Un dramma nell'Oceano Pacifico/11. I compagni di Bill

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11. I compagni di Bill

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Capitolo Decimoprimo.

I compagni di Bill.


Un uomo si era alzato dietro al cespuglio, e dopo quella esclamazione si era avanzato verso il drappello, fermandosi però di tratto in tratto per stropicciarsi energicamente gli occhi, come se avesse timore di vederci male.

Ma quale uomo! Era alto, magro come se fosse digiuno da tre settimane, sparuto, livido. Una barba prolissa, rossiccia, gli pendeva dal mento e una lunga capigliatura arruffata come una matassa gli cadeva sugli omeri, i quali lasciavano vedere le ossa, tanto erano secchi.

Pochi brandelli di stoffa, che ricordavano vagamente le forme di una casacca e d’un paio di calzoni sfondati, coprivano quel corpo ischeletrito e coperto di contusioni.

— Ma sei proprio tu Bill? — ripetè quel disgraziato.

— Mac Bjorn! — esclamò il naufrago. — In quale stato mai ti trovo!...

— Un po’ magro, non dico di no, ma vivo ancora a dispetto di [p. 102 modifica] quella canaglia di antropofagi che mi volevano morto. Ma... non sei solo tu, a quanto pare.

— Ringrazia innanzi tutto questo signore, il capitano Hill comandante la Nuova Georgia, che è qui appositamente venuto per salvar voi tutti. —

L’uomo magro s’inchinò facendo scricchiolare tutte le ossa del dorso, e disse:

— Vi ringrazio, signore, a nome di tutti i miei compagni, i quali saranno ben lieti di vedervi, ve lo assicuro, se li troverete ancora vivi.

— Perchè se li ritroverò vivi? — chiese il capitano, dopo d’aver restituito il saluto.

— Se non vi affrettate, bisognerà cercarli nella fossa del re. By-God! Hanno fretta quei buoni selvaggi!

— Sono prigionieri? — chiese Bill.

— Tutti.

— Ma tu perchè sei libero?

— Eh! Eh! — esclamò il naufrago ridendo. — M’avevano legato che parevo un salame; ma sono così magro, che riuscii a sgusciare fra i cordami e darmela a gambe.

— E vi hanno inseguito? — chiese il capitano.

— Sì, ma ho le gambe lunghe e il corpo leggero, e presto potei guadagnare il bosco.

— Quando sei fuggito? — domandò Bill.

— Poco fa.

— Quelle grida adunque che abbiamo udite?...

— Erano di rabbia. Gli antropofagi s’accorsero della mia fuga quando ero lontano, e hanno dato l’allarme; ma ora me ne infischio di quei bricconi. E... dov’è Sangor che non lo vedo? Tu eri partito coll’indiano. [p. 103 modifica]

— È morto — rispose Bill facendo un gesto di stizza. — Sono vivi tutti gli altri?

— Sì, vivi, ma in cattivo stato, magri come bastoni e tanto deboli, da non poter quasi stare in piedi, perchè sono due giorni che non mangiano. Pare che i selvaggi vogliano mandarli all’altro mondo cogli intestini leggeri e una gran dose d’appetito. Cosa vuoi? Costumi da antropofagi!

— Vi sentite in grado di condurci fino al villaggio? — gli chiese il capitano.

— Lo spero, purchè mi sia dato un biscotto da sgretolare e un sorso di gin o di brandy.—

Un marinaio gli offrì la propria fiaschetta mentre un altro gli riempiva di biscotti le tasche della sbrindellata giacca e un terzo gli dava una scatola di pesce in conserva.

Il naufrago prese avidamente la fiaschetta e in tre lunghe sorsate la vuotò.

— Eccellente, in fede mia, questo wisky — disse facendo scoppiettare la lingua. — Andiamo ora, o sarà troppo tardi; ma silenzio assoluto, ed aprite per bene gli occhi.

Impugnò colla destra una sciabola d’abbordaggio datagli da un marinaio e colla sinistra una pistola offertagli da un altro; e raccolti i lembi della sua giacca, quel corpo lungo lungo, le cui ossa scricchiolavano ad ogni passo, si mise in cammino fiancheggiato da Bill, il quale gli sussurrava, agli orecchi, delle parole che il capitano non riusciva a comprendere, quantunque si trovasse due passi più indietro.

