Delle Stelle

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Poemetti Letteratura Intestazione 11 settembre 2023 75% Da definire

Le Meteore Il presagio de' giorni
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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VIII

DELLE STELLE

AL PRINCIPE D. CARLO MEDICI

CARDINALE.

     Carlo, che non sdegnando il bel Parnaso
A me ti fai benignamente appoggio,
E mi scorgi su lui con man cortese,
Mira per te come trasvolo, e come
5Varco le nubi, e delle stelle accese
Quante ne suol mostrar notte serena,
Noto gli alberghi, e ne racconto il nome;
Non t’incresca l’udir: cosa terrena
A’ tuoi sacri pensier nulla conviensi;
10E dell’Ostro immortal sparso le chiome
Siedi sul Vatican, dove altri volge
Dell’alto ciel la sacrosanta Chiave:
Di lui per tanto, e de’ suoi varj lumi
Oggi alquanto ascoltar non ti sia grave.
15Allor che l’alto incomprensibil Dio
Col suo volere onnipotente, eterno,
Creava l’universo, ei si rivolse
Sul quarto giorno alle già fatte Stelle,
E le cosparse di gran lume, e loro
20Fece di più bei lampi il volto adorno:
Nè s’appagò, che cielo ampio e sublime
Avesse tanti lumi in suo governo,
Traendo lor con sua rattezza intorno
D’Orïente mai sempre in Occidente
25Sovra i poli del mondo, anzi diè legge,
Che contra quel cammin le fiamme erranti
Fossero in giro volte, e seco insieme
Si volgessero gli astri scintillanti:
Quinci coll’almo ciglio, onde ei corregge
30La gran milizia de’ creati spirti
Nell’alto a sè chiamolli, ed essi intenti
Coglieano il suon degl’immortali accenti;
Ed ei diceva: Abitator celesti,
Quando a me stesso piacque, io mossi ad opra
35D’infinita possanza, e posi in stato
I bassi campi, e questi eterei regni,
Perchè di mia bontate, e di mia gloria
Segni fossero altrui ben manifesti:
Ma questi lumi infino a qui son degni
40Stati d’un solo corso, e vanno appresso
Dell’altissimo Cielo al movimento;
Ed ora io vo’ fermar, che lor concesso
Sia nella stessa via sentier diverso
Sotto altra scorta, onde a’ mortali in terra
45Spargasi più conforto, e si comparta
Al fin perfetta forma all’universo.
Dunque del valor vostro omai sian cura
Lor movimenti, e sì temprate i giri
Di queste eccelse, belle e nobil sfere:
50Che fallo ne’ lor corsi unqua non miri:
Sì fatta cura seminar piacere
Vi dee nell’alma, e farvi il cor giocondo,
Perchè sono io che ve l’impongo, e poi

