Tre tribuni studiati da un alienista/Prefazione
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PREFAZIONE
- All’amico ignoto,
Non ho il coraggio di dedicare questo libro a un amico provato, come aveva fatto per l’altro; quando si lotta per verità poco note o poco accette non si deve legare alla catena dolorosa della propria impopolarità l’amico che a voi si affidava.
Ma ve n’è uno, al quale chi lotta per un’idea può sempre abbandonarsi senza ritegno.
È l’amico ignoto, spesso più caldo del compagno d’infanzia, che non rifugge mai dalle idee generose per quanto combattute, anzi perchè combattute.
È a lui che mi rivolgo.
Quando, anni fa, pubblicavo i Due Tribuni coll’intento di spiegare un fenomeno sociale e politico, che parve sulle prime un vero problema, mostrando, senza rispetto ad alcun partito, la miseria in cui siamo caduti, e tentando, da vecchio alienista impenitente che sono, di cavarne un’applicazione allo studio del mattoide, io aveva fallito la strada.
Non è poeta chi vuole, e non è chi vuole, popolare. È necessaria una dose di grande duttilità e lucidezza; e non basta, come io credeva, sorvolare sulle citazioni, ma bisogna condurre il pubblico passo per passo; se no, avverrà che egli, trovatosi all’improvviso sopra una strada ignota, non sappia orientarsi, ed accusi della propria confusione non già sè stesso, ma la sua guida.
Quando qualcuno legge un libro per sollazzo, si ferma ai fatterelli che gli si adducono, senza sognare che vi sia sotto una conclusione. Meno ancora sognerà che l’autore pretenda da lui la conoscenza delle altre sue opere, senza le quali molte delle teorie addotte devono sembrare bislacchi paradossi; e così io avendo, in altro lavoro, con parecchie centinaia di esempi, mostrato la frequenza della pazzia nell’uomo di genio e le ragioni anzi per cui l’uno a vicenda si trasforma nell’altro, e gli speciali caratteri dei mattoidi, ommisi quelle dimostrazioni, dopo le quali poche frasi colte a volo nelle lettere di Cola da Rienzi, nell’Ezio II, bastavano per mostrare l’indole morbosa dei loro autori. Un altro difetto capitale si aggiungeva in quel libro: la mancanza d’ogni misura nella diagnosi delle nostre piaghe. Il vero tutti dicono d’amarlo; ma ei dev’essere un vero anodino, che non ci guasti le digestioni; un vero debitamente filtrato attraverso lo staccio dei partiti e degli interessi.
Ti concederanno, per esempio, di maltrattare un Tizio, purchè abbi cura di non rivelare le magagne di Cajo: e giura, anzi, che quelle sieno glorie e non magagne, e lascia tranquilli i potenti, sian pure prepotenti, anzi... appunto se tali.
Qui trovo che i critici hanno proprio ragione. Che diavolo! Siamo in un’epoca di serafica contentatura, e tutti facciamo il bocchino d’oro, ed abbiamo convertito in turiboli le fiere alabarde: quando in tal’epoca uno, invece di miele e di incensi, va in busca di bastonate e di beffe, per dirci che noi confondiamo la calma con l’apatia; che non si provvede sul serio al delitto coll’estendere la giurìa; e all’ignoranza con dei brani di carta sotto forma di legge; e alla questione sociale, dimenticando l’agricola; e all’agricola dimenticando i pellagrosi; che non si progredisce ripristinando le preistoriche cremazioni, oh! costui non conosce il suo tempo.
E mi si fa un appunto proprio di ciò, che io speravo fosse un vanto: dell’avere tentato di sfrondare la leggenda rosea che involge e confonde la storia di alcuni idoli nostri. Oh! che, risponderei, non ne abbiamo abbastanza delle favole che dobbiamo ufficialmente accettare, perchè ammesse per vere dai più, da dovere aggiungervi anche quelle che passarono per la mente d’un romanziero, o fra i deliri d’un popolo che inneggia ad eroi che prima adorava, poi calpestava e derideva, sempre senza comprenderli.
A che servirebbero gli studi se dovessero tenere dietro e non precedere i portati della pubblica opinione? A che servirebbe una vita passata in mezzo a ricerche speciali, se non desse diritto a sorridere alle risa degl’ignoranti, e ad imporsi, senza spavalderia, ma senza esitanza, a coloro che, essendo colti negli altri rami, pretendono e nol sono nel vostro?
L’allontanarsi dalla leggenda non è, del resto, già per sè, sempre un progresso? E non ci permette di spiegarci dei fatti che, finchè vagoleggiano in un mondo nebuloso ed incerto, potran destare negli uomini volgari stupore ed anche diletto, ma rimanendo pei savi un muto ed inutile enigma?
Prendiamo, ad esempio, il Cola da Rienzi. Come, colla sua leggenda, connettere il suo principio colle replicate cadute, le sue vane imprese colle sue gigantesche proposte, ecc.? E, ammessa la leggenda, quali applicazioni utili se ne possono cavare di più che dalle epiche imprese di Orlando e di Rinaldo? Mentre, invece, seguendo solo i lumi della storia e rettificando la leggenda coi lumi della psichiatria, se ne spiccia un raggio che non solo rischiara una serie di fatti storici male compresi, ma ci aiuta a spiegare alcuni fatti che non ci sappiamo spiegare, malgrado si svolgano sotto i nostri occhi, come i trionfi di Lazzaretti e di Coccapieller: e ci fa intravvedere anzi una teoria sulla genesi di quei grandi avvenimenti storici che sono le rivoluzioni, cui molti anche non miopi ingegni derivavano così spesso da casuali incidenti, oppure lasciavano inesplicati, anzi (che è peggio) non presentendo che alcuno credesse necessario di trovarne la soluzione.
