non amando altra parte della pittura che il solo viso dell’uomo; e peggio è che non conoscono altra parte nell’arte di che essi facciano stima, o che abbiano giudizio, e le loro cose essendo senza movimento, per essere ancora loro pigri e di poco moto, biasimano quella cosa che ha i movimenti maggiori e piú pronti di quelli che sono fatti da lui; dicendo quelli parere spiritati e maestri di moresche. Vero è che si deve osservare il decoro, cioè che i movimenti sieno annunziatori del moto dell’animo del motore, cioè se si ha a figurare uno ch’abbia a dimostrare una timorosa reverenza, ch’ella non sia fatta con tale audacia e prosunzione che tale effetto paia disperazione, o che faccia un comandamento,1 come io vidi a questi giorni un angelo che pareva nel suo annunziare che volesse cacciare la Nostra Donna dalla sua camera, con movimenti che dimostravano tanto d’ingiuria, quanto far si potesse a un vilissimo nimico. E la Nostra Donna parea che si volesse, come disperata, gettarsi giú da una finestra. Sicché siati a memoria di non cadere in tali difetti.

Di questa cosa io non farò scusa con nessuno, perché se un fa credere che io dica a lui, perché ciascuno che fa a suo modo si condanna, e pargli far bene, e questo conoscerai in quelli che fanno una pratica senza mai pigliar consiglio dalle opere di natura, e solo son vòlti a fare assai, e per un soldo piú di guadagno la giornata cucirebbero piú presto scarpe che dipingere. Ma di questi non mi estendo in piú lungo discorso, perché non li accetto nell’arte, figliuola della natura. Ma per parlar de’ pittori e loro giudizi, dico che a quello che troppo muove le sue figure gli pare che quello che le muove quanto si conviene faccia figure addormentate, e quello che le muove poco, gli pare che quello che fa il debito e conveniente movimento sieno spiritate. E per questo il pittore deve considerare i modi di quegli uomini che parlano insieme freddamente o caldamente, ed intendere la materia di che parlano, e vedere se gli atti sono appropriati alle materie loro.

Il pittore dev’essere solitario e considerar ciò ch’esso vede e parlare con sé eleggendo le parti piú eccellenti delle specie di qualunque cosa egli vede; facendo a similitudine dello specchio, il quale si tramuta in tanti colori, quanti sono quelli delle cose che gli si pongono dinanzi; e facendo cosí, gli parrà essere seconda natura.



Note

  1. Alla parola "comandamento" segue nel codice la particella "dello" e quindi una breve lacuna.