Zoroastro/Nota storica
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NOTA STORICA
Anche lo Zoroastro doveva far parte delle nove “rappresentazioni” per l’anno comico 1759-60, immaginate dal Goldoni nel viaggio di ritorno da Roma, consacrate alle nove Muse. Da Bologna così ne scriveva l’autore a S. E. Vendramin, proprietario, come sappiamo, del teatro di San Luca: “Urania presiede all’Astronomia, e per questa ho già preparato servirmi di Zoroastro Re dei Battriani, che in forza di una predizione astronomica dicesi arrivato al trono, pensando io per altro a smentire, e porre in ridicolo queste predizioni astronomiche. Lo stile di questa seconda Tragicomedia sarà in ottava rima, stile proprio per simili rappresentazioni; e questa ancora soffrirà qualche spesa, ma sopra di ciò mi riserbo parlare più a basso” (D. Mantovani, C. Goldoni e il teatro di San Luca a Venezia, Milano, 1885, pag. 124).
E la Musa del cielo cosìesi in fatti cantò in brutti versi nel Monte Parnaso che servi di Introduzione alle recite autunnali del ’59 (Venezia, Pitteri, 1759, pp. 10-11):
Questo celeste ammanto
Sparso di Stelle, e del Zodiaco il cerchio
Che mi cinge le tempia, e il Terreo globo
Bastivi a ravvisar, che Urania io sono,
Musa che gli astri penetrare ha il dono.
D’Astronomici arcani,
Forse talor veraci,
Spesso però mendaci,
Nuovo soggetto a vagheggiar v'invito,
Collo stil grave al dolce riso unito.
Zoroastro de’ Battriani al trono
Narran le storie spinto
Dal violento presagir degli astri.
Ma terminò in disastri
Il suo poter sovrano,
E gli servì cotal scienza in vano.
Di lui valermi intendo
Nel Scenico lavoro, e di que’ stolti
Che dalle occulte costellazioni
Osan dell’avvenir trar le ragioni.
Sarà l’ottava rima
De’ miei Carmi lo stil. Novella foggia
Per lo Teatro, è vero,
Ma non ingrata agli Uditori io spero.
Ignoro per quali ragioni, se per colpa della censura o d’altro, l’autore rimandasse al futuro anno la recita dello Zoroastro: consiglio buono fu quello di scrivere in versi martelliani la nuova tragicommedia, non già in ottava rima. a mo’ delle antiche Devozioni, come stranamente aveva pensato il dottor Carlo. La prima rappresentazione ebbe luogo la sera del 24 novembre 1760, col titolo Il Zoroastro Re de’ Battriani; e Gasparo Gozzi, che a Venezia aveva iniziato la critica teatrale, s’affrettò a darne notizia ai lettori nel numero 85 (26 novembre) della Gazzetta Veneta.”In essa si veggono“dice il conte Gasparo parlando di questa tragicommedia”alcune scene, che ben mostrano d’esser di mano d’un autore peritissimo nell’arte del piacere al popolo; e sono un imitazione dell’Alessandro nell’Indie. Non parve però che agli spettatori la rappresentazione gradisse da capo a fondo. Chi trovò che troppo frequenti fossero i discorsi d’astrologia, chi la fine non essere debitamente sviluppata. Soprattutto il carattere di Semiramide non fu gradito. La colpa è forse della tragicommedia, componimento per sè mostruoso“(v. ed. per cura di A. Zardo. Firenze, 1915, pp. 360-361). E qui il Gozzi, dopo alcuni savi ragionamenti, conclude:”I teatri oggidi chieggono varietà, e si tenta ogni via per variare. Quanto dico è un capriccio. Nessuno più di me stima l’autore, il quale nelle commedie non sarà mai pareggiato“.
Nel numero seguente della Gazzetta si legge una lunga lettera”al Gazzettiere d’un tale che si nasconde sotto il nome di Oreofilo, ma in cui è forza riconoscere il Gozzi stesso: “...So che la tragicommedia intitolata Zoroastro Re de’ Battriani” scrive il finto solitario “non è stata dagli spettatori troppo gradita, e che l’Autore non è stato con troppa carità trattato dagli amici suoi medesimi”. Ottimo il consiglio che Oreofilo dà al Goldoni, e coincide con quello che si deduce dalle parole che abbiamo letto più sopra: “Se io fossi amico confidente dell’Autore, vorrei pregarlo di far sempre uso della sua propria fantasia, la quale in genere comico è impareggiabile, e tenersi lontano da fatti storici, nelli quali l’abito da lui fattosi del verisimile. non mai gli permetterà di maneggiare la verità con quella forza che senza degenerare nel maraviglioso e nell’inverisimile in fatti veri e di loro natura non forti, non può urtare e mover gli spettatori”.
