Un romanzo/II

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II

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I III
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II.

All’indomani era una bella mattina di marzo — limpida e fredda.

In un salottino al secondo piano, la sposa — ancor fanciulla — scaldava i suoi piccoli piedi eleganti sugli alari del caminetto, e volgendo tratto tratto lo sguardò impaziente alla porta e consultando l’orologio nuovo che le pendeva dal collo sostenuto da una grossa catena, sembrava agitata da vaghi timori.

— Che non venisse? mormorò alfine.

— È possibile! rispose un vecchietto che nell’angolo del salottino si affaccendava a preparare lo zuccaro nelle tazze da caffè.

— Se fosse ammalato?

— Jeri sera stava benissimo.

— Se.... — la fanciulla non compì la frase, ma come non potesse più resistere all’impazienza balzò in piedi e sollevando le pesanti tende di damasco che coprivano [p. 15 modifica] la finestra, appoggiò sui cristalli la sua bianca fronte pensosa.

Posta così sotto la luce, la sua svelta personcina raggiava di una eleganza tutta giovanile e direi quasi ingenua; la sua vitina, che un adolescente avrebbe stretta colle mani, si piegava flessuosa e morbida sotto un busto grazioso benchè incompleto nel suo sviluppo. Aveva il collo candido e sottile, le manine trasparenti, i grandi occhi aperti timidi e curiosi ad un tempo — ora umidi di languore ora scintillanti di gajezza infantile. Vestiva per la prima volta un abito proprio da donna, lungo, pesante, ricco di guarnizioni e non vi stava a tutto agio. A guardarla, veniva subito il pensiero di cingerle un gonnellino di percallo e lasciarla correre nei giardini col cerchio o col cervo volante — tanto era giovane, bambina proprio in tutta l’estensione della parola.

Certo non aveva finito di crescere.

Oh! perchè la maritavano così inesperta ancora, così poco preparata ai doveri e ai pesi della vita conjugate? Che sapeva ella del matrimonio, povera innocente!

Non era molto che aveva smesso la bambola quando le presentarono il marito.

— Ma, e sua madre?... oh tacete, ella non ha più madre nè padre — è sola al mondo — il vecchietto [p. 16 modifica] che continua ad aggiungere dello zuccaro al caffè è il suo tutore.

O Giulia! Tu eri di peso a questo brav’uomo, che desidera vivere in pace i suoi ultimi giorni; egli ha pensato di maritarti presto, al primo che capita — e cospetto! — non puoi lagnarti. Il tuo sposo è bello e ricco come un eroe da poema.

Sorridi, Giulia! Tu hai quindici anni e l'amore ti schiude le sue cortine color di rosa.

Un lettore positivo: — Ehi! ehi! signor romanziere non divaghi!

Eccomi qui. Volete sapere come fu combinato il matrimonio non è vero?

Prospero, un amico del tutore, aveva per nipote lo studente più scapestrato che abbia mai fatto disperare i professori di tutte le Università. Da Pavia a Padova, da Pisa a Napoli, egli aveva portato dovunque una fama scandalosa ed eccentrica. Un grano di talento in una testa pazza produce le più strane combinazioni. Il nipote del signor Prospero ne aveva date molteplici prove.

Lo zio non sapeva più dove picchiare la fronte, quando per disgrazia si rammentò: prendendo moglie si fa giudizio: commedia in tre atti, moralissima e conosciutissima.

Il patrimonio del nipote, largamente intaccato, [p. 17 modifica] presentava ancora una cifra ragionevole, e medicandolo con una buona dote si sarebbe rimediato a tutto.

Prospero ne parlò all’amico — l'amico pose innanzi la pupilla — l’affare in complesso si presentava assai bene, e i due vecchi intravidero finalmente la prospettiva di giorni tranquilli fra la scatola da tabacco e lo scacchiere.

Olimpio — il nipote — accolse la proposta più facilmente di quello che avesse sperato il signor Prospero.

— E perchè no? aveva detto dondolando la sedia e guardando fuori dalla finestra sulla via, ove una sartorella passava in quel momento.

— Sei disposto a fare giudizio?

— Dovreste sapere, caro zio, che la disposizione è una facoltà passiva, direi meglio oggettiva, indipendente dalla facoltà attiva e soggettiva che chiamasi volontà. Si nasce colla disposizione — talvolta è spiegata, tal’altra trovasi nel nostro cervello allo stato latente e indefinito.

L’indefinito, capisci bene, nessuno può spiegarlo — si chiama indefinito per ciò.

— Dunque? fece lo zio, che aveva capito poco.

— Dunque, la disposizione io la classificherei....