La ragione intima, però, di tutto questo sta nella profonda ignoranza che c’è, anche nel pubblico colto, per quanto tocchi la psichiatria. La nostra educazione classica, classica così per dire, che nel fondo la maggior parte non fa che imparare (Dio sa con qual vantaggio!) come lo stesso oggetto si chiami e si declini in vecchie lingue, portandoci via i più begli anni e le più belle forze della nostra giovinezza, non ci lascia, si può dire, un margine sufficiente per le cognizioni più solide e più utili. Non v’è nessuno della buona società che ignori chi sia Romolo o Ulisse, o ignorandolo non se ne vergogni; ma, viceversa, cosa sieno i terribili bacteri che sono i padroni della nostra vita, come si respiri e come e perchè si cammini, oh! questo pochissimi sanno, e pochissimi si vergognano d’ignorarlo; arrivederci poi in certi problemi di psichiatria, sconosciuti persino a molti medici!
E intanto fenomeni psicologici e storici, anche volgari, restano completamente un enigma; per esempio, noi non sappiamo spiegarci come si manifestassero quelle vere epidemie psichiche del medio evo e dei tempi antichissimi, nè comprendiamo cosa fossero le streghe, i profeti, i santi, gli oracoli, i miracoli, e, come vedremo, ci sfugge la causa di una gran parte delle rivoluzioni. Ogni volta che un fenomeno psicologico si presenta all’improvviso al pubblico, come l’ipnotismo, e s’impone per la sua gravità, desta una strana maraviglia e per poco non ci fa ritornare alle credenze dei tempi selvaggi, come certo accade quando degenera nelle fedi spiritiche.
E v’hanno uomini indegni di rispetto, perchè troppo di mala fede, che gridano ai miopi loro seguaci in letteratura, in diritto, come dei piccoli merciai timorosi d’ogni concorrenza: Guardatevi da questi alienisti invasori che sconfinano e invadono i nostri campi! — Potremmo noi rispondere: Se invadiamo, gli è perchè siamo forti, e voi siete dei deboli, malamente aggrappati al passato.
Quando si applicavano, e il costume non è ancora scomparso, la teologia e poi la metafisica, che sono la negazione della vera scienza, alle quistioni pratiche e sociali nonchè alle fisiche, allora il danno era grave, e sarebbe stata utilissima, e non vi fu, l’opposizione; ma che male vi ha quando si applichi una scienza tutta desunta dai fatti a spiegare dei fatti che prima non si comprendevano? Chi si lagna, ora, per la intrusione della chimica, della meccanica in tutti i congegni della nostra vita se non sono i nemici di ogni movimento civile?
E notisi, poi, per suggellare la sconfitta di codesti avversari: che non sono proprio tanto gli alienisti che si facciano innanzi ad estendere le applicazioni della loro scienza (per istrano caso, in Italia, meno poche eccezioni, tutti sono od avversi o tiepidi amici a quest’idee), quanto gli uomini di grande ingegno come il Ribot, il Taine, lo Spencer, il Maury, il Guyau, il Ferri, il Garofalo, il Drill, il Campili, il Fioretti, il Puglia, che, estranei alla psichiatria, vi si addottrinarono per applicarla ai loro studi. E certo niun alienista si dolse di sì nobili soci e maestri.
Ma intanto, si soggiunge, con tutto ciò voi fate del mondo nient’altro che un grande manicomio. Oh! si rassicurino costoro, chè dello spazio libero per le menti tranquille e timorate ne resta, e di molto. Tutto il mondo che lavora senza elevarsi ad una idea, tutto il mondo che si affatica dietro ad una misera croce, ad un impiego, ad una zolla, tutto quel mondo insomma che fa da platea ed anche da orchestra ai pochi attori di genio, è immune di questa pece; e così anche coloro che essendo fra i più e volendo essere fra i meno si formalizzano di queste teorie, e sminuzzando i dettagli o vedendo solo, un lato della questione non ne capiscono o fingono di non capirne l’insieme.
Ma forse migliore d’ogni ragione, è quella che siamo in un paese vecchio, che, come i vecchi ed i bambini, ha terrore di ogni novità; e per difendersene crea la leggenda e la fiaba, che trasforma in uno strupo di caotici demolitori quanti osano pensare diversamente dalla inerte maggioranza e cerca annichilarlo.
Passeggiando nella nostra capitale è ovvio, infatti, l’imbattersi in molti di quei semi-politici e semi-scienziati, che fanno della doppia mediocrità uno sgabello alla fama propria non solo, ma anche all’infamia altrui; ed è ovvio sentire presso costoro gabellate d’assurde e rivoluzionarie delle teorie, che presso molti scienziati di altri paesi hanno ormai diritto di cittadinanza. Nè vale il rispondere con libri che arrechino nuove esperienze, nuove prove; essi non hanno il tempo per leggerli, nè forse l’ingegno a capirli. Un bel accenno olimpico del capo non è egli più facile e — presso i molti ignoranti — più fruttuoso di un’opera intera?
E sono un manipolo di auto-apostoli muti, che, tenaci nel dogma, nel catechismo e più nella reciproca ammirazione, credono schiacciare ogni altro col peso del loro silenzio, od oppongono la loro lodata sterilità ai vostri volumi. Se essi non hanno creato, chi deve creare? Quando poi si degnano parlare, chi oserà porre in dubbio la loro sentenza?
Del resto, alla bufera tien dietro spesso la pioggia fecondatrice che ravviva e raddoppia i raccolti nella zona dalla prima distrutti, ed alla bufera che m’attende, malgrado le correzioni introdotte in questo libro, spero succeda il trionfo di alcune almeno delle idee da me spalleggiate.