E più sotto: “Se voi dunque siete amico confidente dell’Autore, ditegli che non potendo indurre l’animo suo a far delle cose sfigurate e contradditoriamente maravigliose, tralasci d’assecondare e le novellette degli amici e fatti storici, e faccia uso di quell’impareggiabile pennello, che Natura gli ha posto in mano, e che egli con lo studio e coll’arte ha perfezionato, e dipinga la Natura in quella prospettiva che, senza mancare al verisimile per sua dote particolare, possa colorire con quella forza di tinte, con le quali da tanto tempo ammaestra e piace” (ed. cit., pp. 365-366). Eccellente consiglio! e ci avviene di pensare che se il Goldoni ne’ due ultimi anni del suo soggiorno a Venezia, lasciate da banda le mostruose tragicommedie, creò la Casa nova e la Buona madre e le Villeggiature e il Todaro e le Baruffe chiozzotte e Una delle ultime sere di carnovale, gioielli del teatro veneziano, un pochino di merito l’ebbe con la sua Gazzetta il buon Gasparo Gozzi, primo cronista e critico del teatro italiano.
Maggior curiosità ci desta, nello stesso numero, una lettera aperta del Goldoni Al Gazzettiere. "Vi ringrazio" dice il buon dottore al Gozzi "del molto bene. e del poco male che avete detto del Zoroastro. Che le scene che parlano un po’ troppo alla lunga di astrologia sieno riescite stucchevoli mi dispiace, ma non mi offende. Che la fine della commedia non sia stata debitamente sviluppata, chi lo dice avrà la sua ragione per dirlo, nè io presumo di vedere di più al tavolino, di quello che veder possano gli uditori in teatro... Mi fece per altro grandissima specie la prima sera della rappresentazione un certo mormorio di voci nell’uditorio, che mi parvero mosse da irritamento e disapprovazione, allora quando Semiramide aggiunse alle altre sue macchine quella di accusare Nicotri" (l. c., pag. 367). L’autore vuol difendere la sua eroina; ma poi modestamente aggiunge: "Tuttavolta il pubblico è un giudice assai rispettabile, e se la condanna sul fatto è partita da bocche sincere ed animi spassionati, li lodo, li ringrazio e studierò di approfittarmene. Benedetti coloro che dicono la verità. Da essi ho appreso più d’una volta a migliorare le cose mie, e so di non aver imparato abbastanza, e chiunque m’illumina fa cosa grata a me, al pubblico ed a se stesso". Degna di nota e piacevole la fine: "Supplico voi pertanto, sig. Gazzettiere amatissimo, non cessare di dirmi la verità e d’istruirmi: ma, per amor del cielo, vi prego altresì non pormi in sì mala veduta presso le signore donne, addossandomi che col carattere di Semiramide abbia inteso di satirizzare sopra di esse, sendo io rispettosissimo e tenero ammiratore del loro sesso" (pp. 366-368).
Che poteva mai replicare il Gozzi a un discorso così onesto? "Amico stimatissimo - Che risponderò io, essendomi dato così breve tempo? La lettera da voi scritta fa onore al vostro ingegno e al costume. Le poche parole da me dette intorno al Zoroastro, furono stimolo della mia amicizia. Vorrei che le cose da voi dettate, fossero tutte splendore e quali ne ho vedute tante uscire dalla vostra penna; ed essendo avvezzo a sentirvi commendare universalmente, vorrei che così fosse sempre. Parlo di cuore, sono sincero e spero che mi crediate ora e sempre ecc." (pag. 368. l. c. - Questa lettera e quella precedente del Goldoni ristampò il Malamani nei Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887. pp. 177-179. Cfr. G. Damerini, nel “numero straordinario” della Gazzetta di Venezia, 4 dic. 1913, e A. Zardo, Teatro Veneziano del Settecento, Bologna. 1926. p. 68).