— Ma non trattasi di classificarla; dimmi soltanto se l’hai. [p. 18 modifica]

— Ah! questo è un altro paja di maniche; dovevi spiegarti addirittura. Ecco qui: (Olimpio accorgendosi che la sua sedia scricchiolava, si alzò, ne prese un’altra, ricominciò a dondolarla e continuò con accento dogmatico) dotato di cinque sensi esterni, l’uomo — tu non ignori, caro zio, quali sono i cinque sensi esterni. Dotato, dicevo, di questi cinque sensi esterni, l’uomo può abbracciare tutta quanta la creazione nelle sue infinitesimali manifestazioni. Più, essendo l’uomo composto di due sostanze ben diverse fra loro, e pure mirabilmente fuse, l’anima e il corpo — o secondo l’opinione del dotto filosofo tedesco Fuerbach, stando l’anima al corpo come la fiamma al combustibile, può dirsi in certo modo che il corpo alimenta l’anima; così dove non c’è corpo non c’è anima. In altri termini — ti prego, caro zio, a non confonderti — l’anima non è una cosa determinata, una cosa esistente per sè sola — non è nemmeno una cosa. Edmondo About, la giudica un’impercettibile efflorescenza della materia bruta, una modificazione microscopica dell’estrema pellicola.

Il signor Prospero, sbalordito, arrischiò questa interruzione:

— Scusa, non mi hai ancor detto se ti senti la disposizione....

— Ma, caro zio, ti avevo pure avvertito di non [p. 19 modifica] confonderti. Se avesti seguito attentamente il mio ragionamento — ragionamento, oso dirlo, desunto dai migliori testi di filosofia moderna — e sopratutto se me lo avessi lasciato finire — ti sarebbe apparsa chiara la conclusione, che l’uomo padrone di tutta la natura esterna non può gettare il più piccolo scandaglio nel proprio interno. Sarebbe una stolta vanità quella di voler dire: io mi sento da tanto.

— Ma infine? — chiese il signor Prospero.

— Infine prova. Nessuna teoria per quanto perfetta ha l’efficacia della pratica. Cosa vuoi ch’io ti dica? Prova a darmi moglie.

— E poi....

— E poi! e poi! non la mangerò di certo — e nemmeno, credo, arriverò a bastonarla.

— Le sarai fedele?

— Oh!... fece Olimpio.

E siccome — oh — a rigor di termine non vuol dir nulla, il signor Prospero potè interpretarlo a sua voglia.

Alcuni giorni dopo ebbe luogo la presentazione.

La giovinetta Giulia piacque ad Olimpio — come a dir vero gli piacevano tutte le donne dai quindici ai trentanni — qualcuna anche fino ai quaranta. Egli non aveva mai fatto distinzione fra donna e donna. I suoi amori scapigliati e superficiali non si preoccupavano nemmeno della forma — gli bastava la materia. [p. 20 modifica]

Olimpio fece una grande impressione sulla sua futura sposa.

Qual meraviglia!

Egli era bellissimo, di una bellezza che uomini e donne si voltavano a guardarlo. Una statua antica per le proporzioni del corpo alto, snello e muscoloso. Il volto pallido, leggermente abbrunato — ma questo bruno era di una tinta incerta, variante, sfumata tanto quanto bastava per correggere la delicatezza dei lineamenti, la bocca divinamente gentile e le guancie morbide ombreggiate da due piccoli baffi biondi.

Sì, egli era biondo — biondo come il don Paez di Musset — e aveva gli occhi profondi, audaci, color del mare.

Nello sguardo d’Olimpio, nei guizzi fuggevoli del suo raro sorriso, nella sua voce carezzevole e blanda c’era quel non so che, quella leva misteriosa e arcana che fa balzare un cuore di donna.

La sua mano nervosa e bianca comunicava l’elettrico ben più che la pila di Volta. Sul dito mignolo di quella mano tutti i suoi amici e tutte le sue amiche avevano sempre visto un meraviglioso brillante dalle cui faccette pure partivano correnti elettriche.... specialmente per le signore.

Nessuno sapeva annodare la cravatta come lui, montare a cavallo, nuotare, tirar di pistola e di carabina, [p. 21 modifica] frustare un cane e sbarazzarsi di un’amante venuta a noja.

Pazzo, generoso, ardente, cinico, adorabile.

Una esuberanza di salute che resisteva a qualunque prova, una sorte fortunata che lo seguiva dovunque.

Tutte le seduzioni, tutti i fascini erano per lui. L’aureola dell’uomo felice raggiava intorno alla bionda testa d’Olimpio.