Avea più volte udito

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Canzoni Letteratura Avea più volte udito Intestazione 25 aprile 2023 75% Da definire

Quando il mel de' lor concenti Già co' bei raggi dato bando al gelo
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


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VII

per l'altezza serenissima

granduca di toscana


Lodasi la suà benignità.


Avea più volte udito
     Di Climene la prole,
     Che fu suo padre il Sole;
     Onde tutto invaghito
     Di vagheggiare il Genitor sovrano,
     Volse le piante all'immortai sua Reggia,
     Onde splendor fiammeggia,
     Che sostener non può lo sguardo umano;
     Quindi, perché Fetonte
     Renda contento il suo desire audace,
     Senza che il troppo lume i dì gli oscuri,
     Tolse dall’aurea fronte
     Il diadema di rai Febo sagace,
     Quasi per lui non più risplender curi,
     E sicuro fissò l'avido figlio
     Nel temprato splendor l'infermo ciglio.
Or Febo a me consenti,
     Ch'io prenda i lampi istessi,
     Che hai deposti, e con essi
     Rischiari altrui le menti;
     E mostri a' Grandi, che del fasto altero
     Denno i lampi depor, che ogni occhio abborre,
     E più benigni accorre
     Chi servo nacque al lui sovrano Impero:
     E 'n tal guisa temprata
     Tener la maestà del regio aspetto,
     Che non offenda con soverchio lume;
     Poiché stende e dilata
     Sovra d’ogni soggetto
     Il dominio, che ha l'uom, sì bel costume.
     Mentre non pur sulle corporee salme,
     Ma gli dà nuovo scettro anco sull’alme.
Ah neghi l'aria il suono
     All'esecrabil voce,
     Che superbia feroce
     Chiama a regnar sul trono;
     Quasi rassembri maestà cadente
     Quella, che non sostiene l'arco del ciglio,
     E non chiama a consiglio,
     In qualunque opra sua fasto insolente
     Stoltezza! ha d’uopo solo
     Mendicar dall’orgoglio onore e stima,
     Chi senza lui di vilipendio è degno.
     Ma taccia il folle stuolo,
     Che cotanto lo stima,
     Che de' Regnanti il fa primo sostegno;
     E perchè muto resti a forza, in prova
     Di mostrargli Fernando, o Clio, mi giova.
Mira con'ei s’affida
     Sulla propria grandezza,
     Nè mai vana alterezza,
     Entro al suo cor s’annida,
     Ve' come alfabil regna, e con qual’arte
     I lampi, ond’ei risplende, in sè nasconde,
     E l’invidia confonde,
     Che si sente cangiar natura in parte;
     Mentre per lui si vede,
     Senza l'usato fiele, oggi compagna
     Dell’altrui morto e dell'altrui fortuna;
     Che d'essa ei fatto crede,
     Perchè grande rimagna
     Con dolce sol senza amarezza alcuna:
     Io, che di ciò son testimon fedele,
     Nel mar delle sue lodi apro le vele.
Ma nel mover dal lito
     Ecco vento che spira,
     E ben tosto ritira
     Dal corso il legno ardito,
     E bella Clio, che a’ miei pensier dà legge.

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     E ne vienn meco, dal cammin m’arretra:
     Dice, che roca cetra
     Mal fa, se d'un Eroe l'imprese elegge;
     Che a sublime virtude
     Chiara tromba si dee, che quando suona,
     Le sue sconfitte intimi a morte istessa.
     Mentr'ella i labbri chiude,
     Ogni rio d'Elicona
     Secco a mio prò tosto diventa, e cessa
     L’audace suono, e de’ suoi pregi intanto
     Dura in me lo stupor, se ha fine il canto.