Non a caso segue nella Gazzetta, subito dopo, l’annuncio di una nuova azione scenica del Chiari, La navigazione d’Enea, con questo laconico commento: "È tratta dall’Eneide di Virgilio. Disjecti membra poetae". Poi. non si dice chi, ma è il Gozzi stesso, racconta al Gazzettiere certo caso che gli accadde proprio alla prima recita dello Zoroastro: è la descrizione della famosa piova degli sputi dai nobili palchetti del San Luca sulla platea. Raccolgo ancora questo cenno dalla Nuova Gazzetta Veneta dello Zanetti, numero 44 (11 agosto 1762): "...Il Zoroastro. Tragicommedia del Sig. Goldoni e la Bella pellegrina, Commedia del Sig. Ab. Chiari, quando furono provate, fecero sperare un concorso ben grande, et un lucro grandissimo alli Comici, ma poi non restarono appagate le loro speranze ".
Un Zoroastro, tragedia di 5 atti per musica, aveva stampato in Francia nel 1712 Le Brun. Molto più fortunato quello. pure in 5 atti. del signor di Cahusac, musicato dal Rameau e rappresentato la prima volta a Parigi ai 5 dicembre 1749 dalla R. Accademia di Musica (v. Nouvelles littéraires dell’ab. Raynal, in Correspondance littéraire etc. par Grimm, ed. Tourneur, vol. I, 1877, pag. 385): rimesso sullo stesso teatro, con opportuni tagli e ritocchi nella poesia e nella musica, e con esito felicissimo, ai 20 gennaio del 1756 (v. specialmente l’Année littéraire di Fréron. MDCCLVI, t. I, lettre X) e nuovamente ai 26 gennaio 1770, per l’apertura del nuovo teatro dell’Opéra del Palais Royal (v. Correspondance Grimm, vol. VIII, 1879. pp. 449-451). È noto che nel 1751 l’avventuriere Casanova, il quale si trovava a Parigi, tradusse in italiano lo Zoroastro di Cahusac per invito dell’ambasciatore del re di Polonia, Elettore di Sassonia (Mémoires, vol. II, pag. 354 dell’ed. Garnier). Il libretto fu stampato a Dresda nel 1762 (vedi A. Ravà, Le opere pubblicate da G. Casanova, in Marzocco 9 ott. 1910); e l’opera fu rappresentata ai 7 febbraio sul regio teatro della capitale sassone da Zanetta (Giovanna) Casanova, madre dell’avventuriere (la ricorda Goldoni, Mémoires, t. I. ch. XXXV) e dal celebre Cesare D’Arbes (Rasi, I Comici Italiani, Firenze, 1892, vol. I. pag. 196. Per questo episodio v. anche Ch. Samaran, Jacques Casanova vénitien, Paris, 1914, pp. 71-75).
Un audace romanzetto filosofico col titolo di Zoroastro stampò da giovane, nel 1751, il famoso cavaliere di Méhégan (Raynal. Nouvelles littéraires, l. c., vol. II, pag. 60); e pare gli costasse la Bastiglia (v. Barbier): la traduzione italiana, più o meno espurgata, uscì a Bologna nel 1855 (Marchesi, Romanzieri e romanzi italiani del Settecento, Bergamo, 1903, pag. 422). Curioso riesce certo passo nel romanzo della Ballerina onorata, pubblicato dall’abate Chiari fin dal 1754. La ballerina va a Parigi, a teatro. "Il libretto" dell’opera che si cantava "avea per titolo il Zoroastro... Sin dal principio mi fece da ridere la bizzarria del Poeta, di metter in iscena un Filosofo e un Mago della più venerabile antichità a farci il buffone, ed isfogar cantando l’amorosa passione per la sua bella tiranna, onde impetrarne pietà. Se andiamo di questo passo, io diceva meco medesima, presto vedremo in Teatro anche i Licurghi, i Soloni, gli Aristoteli, i Platoni ed i Socrati a dettar in musica lezioni di antica filosofia, e nell’istesso tempo delirar per amore" (t. II. pag. 65 della 2 ed., Venezia, 1757). Curiosi questi scrupoli dell’abate Chiari! Ma il Goldoni non ricordava, nè probabilmente aveva letto, questa pagina dell’abate bresciano.
