Trento e suoi contorni. Guida del viaggiatore/Panorama del bacino di Trento

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Panorama del bacino di Trento

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L'illustre passato di Trento Aspetto e scompartimento della città
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PANORAMA DEL BACINO DI TRENTO


La valle di Trento, lunga in circa quattordici miglia, larga un miglio e mezzo, a oriente e chiusa dal Monte argentifero, o Monte Galena (Calisperg) antico focolaio delle miniere di Trento, tutto traforato di caverne, di perigliosi recessi, popolati una volta dai lavoratori, che chiamavansi canopi, i quali senza uso della mina e a solo nerbo di mazza e piccone seppero approfondarsi nella viscere della roccia, in cerca di piombo-argentifero, donde il motto di fra Bartolameo da Trento, che sta in fronte al palazzo municipale: montes argentum mihi dant, nomenque Tridentum. A questa rupe, ricca di petrefatti, sterile e scoscesa per le verticali pareti (donde anche il nome di Monte Calvo) s’accosta la montagna di Povo quà e là infrondata di castagni e di faggi, e vestita di praticelli circondati di siepaie, dove su qualche dosso aprico fanno capolino le uccelliere.

Alla base di questi due monti si distende in dolce declivio la deliziosa falda di colli che corrono dalla classica villa di Fontanasanta, in seno a un romantico boschetto, fino al romitaggio di S. Rocco, ovunque messi a viti ed a frutteti sparsi di pittoreschi villaggi, di piacevoli caseggiati; dove buona parte dei cittadini di Trento scorsero gli anni più felici di lor vita, dove ogni gruppo, ogni pendice, ogni rivo ricorda loro [p. 18 modifica] qualche cara e affettuosa reminiscenza della passaggiera gioventù.

A occidente sorgono le nude pareti di Bondone e di Gazza, in vista molto severe; solo mitigano in parte il rigore della prospettiva le villette di Romagnano e Ravina ombreggiate da gelsi e vigneti, e rallegra il rumoreggiare che fa il rivo di Sardagna precipitando da dirupato balzo. A settentrione compongono il fondo del bacino i monti della Naunia, a mezzodì la Scanuppia, che mostra, gran parte dell’anno, nevose le spalle.

Il torrente Avisio protegge la bocca nordica della valle; a mezzodì è difeso l’ingresso dalla stretta di Calliano, guardata da due castelli in antico temuti, Pietra e Beseno. Tre storici dossi segnano i punti del triangolo nel cui campo si avvalla la città, l’uno Dos-Trento (l’antica Verruca) già munito d’una ròcca romana, il dosso di S. Agata, protetto nel medio evo dal castello dei conti di Pavo, il dosso di S. Rocco, ove non è molto salmeggiava un romito.

L’Adige, secondo fiume d’Italia, che dà nome alla gran valle, ora rettilineo ora snodato in curve, serpeggia fra i colti di Campo-trentino e di Lidorno, in addietro sovente allagati, forse in avvenire sicuri. Metton foce nel regio fiume, oltre l’Avisio ed il Noce, il rivo Saluga, che balzellando dalla scogliera delle Laste seco asporta, dopo gli acquazzoni, la mobile ghiaia, e minaccia a guisa di torrente. Il Fersina, molto più periglioso, traversa la valle spalleggiato da robusti sostegni, e trattenuto da serre; il Salè lambisce i pingui campi della Clarina.

Distendendo lo sguardo lunghesso val d’Adige, non si può a meno di meditare ai numerosi eserciti che la percorsero dalle età più lontane fino ai nostri dì, e per non dir nulla delle rimote immigrazioni de’ Barbari che calarono in Italia, e delle loro cacciate per cui [p. 19 modifica] retrospinti invadevano queste valli, ci sgomenta il pensare alle rinnovate falangi di Federico Barbarossa che disperse, ricomposte e poi disfatte ancora, furono sepolte nei campi della Lombardia. Si smarrisce pure la mente ripensando all’inospite foresta che avrà una volta ingomberata questa terra, ora fertilizzata col sudore degli industri valligiani; ma in pari tempo si sente il conforto d’un illustre passato, perchè la storia ci parla di una Colonia romana, dispensiera della prima civiltà, ci ricorda la legione papiria disciplinata al comando latino, c’informa che dalla stessa Roma dipartiva l’Apostolo Vigilio, che col sangue redimeva alla Fede gli schiavi della materia, la degradata umanità.