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Perché di qui se ne migliora il mondo;
55Ma non per tanto io vi fo certi; udite
La voce mia, che al destinato tempo
Verace fia: non dureravvi eterna
La cura imposta; e si vedrà che un giorno
Le rivolte del ciel saran fornite.
60La destra mia, che a suo voler governa,
È per destare incontrastabil foco
Sovra l’immenso volto della terra,
E di quel fiero incendio ai forti lampi
Distruggerassi ogni abitato loco:
65Atterreransi i monti, e senza schermo
Diverran secca polve e valli e campi.
Quinci al sonar di formidabil tromba
La già condotta a morte umana gente
Farassi viva, e per giudicio orrendo
70Salterà fuor della funerea tomba:
E quinci parte nei celesti alberghi
Eternamente raccorrassi, parte
In fiamma, in zolfo nei profondi abissi
Proverà di giustizia orribil’arte
75Sotto l’impero dei demonj. Allora
Mirerassi ogni moto in ciel posarsi:
Così da prima eternamente piacque
All’alto mio consiglio: Ei più non disse,
E lieto volse gli occhi eterni altrove
80Fisso pensando; e non sì tosto ei tacque,
Che gli Angioli dimessi al primo detto
Chinaro il tergo, indi con voglia ardente
Al divino voler diedero effetto.
Quinci non pur dall’Orto in vér l’Occaso
85Fassi il cammin delle stellanti rote,
Ma nell’istesso tempo inegualmente
Volgonsi i cerchi luminosi ancora
Dal Tago al Gange, ed or da presso all’Austro,
E carcollo d’acciar, terribil asta
90Or gli veggiamo avvicinar Boote.
A sì fatto girar, gran meraviglia!
In sè stesso discorde, e sì costante
I figliuoli di Adam volser le ciglia
Volgendo gli anni, ed appellaro a nome
95Quelle alme fiamme, ed a pigliar non lenti
Ne fûr conforto, ed a schifare affanni.
Però non sempre d’Oceán nel grembo
Spande le vele il buon nocchiero a’ venti:
Ed il discinto villanel, che scuote
100L’auree spiche di Cerere, prevede
Se correrà diluvioso nembo:
L’aria infiammando, e d’Anfitrite i campi,
E sulla terra de’ mortali i cori,
I cari imperj suoi tien Citerea;
105Ed ella sparsa di nettarei lampi
La bella fronte, e fra vïole il seno
Velata appena incomparabil move
Di varie gemme circondata i fianchi.
Tal volta chiama dagli Esperj liti
110Le tacite ombre della notte, e porge
Soave requie agli animanti stanchi:
Tal volta il giorno ella precorre, e sorge
Fra le fresche rugiade dell’Aurora,
E sulle piume di nevosi cigni
115Le fosche nubi del mattino indora:
Del ciel possiede il quarto regno, e corre
In fra le vie de’ sei pianeti il Sole
Fonte dell’aurea luce, almo a mirarsi,
Quale mirarsi suol sposato amante,
120Che vêr l’albergo d’Imeneo s’invia,
E rapido sen va, siccome suole
Affrettarsi in cammin forte gigante;
E da lui, che or vicino, ora discosto
Imprime l’orme con viaggio alterno,
125Vien, che diletta di Favonio appare
La di fior coronata Primavera:
Poscia lei, che le spiche avea in governo,
Arida Estate; e pampinoso i crini
Il padre Autunno liberal di mosto;
130Al fin tra ghiacci assiderato il Verno.
Presso il regno Febeo tien suoi confini
Marte, che errando per l’Eteree strade
Dall’acceso Piroo lunge non parte;
Seco le piaghe, e le discordie e l’ire
135Accompagnò la favolosa etade,
E sa se deve il guidator d’armenti
Dai rozzi alberghi allontanare il piede,
Mirabil cura! or con novelli accenti
Racconterò di quegli ingegni eccelsi
140I lunghi studj, ed ornerò le tempie
Con vaghi fior, che in Elicona io scelsi:
Il più vicin, che alla terrestre mole
Lume si volga è della Luna il carro,
Ch’or povera di raggi, ora superba
145Di molta luce i corridor suoi sferza,
Ed orgogliosa si pareggia al Sole.
Sovra quel primo cerchio il cerchio gira
In che Mercurio, ambe le piante alato
Celeste araldo, fiammeggiar si mira
150Oscuramente; indi salendo in alto
Vago spazio di ciel via più beato,
Apresi al guardo di sereni ardori
Piaggia, che di bei rai l’alme ricrea:
Quivi reina de’ celesti amori
155In man gli pose, e gli guerniva il tergo,
E l’ampio petto di diaspro, e d’oro
Lucente, ardente, occhiabbagliante usbergo:
Ma Giove, a cui nel volto arde sereno,
Che gli spiriti altrui desta a gioire,
160Passeggia i campi della sesta sfera;
Saturno è sopra lui, che a passo lento
Forma i vestigi; e pien di rughe il volto
Trema le membra, ed ha di neve il mento.
Cantan di Pindo le piacevol Ninfe,
165Che a lui già fu dei regni il seggio tolto,
Onde vivesse peregrino in terra;
E per quei giorni tribunale odioso
Grave discordia a’ cittadin non erse;
Nè solean trombe insanguinar la guerra,
170Nè piangea madre in sul figliuol sepolto
Per l’aspre piaghe delle spade avverse.
Sì fatti alberghi per li sette erranti
Almi splendor la vecchia età distinse:
Ma sovra lor di quelle terse, e pure
175Schiere di fissi lumi, onde risplende
La scintillante regïon celeste,
Otto, e quaranta immaginò figure,
Di cui la lingua, che a parlarne prende,
È giusto, Urania, che ti chiegga aita.
180Adunque, o Diva, che in cerulea veste
Voli succinta, e tra purpuree rose
Del crespo crin l’oro immortal circondi,
Tempra le corde, ed armonia m’inspira
Atta a cantar le meraviglie ascose:
185Temprale sì, che non le prenda in ira,