Chiedeva degli schiarimenti o si trattava di qualche cosa di più grave? Mac Bjorn, l’uomo-scheletro, non rispondeva, ma si vedeva muovere spesso il capo, come se approvasse ciò che gli veniva chiesto o detto: chi però l’avesse osservato meglio e di fronte, [p. 104 modifica] anzichè di dietro, avrebbe veduto quei piccoli occhi affondati nelle magre occhiaie mandare strani bagliori, e su quelle aride labbra apparire di tratto in tratto un sarcastico sorriso.

Camminando con precauzione, con gli orecchi sempre tesi e gli occhi bene aperti, la piccola colonna giungeva dopo un’ora in uno spazio aperto fra gli alberi. Mac Bjorn con un gesto fece fermare i marinai che lo seguivano.

Si curvò verso terra per raccogliere meglio i rumori, fiutò a più riprese l’aria come un cane fiuta la selvaggina, poi volgendosi verso il capitano che non perdeva di vista alcuno dei suoi gesti:

— Siamo presso il villaggio, — disse. — Superata questa boscaglia, ci troveremo dietro le ultime capanne.

— Dove si trovano i nostri compagni? — gli chiese Bill.

— In una capanna accanto a quella reale, — rispose Mac Bjorn.

— Guardata da molti guerrieri?

— Sì; da una ventina, e armati di lancie e di pesanti mazze.

— Se irrompessimo questa notte nel villaggio, credete che si potrebbero liberare? — domandò il capitano.

— Non lo credo, perchè la capanna è forte, i nostri compagni solidamente legati, e prima di giungere presso di loro i cannibali li accopperanno. È meglio attendere il momento in cui comincerà la cerimonia funebre, poichè allora la popolazione sarà inerme. Il nostro improvviso assalto cagionerà un panico generale, le donne e i ragazzi faranno una grande confusione, e noi ne approfitteremo per disperdere quelle canaglie e liberare i prigionieri. Seguitemi! —

Mac Bjorn che conosceva la via meglio di Bill, si mise alla testa del drappello e s’avviò verso il nord con mille precauzioni, evitando di fare scricchiolare i rami degli alberi, e fermandosi di tratto in tratto per ascoltare se la foresta era silenziosa. [p. 105 modifica]

Dopo cinquecento passi abbandonava la foresta dei banani e s’addentrava in un’altra più fitta formata da superbi artocarpi, alberi che danno frutta grosse, di corteccia rugosa, contenenti una polpa giallastra e che cucinata serve da pane. Infatti, tali piante vengono appunto chiamate anche alberi del pane, quantunque la polpa di quelle frutta somigli più al fondo del carciofo che alla farina.

Mac Bjorn l’attraversò, strisciando fra le liane che correvano fra i tronchi, formando una rete arruffata, e si arrestò dinanzi a un gruppo gigantesco di fitti cespugli.

— Guardate laggiù, attraverso ai rami, — disse volgendosi verso il capitano.

Hill s’alzò, scostò alcuni rami per meglio vedere e scorse, a circa dugento metri, una doppia fila di capanne le cui forme rammentavano gli alveari delle api, ma ampie e difese qua e là da palizzate.

Numerosi fuochi ardevano lungo il grande viale che divideva le abitazioni, e al chiarore di quelle fiamme vide parecchi gruppi di selvaggi i quali bivaccavano all’aperto tenendo in pugno le loro lancie con la punta di osso o di ferro, e le loro pesanti mazze chiamate molto opportunamente rompiteste.

Aguzzando meglio lo sguardo, il capitano scorse un po’ più oltre una grande capanna, sulla cui cima ondeggiavano degli stracci e dei rami d’albero, e attorno alla quale si affollavano moltissime persone, muovendosi con una certa animazione.

— È la capanna reale, — gli sussurrò agli orecchi Mac Bjorn.

— È morto il re?

— Ieri mattina era ancora vivo e non mi parve tanto ammalato da far temere prossima la sua fine. Io scommetterei anzi, che [p. 106 modifica] se lo lasciassero in vita, camperebbe ancora un discreto numero d’anni.

— È contento di farsi seppellire?

— Non mi parve sconcertato; anzi, incoraggiava suo figlio che si strappava i capelli per la disperazione.

— Il suo erede?

— Precisamente.

