Uomini e paraventi/Capitolo IV

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Capitolo IV

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Ryūtei Tanehiko - Uomini e paraventi (1821)
Traduzione dal giapponese di Antelmo Severini (1872)
Capitolo IV
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Capitolo IV.




Durando un tale stato di cose, una sera, sonata già la campana del tramonto d’un lungo giorno di primavera, e già sbandatisi da ogni parte uomini e fiori di sácura,1 tutto rientrava nella massima calma. Allora, levatosi su da un sedile rustico della bottega da tè, uscì da questa un uomo, dicendo: «Oh! io n’ho abbastanza.» Era costui [p. 30 modifica]il proprietario d’un assai noto ritrovo a Scima-no-ucci di Nániva,2 e lo chiamavano Saízo di casa Tocuvaca.

Misavo, la sonatrice d’arpa, lo seguì, e fattaglisi da un lato, «Mi figuro,» gli disse, «quanto vi sarà sembrato lungo l’aspettarmi! Or via fatevi in qua sotto il bujo dei rami di questa pianta, che nessuno ci veda.»

Saízo parlò a bassa voce: «Confermando quel che jeri fu detto così alla sfuggita, consentite voi positivamente a mettervi al mio [p. 31 modifica]servizio in qualità di sonatrice e cantante, per cento riô3

«Sì. Con cotesto danaro potrò finalmente fornire comodi mezzi di curarsi da una grave ed ostinata malattia alla suocera della mia sorella maggiore. Ora però, mentre io acconsento a vender me stessa, direte voi: V’è qualcuno che possa opporsi? No. Mio fratello maggiore,4 che ne avrebbe il diritto, saprà bensì la cosa dopo l’accaduto; ma fintanto che io non sarò a casa vostra, egli non ne avrà alcun sentore. Ecco perchè io mi son fatta dare da voi questa obbligazione [p. 32 modifica]scritta, e dopo aver trafugato il sigillo di mio fratello, ve l’ho impresso di mia propria mano.»

Così dicendo mostrava il foglio, e Saízo fra maravigliato e commosso, «Aveste pienamente ragione,» soggiunse, «di richiedermi jeri che si facesse una scritta. Io credo poi che non v’abbia al mondo un’altra fanciulla così pia, così amorosa dei congiunti come voi siete. Coltivando cotesti nobili sentimenti voi sarete premurosissima nell’adempire i vostri nuovi doveri. Diman mattina dunque verso le dieci verrò con portantini e bussola a prendervi. Allora voi mi darete cotesta scritta, io vi consegnerò la somma, e così tutto andrà in regola, non è vero?»

«Io vi ringrazio di cuore. Adesso devo aggiungere, che alla [p. 33 modifica]mia povera madre,5 cieca affatto com’è, io darò a credere che parto per occupare un officio nella casa d’un nobile. In questo modo avrò anche il suo consenso. Voi dunque in presenza di lei vi studierete di tenere un linguaggio formale e sostenuto, come veniste per un messaggio da Samurai: e così farete che la mamma se n’abbia a rallegrar tutta.»

Qui la fanciulla volse da una parte gli occhi bagnati di lacrime; e l’altro, sentendo pur compassione di quel cuore afflitto, col tuono di chi confonde le parole con un riso forzato, continuò:

«Orsù, non istate a pensare a malinconie. È questo il caso di [p. 34 modifica]ripetere quel comun detto: — Secondo la fortuna, si va in lettiga dorata o in umil bussola.»

«Ebbene, io vi saluto, mio buon padrone.»

«Addio a dimani, buona giovane.»

E Saízo si allontanò frettolosamente.





Note

  1. Suppongo che intenda le belle donne. Veggasi la nota 2, a pag. 21.
  2. Anticamente chiamavasi Nániva il territorio dove oggi sorge Osaca, nella provincia di Sez. — Scima-no-ucci è luogo vicino ad Osaca, e, per quel che si può raccogliere dal contesto, lo stesso che Ucci-no-scima, nominato a pag. 19, e chiamato altrove anche Dògima.
  3. Il riô d’oro vale sulle 20 lire italiane.
  4. Chiama così, a quanto pare, il marito di quella che poc’anzi ha chiamata sorella maggiore, la quale, come vedremo, non è sorella.
  5. Così chiama la suocera della supposta sorella.