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Come suono vulgar l’inclito Carlo;
Carlo, onde io pregio la mia cetra, e muto
Sembro a me stesso, se di lui non parlo.
Due punti son nel ciel, che giuso in terra
190Chiamansi Poli, ed è ciascuno immoto:
Ma non per tanto sovra lor si volge
La macchina del ciel cotanto immensa:
Un stassi verso Borea, ed è ben noto
A’ cittadin dall’Emisperio nostro;
195L’altro per noi mai non si scorge, e fassi
Manifesto a quei popoli, onde spira
Il tepido Austro dall’Eolio chiostro.
Di più nell’alto campo, ove è cospersa
Tanta milizia di notturne stelle,
200Ammirabile fascia si raggira
Obbliquamente, ed a’ Rifei conversa
Ora s’appressa, ora di Libia a’ regni;
Gran conforto del mondo, ella dispiega
Composta di fulgor dodici segni.
205Primier con terse lane a mirar liete,
Ed il dosso gentil ricco di stelle
Movesi l’Arïete: ei caro a Marte
Vibra le corna con altier sembiante,
Del Greco Frisso alta memoria, e d’Elle.
210Segue suoi passi il Tauro, ed ha cosparte
Di vario lume le robuste spalle;
E con bella aura di muggiti ei desta
Zefiri dolci, e per fiorire i prati
Ad april, che ritorna, allarga il calle.
215Poi l’alma prole, ed ad un parto nati
Aurei Gemelli, e poscia move il Cancro
Con otto piè su per l’etereo smalto;
Ma quasi i suoi splendor son tenebrati:
Costui l’aspro Leon non abbandona:
220Aspro, ma nobil di stellante foco,
Tutto avvampando, se ne va per l’alto.
Vago di tanti rai qui tosto ha Febo
Ampia magion, cui non minaccia il tempo,
Ne gli anni unqua non stanchi hanno ardimento
225Incontra lei d’apparecchiare assalto;
Così fondata, e d’ogni intorno è forte.
Qui di vivi rubin logge trecento
Ardono di piropi, e il pavimento;
Scolpite di diamante alte colonne
230Reggono i tetti, e son zaffir le porte.
Fassi poscia veder la bella Astrea
Inclito pregio dell’Eteree donne:
Ella già visitò gli egri mortali
Quando fur giusti, e non faceano oltraggi.
235Ma poi schifa di piaghe, e di rapine
Rapida colassù dispiegò l’ali;
Ed ora a quei, che già lasciò, viaggi,
Fatta amica dell’Arno, ella ritorna:
Tanto porge diletto agli occhi suoi
240De’ gran Medici il seggio, e tanto ammira
L’inclito scettro de’ Toscani eroi.
Appresso lei posta è la Libra, ed indi
Muovere i piè lo Scorpion si mira:
Indi il Centauro colla destra appare
245Armato d’arco, e dietro lui s’affretta
Orrido a rimirarsi il Capricorno.
Sotto costor non si travagli il mare:
Verna la notte nubilosa, e spuma
Il gran padre Ocean: con gran periglio
250Porterebbe nocchier le merci intorno,
Undecimo sen vien crespo le chiome
Regio garzon, che lucid’acqua spande.
E si dimostra al fin Gemino Pesce
Le pure squame di fin or distinto.
255Cotal circonda il ciel fulgida fascia
Obbliquamente, e di virtù ben grande.
Or chi desira ravvisare i lumi,
Di che si vede popolar l’Olimpo,
Erga l’orecchio ad ascoltarmi. Inverso
260Il Polo Boreal scorgonsi fissi
Non più che sopra venti astri lucenti:
Due son le due belle Orse: il terzo appresso
È quel dragon, la cui memoria in terra
Deono invidiar gli altri serpenti;
265Quarto è l’Artofilace: indi si gira
Fatta di nove stelle alma corona:
Poscia quel fier che s’inginocchia, ed alza
La durissima clava: indi è la Lira.
Vecchia fama tra noi dolce risuona,
270Che de’ suoi cari amor vedovo Orfeo
Trascorse del Pangeo l’aspre foreste;
E temprando col suon l’angoscia rea,
Te dolce sposa, te ne’ gioghi alpestri,
Te, se soggiorno, te, se annottò, piangea,
275E facea l’aure lagrimose, e meste:
Altro che rimaneva, onde conforto,
Onde ricercar tregua al duolo interno?
Come sforzar del ciel l’alto decreto?
E con quai pianti raddolcir l’inferno?
280Ben sette mesi alle Strimonie piagge
Fe’ sue querele, e sette gli antri Alpini,
Sorpresi da diletto al suo lamento
Corsero i tigri per udir vicini:
Tal per le selve rusignuol doglioso
285Lagrima i figli, cui rapì dal nido,
Ancor senz’ali, dura mano, ed egli
Sovra esso un ramo intra le foglie ascoso
Il ben perduto miserabil piagne;
E tutta notte rinnovando il duolo
290Empie de’ pianti suoi l’ampie campagne.
Nulla bellezza il vinse, ebbe a disdegno
Qualunque letto; e lagrimoso, e solo
Lungo le sponde de’ gelati fiumi,
E fra l’orror delle rifee pruine
295Traeva guai sovra il suo caso indegno:
Dalle repulse, quasi oltraggi, al fine
Arse le belle della Tracia armaro
La fiera destra; e per gli patrii campi
Dando orribile assalto all’infelice,
300Il bellissimo corpo empie sbranaro:
Allora il tronco busto Ebro volgendo
Tra’ gorghi inverso il mar, la nobil testa
Chiamò con fredda lingua anco Euridice:
Ed ivi l’alma in sulla fuga estrema
305Dicea con note ad ascoltar mal vive:
Ah misera Euridice! e d’ogni intorno
Pur Euridice rispondean le rive.
Tal Orfeo giacque; ma l’amabil Lira
Onde ebbe tante meraviglie il mondo,
310Nell’alto delle sfere oggi s’appende;
Ed al guardo mortale, alma memoria,
Con rai di nove stelle anco risplende.
Poscia l’albor delle famose piume
Dispiega il Cigno, e presso lui Cefeo;
315Indi vicin Cassiopea rivolge;
Ed Andromeda poscia il suo bel lume;
Ne meno i suoi fulgor vibra Perseo