— E perchè quel caro figlio non impedisce il seppellimento?

— Perchè dice che è meglio essere re che figlio di re, e che suo padre ha vissuto fin troppo.

— Che razza di furfanti!

— Costumi da antropofagi, signore, — disse Mac Bjorn, senza manifestare il menomo orrore. — Oh! Ecco che comincia ad albeggiare. —

Infatti verso oriente una luce scialba si vedeva apparire, e gli astri a poco a poco impallidivano. Fra pochi minuti il sole doveva splendere, poichè in quelle latitudini si può dire che non vi è nè tramonto, nè alba. Scomparso il sole, la notte cala bruscamente, e viceversa.

Ad un tratto si udirono echeggiare pel villaggio le conche marine e si videro uscire dalle capanne uomini, donne e ragazzi in gran numero, indossanti gonnellini affatto nuovi, file di denti di pescicani e di pezzi di ossi di balena. Attorno alla capanna reale s’alzarono acute grida, in mezzo alle quali si distinguevano delle urla strazianti.

— Sono le spose del re che piangono, — disse Mac Bjorn. — Quelle brutte streghe si disperano perchè tutte non possono venire sepolte, mentre i nostri compagni fremeranno pensando che dovranno accompagnare nel gran viaggio quell’ubriacone di Vavanuho.

— Speriamo di salvarli, — disse il capitano. — Tenetevi pronti a [p. 107 modifica] tutto: quando darò il comando, scaricate i fucili nel più fitto dell’orda, poi carichiamola colle sciabole e colle pistole.

Era ormai giorno fatto; il sole comparso sopra i grandi picchi che dividevano l’isola, faceva cadere una pioggia d’oro sui boschi e sulle capanne del villaggio.

La folla cresceva di minuto in minuto; si vedeva accorrere dalle vicine foreste che nascondevano altri villaggi, dalla parte del mare, dalla parte dei monti, e si accalcava attorno alla dimora reale, dove una compagnia di suonatori faceva echeggiare furiosamente le conche marine.

D’improvviso si fece un grande silenzio: i guerrieri si ordinarono rapidamente formando una lunga colonna che si distaccò dalla grande capanna, dirigendosi verso il bosco occupato dall’equipaggio della Nuova Georgia. Dietro di loro comparve il vecchio re, portato su di una specie di palanchino sorretto dai più famosi guerrieri della tribù, adorni di numerose collane e colle membra tatuate.

Il povero despota era vestito in gran gala. Aveva le braccia e le gambe fasciate da lunghe strisce di quella tela detta masi, il petto dipinto di nero colla tintura di aluazzi, il capo coperto da un fazzoletto rosso sormontato da uno strano diadema formato di conchiglie e aveva al collo numerose collane di pezzi di fanoni di balena.

Poteva avere sessant’anni, ma l’abuso delle bevande alcooliche e qualche lunga malattia lo avevano invecchiato assai. Malgrado sapesse la sorte che lo attendeva, pareva contento e sorrideva amabilmente alla prima moglie che lo sventolava con un ventaglio di foglie di cocco.

Mac Bjorn e Bill, che aguzzavano gli occhi, distinsero dietro al vecchio re, ma circondati dalla popolazione, i loro sei compagni, [p. 108 modifica]solidamente legati, stracciati, scheletriti, tutti pesti dalle percosse che piovevano abbondanti sulle loro spalle ogni volta che si fermavano. Accanto a loro camminavano dieci ragazze, vestite a festa, anch’esse legate, destinate a venire uccise per tenere compagnia al loro sovrano nell’altra vita; ma non avevano il volto sparuto e sconvolto dei disgraziati naufraghi, anzi parevano felicissime di essere state scelte a tale ufficio onorifico.

— Eccoli! — esclamò Bill, che era diventato pallidissimo, nello scorgere i suoi compagni.

— Li vedo — rispose, il capitano, che non potè frenare un gesto di compassione. — In quale stato sono stati ridotti! Ma pagheranno il conto, quei feroci mangiatori di carne umana. — [p. 109 modifica]

S’alzò e puntò il fucile esclamando:

— Siate pronti! —

I marinai armarono i fucili mirando nel più fitto dell’orda selvaggia.

— Fuoco! — tuonò il capitano.

Tredici colpi di fucile rimbombarono, formando una sola detonazione.