Ben si ricordò, come il Gozzi afferma, di un fortunatissimo melodramma del Metastasio, Alessandro nell’Indie, recitato la prima volta a Roma nel dicembre del 1729, con musica del Vinci: poichè l’Alessandro e lo Zoroastro, spogliati del falso scenario storico, rappresentano alcune scene d’amore e di gelosia. Nulla nella tragicommedia goldoniana deriva dall’opera di Cahusac. dove si svolge la lotta fra il ministro del bene (Zoroastro) e il ministro del male (Abramane), rivali anche in amore. Il Goldoni ha introdotto un duplice dramma di gelosia, di Nino fremente per Semiramide (così Poro è geloso di Cleofide nell’Alessandro del Metastasio) e di Nicotri che freme per Zoroastro: come Jarba nella Didone e re Poro nell’Alessandro, così pure Nino si nasconde sotto finto nome. In generale l’autore ha abbassato il livello de’ personaggi credendo di renderli più naturali e più vivaci con toglier loro il sussiego tragico e con l’avvicinarli al tono familiare della commedia; ma non è riuscito in nessun modo a infondere un soffio animatore in quei fantocci di cartapesta. Nicotri ricorda invano la furente Ircana, chè i trionfi delle tre Persiane non tornarono più. Troppo inverosimile, troppo ingenua l’azione. Anche le lezioni d’astronomia, diremo così, che annoiarono il buon pubblico, non si elevano al di sopra del puerile teatro del Chiari. Un personaggio del Chiari sembra pure il ridicolo Sidone. Nè il verso martelliano portò questa volta fortuna.
Eppure storicamente queste tragicommedie goldoniane non sono senza importanza. Anche se Zoroastro manca d’ogni grandezza, anche se Nino è un debole personaggio metastasiano. Semiramide ha l’animo forte e pronto ad ogni audacia ("...Son donna, è ver, ma tale. - Capace d’ogni impresa per rendermi immortale": a. II. sc. 7). Ella vanta, di fronte alla principessa Nicotri, la sua umile nascita e il proprio merito. Altro che la povera Pamela! (vol. V. pp. 81 e 104).
Non sorti dalla culla. qual tu, regal splendore.
Ma altrui mi fero nota la forza ed il valore;
E a fronte di chi ostenta qualche splendor natio,
Posso dir francamente: quello ch’io vanto, è mio.
Questi due ultimi versi sembrano proprio sorgere, come un grido spontaneo, dal cuore di Carlo Goldoni.
I doni della sorte han cambiamento alterno,
La gloria conquistata suol vivere in eterno.
Chi regna senza merito, cade in oblio profondo.
Ma la virtù sussiste anche distrutto il mondo. (a. II, sc. 6)
Cotesto rimbombo frugoniano ci ricorda altre audaci affermazioni dell’abate Chiari. Come Mirandolina e come Ircana, così Semiramide conosce il suo potere femminile e gode del suo trionfo:
Vincasi col rigore. vincasi col pianto,
Bastaci conseguire della vittoria il vanto. (a. IV, sc. 5)
Ma il Goldoni difende le donne dalle accuse dello stolido Sidone (vedi specialmente il soliloquio di Corina in fine della sc. 3. a. IV) e nell’ultima scena fa loro un complimento per bocca dello stesso Zoroastro.
È cosa strana ritrovare lo Zoroastro fra le commedie che la compagnia Roffi recitava fra il 1770 e l’80 nel teatro di via del Cocomero a Firenze (Rasi, I Comici Italiani, vol. I, pag. 703). E proprio quello del Goldoni? Dalle povere ollave, con le quali il comico Jacopo Corsini illustrò il repertorio della compagnia, pare di no (ciò mi comunica l’amico Edgardo Maddalena). Poichè a stampa uscì solamente nel 1793, poco dopo la morte dell’autore, nel tomo XXXII (XI della 3ª classe) dell’edizione Zatta di Venezia: una ristampa ne fece tosto a Bologna il Lucchesini, altre se ne fecero nell’Ottocento, ma nè attori, nè critici si curarono più di questo infelicissimo saggio della musa tragica che il grande commediografo veneziano esibì ai concittadini sul palcoscenico di San Luca per appagare la smania di novità, per accontentare la Bresciani, invincibile Ircana, e il paron Vendramin, nove mesi dopo la recita dei Rusteghi e pochi giorni prima della Casa nova.
G. O.