Un romanzo/I

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Un romanzo II
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UN ROMANZO


I.

La signora Chiara era rientrata allora allora.

— Mio fratello?... fece colla mano sul saliscendi e volgendosi premurosamente alla serva.

— È a tavola.

La signora Chiara infilò senz’altro le camere togliendosi il velo con una mano, colla seconda lo scialle; ma la serva guizzò fra lei e il muro, e arrestandola con un movimento famigliare, disse a bassa voce, chinando il volto animato dalla curiosità:

— O mi dica un po’ come era vestita?

— Più tardi, più tardi ti racconterò tutto.

— In bianco?

— Più tardi, benedetta ragazza! esclamò la signora Chiara allontanandola colla mano e correndo sempre.

— C’era tanta gente? [p. 6 modifica]

Si trovavano all’uscio del tinello.

— Piena la chiesa.

E la signora Chiara entrò tirandosi dietro l’uscio.

Il tinello era modesto quale si conviene ad una buona famiglia borghese. La signora Chiara lo aveva abbellito con delle cortine all’uncinetto e dei cuscini a punto di calza; — bisognava esserle riconoscenti almeno per l'intenzione — non mancavano, potete immaginarlo, i veli da poltrona col solito turco a gambe aperte e il solito Chinese a braccia levate; c’era inoltre sulla finestra un così detto parafreddo fatto a pezzetti variopinti di calzoni usati e di panciotti smessi, ch’era un prodigio di pazienza e d’economia — l’ottima signora vi aveva lavorato attorno quattro mesi.

Una lucerna a petrolio, piede di bronzo e globo azzurro, rischiarava la mensa, ove un pezzo di manzo lessato fumava accanto un piatto di peperoni.

Nella prosa di questa cornice si disegnava abbastanza poetico il volto pensoso e taciturno di Pompeo.

Egli non mangiava.

Con un braccio penzoloni lungo la sedia, coll’altro fatto puntello al capo, l’occhio torvo, le labbra strette, il giovane avvocato sembrava assorto in profondi pensieri — non si diede nemmeno per inteso della comparsa di sua sorella.

— Ti ho fatto aspettare, non è vero? disse la signora [p. 7 modifica]Chiara levando un gambo di peperone che guastava la simetria del piatto.

— Oh!... no — rispose Pompeo scuotendosi, come colui che si desta da un sogno.

— Tu non hai peranco mangiato; non dovevi aspettarmi, Pompeo — sai che non devi aspettarmi.

— Non ho fame.

— Perchè dunque? — alla tua età non è naturale — lavori troppo.

— Chi sa! fece Pompeo passando la mano sulla fronte quasi a cacciarne una rimembranza importuna.

— Questo studio! questo studio! — continuò la signora Chiara trinciando il manzo — abbiamo fatto tanto per averlo questo cencio di studio e per mio conto sono già pentita. Tu dicevi: vedrai, se posso mettermi in carriera, non invidio nulla al re. Ebbene, adesso ci sei in carriera; hai una buona posizione, i clienti crescono ogni giorno, dovresti essere felice — ma io non l’avrò mai la consolazione di vedere un sorriso su quella tua bocca — no — mai! Sempre serio, sempre chiuso, sempre in collera con tutto il mondo!

Nell’ardore delle sue esclamazioni, la signora Chiara aveva respinto il piatto fino a metà tavola — poi pentita lo tirò dolcemente a sè, e infilzando una fettolina di carne la offerse al fratello.

— Vuoi? [p. 8 modifica]

— No, grazie.

— Non mangi?

— Assolutamente.

— Ti senti male?

— Ma... non mi pare.

— Hai...

La signora Chiara stava per dire: hai la luna? quando esaminando attentamente il volto di suo fratello capì che un dolore grave e fortemente sentito doveva essere la causa della sua alterazione. Buona donna se mai ve ne furono, e sorella svisceratissima, ella si diede subito attorno con parole, con carezze, con preghiere di svelarle il motivo dei suoi affanni. Ma l’avvocato tenne duro. Evase le domande, chiamò a soccorso il tempo, i nervi, gli affari; disse che egli non aveva nessun dispiacere, che il suo carattere lo portava talvolta alla malinconia, ch’erano meteore, nubi passaggere — concluse:

— Non abbadarmi, Chiara, io sono felicissimo.

Eterni Dei! come aveva pronunciato quel felicissimo.

Chiara non volle insistere; si concentrò tutta nel suo piatto, che vuotò prestamente. Era una donna vivace, aperta, amica della compagnia, dei motti scherzosi, lepida essa pure — di una lepidezza un tantino volgare e chiassona — donna alla mano, come si dice, senza pregiudizii, punto aristocratica e bonaria sopratutto. Aveva quarantanni — era vedova — e portava sempre [p. 9 modifica] in petto un enorme spillone col ritratto del suo defunto — in dagherotipo — mezza persona, con una bella cravatta a nodo svolazzante e la catena dell’orologio; a guardarci bene, si vedeva anche un piuolo della sedia su cui stava seduto.

