Zecche e monete degli Abruzzi/Civitaducale

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VI.


CIVITADUCALE.


Se non ci rimanessero tuttavia le monete di Civitaducale, saremmo tentati negare la esistenza di questa zecca, della quale niuna memoria ci tramandarono storici e cronisti, ed ogni documento ricercherebbesi indarno. Fondata l’anno vigesimoquinto di Carlo II di Angiò, e con tal nome appellata in onore di Roberto allora duca di Calabria, Civitaducale, oggidì capoluogo di distretto nell’Abruzzo ulteriore II, cambiò più volte padrone durante il regno di Alfonso I di Aragona, ora aggregata agli stati della Chiesa, ora ritornata per trattati nei dominii del re di Napoli. Sotto il cui scettro trovavasi dal 22 marzo 1415, dopo la restituzione di Benevento e di Terracina al pontefice, allorquando, scoppiata nel 59 la congiura dei baroni, non volle seguitare il partito ribelle, ma tenersi ligia al suo re. Del che ci porge solenne prova il privilegio che quel monarca le accordava, accennato da Pietro Carrera, illustratore delle memorie della sua patria: «Glielo concesse Ferdinando I d’Aragona con diploma spedito a’ 8 d’aprile 1461, dopo la famosa congiura de’ baroni, nel tenor seguente: Conosciuto che Città Ducale per serbargli illibata la fedeltà avea patiti varj danni infertile da’ suoi ribelli e nemici, e considerando dall’altra il molto incommodo ed il dispendio di que’ cittadini nel dover condurre gli animali ne’ pascoli di Puglia, concede loro in perpetuo la grazia di poter liberamente, senza pagamenta di diritti e senza incorrere in pena alcuna, portare a qualunque pascolo anche fuori del regno ogni sorte di bestiami [p. 72 modifica]grossi e minuti»1. Non conobbe il Carrera niuna moneta della terra di cui fedelmente ogni memoria raccolse, perciocchè, attesa la molta loro rarità, non gli venne fatto mai di vederne di averne notizia. Due però qui ne produco nella quarta tavola, sotto i numeri 56 e 57, dal medagliere del Vaticano.

È l’una il doppio bolognino, analogo all’atriano di Matteo di Capua e al chietino, del peso di acini 31:

D. de civita * dvcali. Croce patente, precede la leggenda una imaginetta di torrione.

R. s. maiinvs. *. Santo vescovo ritto e di faccia, d. benedicente, s. lunga croce.

Non sarà malagevole a spiegarsi il significato del torrione, dappoichè esso costituisce la principal parte dello stemma di Civitaducale, quale vedesi nell’Ughelli2, che raffigura un principe incoronato e in regio paludamento incedente a cavallo verso una torre merlata, a’ cui piedi scorre un fiume; al sommo della torre tre fiordalisi orizzontalmente disposti, e sovr’essi il rastrello, tre altri alla punta dello scudo. Agli zecchieri di questa terra doveva importare, per assicurarsi lo spaccio maggiore della nuova moneta, e conseguentemente il maggior profitto, farla quant’era possibile somigliante alle analoghe di Chieti, di Camerino e di tante altre città soggette alla Chiesa le quali, avendo un santo vescovo a protettore, ne riproduceano sui conii loro la effige. Se Civitaducale vi avesse posta la B. Vergine, ed Atri santa Reparata o l’Assunta, il corso o, a meglio dire, la commistione delle loro monete con quelle che aveano preso ad imitare ne sarebbe stata dal troppo differente tipo impedita. Per tal motivo Matteo di Capua aveva scelto san Nicolò; e del pari il comune di Civitaducale adottava una consimile imagine, confondendo avvertitamente i caratteri della epigrafe, che potrebbon leggersi s. maximvs. ma forse meglio s. marinvs. [p. 73 modifica]Questo tipo, corrispondente all’atriano ed al chietino, ci annuncia che l’autonoma moneta di cui ci occupiamo fu battuta ardendo la guerra dei baroni, intorno al 1460.