Lungo la valle si protrae lo stradone, il quale dalla provincia di Verona porta in Germania, che ora cede il mezzo di trasporto alla nuova via listata di ferro, ed è il terzo veicolo storico del Trentino, in quanto che la strada primitiva praticata ai tempi dei Romani lambiva la sponda destra dell’Adige, traversando il tenere di Romagnano. Fra le rupi d’occidente sopra il paesetto della Vella, si apre la tetra gola detta Buco di Vella che s’interna fra nudi e minacciosi macigni per poi riuscire nell’aperto orizzonte di Cadine, ove l’occhio si ricrea osservando il sottoposto laghetto di Terlago. Agevole, varia ed amenissima è la via nuova che presso Piazza d’armi ascende e s’insinua nella valle del Fersina, dalla quale a destra diparte un altro tronco che mette alla villa di Povo.

Chi voglia salire sui vicini colli di Bolgher o di Gocciadoro, o sui poggi delle Laste, di Mirabello o meglio ancora sul ciglione di Sardagna si compiacerà a osservare il bellissimo panorama di Trento in forma di cuore. In grazia dell’ottica illusione si direbbe che la città continui e si protragga sui vicini declivi e si allarghi molto più che non è la sua periferia, a motivo dei [p. 20 modifica] numerosi caseggiati sparsi d’intorno. Le moli monumentali del castello e del Duomo, la incoronata torre di Piazza vecchia, le venerande mura di Teodorico, le molte cupole e le molte torri, gli anneriti palazzi che si alternano cogli edificii recenti compartiscono a Trento quel carattere che è proprio e distintivo delle vecchie città italiane. L’adornano i piacevoli ed ombreggiati viali del Fersina, di S. Bernardino, di S. Francesco, e vi si aggiunse il recente decoro di Piazza d’armi, che si presenta in forma di naturale anfiteatro circondato da ridenti ed eleganti casini, e da una graduata sovrapposizione di colli, di orti, di ameni ridotti, che nel complesso ci ricordano un non so che di giardino inglese. Dal lato opposto la fronteggiano molti edificii di fresca costruzione, che sono indizio della predilezione che gode quell’aperta postura arieggiata e salubre. Sorprendente è pure lo spettacolo che presenta l’orizzonte e il bacino di Trento nelle ore notturne al chiaror di luna, perchè illuminate da quella simpatica luce meglio impongono e più parlano alla mente le gravi e severe sembianze dei più cospicui monumenti di Trento, si medita agli anni che imbrunirono quelle illustri pareti, ai secoli cui sopravvissero illesi questi gioghi e queste balze che appunto al lume di luna più grandeggiano pel contrasto dell’ombra che nasconde le conche ed i burroni, mentre l’onda tranquilla dell’Adige s’inargenta e silenziosa si culla tra il fosco-verde dei campi. Al qual proposito qui piace il rammentare la magica scena notturna che si contempla in Piazza d'armi nella sera della solenne giornata di S. Vigilio, quando a mezzo di sparsi fuochi bengalici si coloriscono di varie tinte le colline, i casini, il castello, e propagandosi la luce di cosa in cosa sfuma e pallida si diffonde sui discosti dossi, e via per la vasta oscurità del cielo. [p. 21 modifica]

Il forestiere che intende di trattenersi a Trento, e di visitare questa terra che si vanta d’essere ospitale tanto nelle città come nelle adiacenti valli, bramerà certo di conoscere quale sia l’indole, quale il carattere ed il fare della popolazione. Il dialetto che parla s’accosta piuttosto al veneto, ma v’è parsimonia di parole; i Trentini non sono ciarlieri, e in quanto alla franchezza di comportarsi si avvicinano ai Lombardi. Non sono troppo ammanierati, non si piccano di scaltrezza, espongono quello che pensano e sentono con molta sincerità. Domandate loro l’indirizzo del sito che cercate, e ve lo indicheranno con quella buona voglia che è propria di chi si compiace di usare una buona grazia. Troverete accondiscendente il contadino, l’artigiano, il signore. Dormite tranquilli i vostri sonni se mai vi piacesse di visitare questi monti, non vi intimidisca il pensiero di abbandonarvi nelle valli più rimote; ponete tutta la fiducia in chi vi ospita, in chi vi guida. Ve lo dice un tale che per otto anni peregrinò di giogo in giogo, di valle in valle, memore e riconoscente delle prestazioni e dei beneficii che gli prodigarono questi buoni valligiani, senza mai lo abbia turbato nè un sospetto, nè un menomo motivo di paura. Se siete amico della natura, se vi compiacete d’investigare il carattere e l’indole di questa montuosa popolazione italiana accomodatevi al modesto focolaio, interrogatela con dimestichezza e scoprirete il buon cuore e il naturale accorgimento. Nelle città v’è del buono e del corrotto come dappertutto, meno però presso una popolazione che per lungo costume è avvezza a contentarsi di poco e a industriare la vita per vivere.