Grassona, brunotta, occhi vivi senza esser belli, faccia comune, ma simpatica per la bontà che vi traluceva; aveva forse sulla coscienza qualche biglietto di lotto giuocato furtivamente, qualche pettegolezzino colle amiche, qualche malizietta a fin di bene — ma non altro, lo giurerei.

Viveva da cinque anni col fratello.

Erano gente comoda, quieta, senza lusso e senza ambizione. Pompeo aveva appena terminato i suoi studii all’università quando la sorella rimase vedova; si unirono in un solo appartamento, e l’avvocato novellino badò a farsi un nome.

Ci volle del tempo e della pazienza; bisognò correre, parlare, brigare, chiedere da una parte, sospirare dall’altra — trepidare per l’ansia — sussultare per la speranza — mordersi i pugni per il disinganno — le solite, le eterne lotte della vita.

Finalmente il posto venne; uno studiolo bene avviato, modesto, senza pretese, ma di valore reale come era appunto il nuovo proprietario.

La signora Chiara gongolava — ma Pompeo, quella [p. 10 modifica] mattina, fu sul punto di stracciare in due l’atto di cessione.

Perchè? — Ma!!...

Due mesi erano trascorsi e l’umore del giovane non sembrava punto cambiato; al contrario, sempre scuro, taciturno, a capo basso, tormentando i baffi e gli stuzzicadenti, quasi avesse una rabbia interna e volesse sfogarla su incruenti vittime.

— Pompeo! — fece a un tratto la signora Chiara rovesciandosi sul dorsale della’poltrona e gettando sulla mensa il tovagliolo senza ripiegarlo — cosa rarissima, che Marietta, la serva, non mancò di notare — Pompeo, suvvia, sta allegro. La gioventù, vedi, non capita che una volta, e dobbiamo goderla intanto che c’è, altrimenti ppff.... è un fumo e vola via. Io lo so pur troppo!

Nessuna risposta.

— Tu hai bisogno di distrazioni — continuò la signora Chiara — hai bisogno di stórdirti e di pensare ad altre cose che non sieno quelle che ti frullano adesso per il cervello. Vuoi sapere dove sono stata questa sera e perchè arrivai tardi ài pranzo?

Pompeo fece un cenno compiacente del capo.

— Ecco, sono stata a vedere il matrimonio della nostra vicina — sai bene, la fanciulla pallida del secondo piano. Ma che lusso! Sei carrozze, la chiesa [p. 11 modifica] parata a festa con lumi, con fiori — nessuno poteva entrare, ma io conosco uno dei coadjutori e passai per essere della famiglia. E lei, come stava bene! un abito bianco, di seta, sepolto sotto le trine — sembrava ancora più bella!

Siccome Pompeo aveva lasciato cadere la testa sulle due braccia incrociate, la signora Chiara giudicò che la descrizione del vestito non l’interessava molto e procurò di variarla.

— Ma lo sposo che pezzo di giovinotto! — secondo me è ancor più bello della sposa. Si vede difficilmente un viso d’uomo così leggiadro e così ben proporzionato alla persona snella, elegante e robusta.

Ha due occhi incantevoli e strani che ti obbligano guardarlo come sotto l’influenza d’un fascino; è biondo, d’un biondo che non ho mai veduto in nessun uomo. Sì, lo sposo è bellissimo — mi piace. E che aria poi! un cavaliere fatto e finito.

La signora Chiara si arrestò guardando il fratello; ma il fratello continuava a tenere la testa nascosta. Aspettò un momento, forse le era venuto il dubbio ch’egli avesse sonno, e meglio era lasciarlo in pace — ma colpita da una idea non potè trattenersi dall’esclamare:

— E come si amano, Dio! la ragazza era in estasi a contemplarlo. Figurati.... [p. 12 modifica]

La descrizione della buona donna fu interrotta; la testa di Pompeo ruzzolò dal tavolo e dalle braccia su cui poggiava — il corpo la seguì — e la signora Chiara fu appena in tempo a sostenere il fratello che privo di sensi e colla faccia smorta si lasciò trascinare sul vicino divano.

— Marietta! Marietta! Lo sapevo io che il suo contegno di questi giorni non era naturale.

Marietta accorse prontamente; si gettò sottosopra la casa, aceto, rhum, panni caldi, frizioni — Pompeo! di qua — signor padrone! di là — Maria vergine da tutte le parti.

Quando Dio volle l’avvocato aperse gli occhi.

— Ti senti male? chiamo il medico?

— No, non è nulla.

— Tu dici sempre così, e poi vuoi farmi morire dallo spavento. Di’ cos’è stato?

— Sarà il pranzo.... sullo stomaco — mormorò Pompeo.

— Che mi burli? non hai assaggiato bricciola.

— Ah!... ebbene, allora sarà.... la debolezza. Conducimi nella mia camera — no, voglio andare da me. Marietta, accendi un lume.

— Prendi qualchecosa almeno, un brodo...

— Dopo, dopo — più tardi.

— Stai meglio? [p. 13 modifica]

— Magnificamente. Buona notte, sorella.

Uscì.

— E poi dicono che le donne sono nervose, che hanno i vapori, gli svenimenti! — disse la signora Chiara accompagnando il fratello cogli occhi e scuotendo il capo borbottò — Misteri! misteri! misteri!