All’epoca medesima, e di ciò ne convince eziandio lo stile, parimente appartiene il quattrino di bassa mistura che qui si descrive:

D. de.civita.d., De Civitate Ducali. Giglio di Firenze, sovr’esso il rastrello.

R. sant.manh'. Mezza figura di santo vescovo di faccia, d. benedicente, s. pastorale. Pesa acini 15.

Fu questo battuto ad imitazione del quattrino uscito la prima volta dalla zecca fiorentina per la provisione de’ 30 luglio 1332: Quod in zeccha civitatis Florentie cudatur bactatur et fiat quedam nova moneta nigra, quorum quelibet valeat quatuor denarios parvos seu picciolos, cuius monete figura sit hec, vidilicet: ex una parte ymago beati Johannis Batiste recte stantis, et ex altera parte lilium communis Florentie, que moneta in qualibet libra ipsius habeat seu teneat duas uncias argenti fini sive optimi, et decem uncias heris sive ramis3. Continuò gran tempo a Firenze lo stampo del detto quattrino, sostituita la mezza figura del santo alla intera, e fu singolarmente operoso verso il 1450. Ma, riconosciutasi poi l’opera di frodatori, cui mettea conto squagliare quella moneta per ridarla alla circolazione sminuita nel peso e deteriorata nella bontà, i signori della zecca di Firenze deliberarono nel 1472 impedirne la esportazione, fissando la bontà dei nuovi quattrini da farsi a non più di un’oncia e mezza di argento fine, e il peso di ciascun pezzo a grani 16 1/2 circa, mossi a ciò, come si esprime la relativa provisione statuita il sei novembre di quell’anno, conoscendo el mancamento che al presente si truova nella città, contado et distretto di Firenze di buona moneta nera, et volendo a tale inchonveniente riparare, acciò che il popolo [p. 74 modifica]abbia larghezza et chomodità atta et chonveniente di detta moneta, et che le monete forestieri di bassa lega et di picciol peso non ci abbino a moltiplicare et venire, et che la vecchia moneta buona non s’abbia a disfare in danno et pregiudicio della nostra città, e acciò che questo non abbia a seguire per l’avvenire4. Ora, chi potrà negare che anche la zecca di Civitaducale, nella sua corta durata, abbia adottato il sistema di male aggiustare i conii riputatissimi di Firenze, se ne abbiamo sottocchi l’incontrastabile documento nelle stesse monete? E mentre gli zecchieri d’altri paesi, rozzamente sì, ma più fedelmente, imitavano il tipo fiorentino copiandone persino le leggende, com’è provato dai quattrini falsi che tuttavia si rinvengono di quello stampo, e si appalesano fuor dubbio operati alla metà del secolo decimoquinto, que’ di Civitaducale, a coonestare l’artifizio usato, ponevano sopra il giglio di Firenze, tanto diverso dall’angioino, un picciol rastrello; riproducendo per tal modo infedelmente sulla moneta una porzione dell’arme del loro comune poc’anzi indicata, ed iscrivendo il nome del comune stesso nel giro; mentre dall’opposto lato, alla mezza figura del Batista, quella sostituivano ugualmente atteggiata del santo vescovo Marino o Massimo, che pure sul doppio bolognino vedemmo. Di tali servili imitazioni delle monete delle zecche più accreditate, operate nelle minori, la numismatica di tutt’i secoli ci porge biasimevoli esempii.

Note

  1. Carrera, Saggio topografico politico economico di tutto il distretto allodiale di Città Ducale, Aquila 1788, p. 69.
  2. Italia sacra, Venetiis 1717, I, 604.
  3. Orsini, Storia delle monete della repubblica fiorentina, Firenze 1760, p. 45 e 46.
  4. Orsini, o. c., p. 239.