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Werther (1873)/Prefazione

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Prefazione

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Johann Wolfgang von Goethe - Werther (1774)
Traduzione dal tedesco di Riccardo Ceroni (1873)
Prefazione
Avvertimento Parte prima
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PREFAZIONE

DETTATA DALL’AUTORE DEL WERTHER

ED INSERITA

NELL’EDIZIONE GEBHARDT E REISLAND DI LIPSIA, 1852.



E pur di nuovo alla serena luce
Ti avventuri del giorno, ombra compianta!
E sui prati, che or or fiorìa Natura,
Mi movi incontro del mio sguardo fida,
Qual se tu ancora nel mattin vivessi
Che la rugiada in sul margo medesmo
Rinfrescatrice sovra noi piovea;
E dopo la dïurna acre fatica,
L’ultima fiamma del grand’astro il core
All’estasi ci aprìa soavemente.
A qui ristarmi, e tu al partir sortita,
Mi precorrevi, nè perduto hai molto.
Un roseo sogno a noi sembra la vita,
Come amoroso il dì, la notte augusta!
E noi, discesi da’ celesti gaudii,
Noi del Sole miriam la gloria a pena,

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Chè nell’intime viscere ci ferve
Cieca una pugna, or contra noi spietata,
Or contra tutto ci si accampa intorno,
E un desire un desir spegne — e no’l salda —
E fuori è notte allor che dentro è luce.
Ecco il vivo fulgor d’una sembianza
Vela a un tratto la torbida pupilla:
Ahi! la Fortuna è presso — e mal si scerne.
E pur l’uom di conoscerla s’affida!
E la queta beltà d’una gentile
Gagliardamente i sensi nostri assalta:
Lieto, qual ne’ suoi verdi anni infantili,
Primavera ei medesmo in primavera,
S’inebbria il giovinetto, e meraviglia
Di quel novo sentir. Guata a’ suoi fianchi:
Il mondo è suo. Fuor, nell’aperto, il caccia
Una ressa incessante e spensierata,
Nè inciampo nullo, non palagio o mura,
Gli vieta il passo. Come allegro stormo
Rade d’augelli le chiomate selve,
Dintorno all’amor suo così s’aggira,
Quasi librato a volo, ed agli eterei
Campi, che di buon grado egli abbandona,
Chiede un guardo fedele — e in lui riposa.
Ma troppo tosto ravvisato in pria,
Poi tardi troppo, ei sente il vol precluso,
Il vesco sente che gl’impania il piede.
Oh! il rivedersi è dolce, il partir grave,

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Più dolce ancora il rincontrarsi ancora,
E pochi istanti risarcir molti anni;
Se non che insidia al limitar l’addio.
Or tu, amico, patetico sorridi,
Qual ti convien: lugubre il tuo destino,
Cantammo il fero Val che ti diè fama.
A bene e mal tu ci lasciavi in terra,
E l’insecura labirintea via
Delle passioni a sè ne trasse, e avvolse
Vorticosa nel duolo: e finalmente
Ci separammo. Ah, il separarsi è morte!
Come pietosa al cor suona la nota,
Quando a fuggir di quella morte il dardo
Canta il poeta! Negli strazii affranto,
Ch’ei meritava in parte, un Dio gli assenta
Dir la storia del suo lungo dolore.1


Note

  1. Pare che l’Autore in questi versi alluda alla donna adombrata nella Carlotta del romanzo, la signora Kestner, ch’egli in tarda età rivide, e che di pochi anni lo precesse nella pace del sepolcro; ed a quel giovane Jerusalem, identificato nel protagonista, che fu amico del grande poeta, e si uccise il 30 settembre 1772, nel luogo stesso ove vivea la Carlotta — a Wetzlar, nella Prussia renana — con circostanze poco dissimili da quelle narrate in queste lettere. (Nota del traduttore italiano.)