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Mirabilmente: non lontan fiammeggia
Chi sulle rote carreggiò primiero.
320Vedesi poscia un che terribil strigne
Serpente intorto; indi lo stral lampeggia,
Cui già ripose Alcide in sua faretra:
E poscia degli augei l’alta Reïna
Allarga i vanni, e ne’ celesti alberghi
325Chiare fiammelle per suo pregio impetra:
Quinci è vago veder l’umana belva,
Per cui vinse Arïon l’onda marina.
O di frale tesor malvagia sete,
A che non traggi i petti? Avara turba
330A prieghi fatta, ed a querele sorda
Già sospingeva il giovinetto in mare.
Ed ei dolente in sulla Lira accorda
Flebili note colla nobil voce:
Ed ecco vinta da pietate appare
335La gentil fera, e lo levò sul tergo,
E lo condusse alla Tenaria foce:
Quinci di sua pietà bel guiderdone
Gode il Delfin, che dalle salse spume
Levato al ciel per li leggiadri ingegni,
340Ha fra le belle stelle aurea magione;
Quinci il destriero, ed a mostrar poi viene
Le chiarissime penne il gran Pegaso:
L’alto Pindo con l’unghia egli percosse,
E ne fece sgorgar l’almo Ippocrene;
345Ammirabile fonte, onde commosse
Son della gente peregrina, e scelta
L’anime nate agli Apollinei canti:
Al fin fassi mirar l’Argivo Delta.
Sì fatto in vêr Settentrïone è fisso
350Numero d’astri: ma nel Polo Austrino
Si volge l’Orca, del cui fiero aspetto
Già paventava il popolo Etiopo:
Seco s’aggiunge il fiume, onde si riga,
Di pioggia in vece, il regno di Canopo:
355Fugge da poi la timidetta lepre
Di sei splendor le belle membra sparsa;
Ed Orïon, di formidabil cinto
Guernito i fieri fianchi, e d’aurea spada,
Minaccia a’naviganti aspre tempeste:
360Indi latrando per l’eterea strada
Sembra, che muova Sirio, e dal suo corso
Non si scompagna un varco il Can minore;
Ardentissimi lumi, alle cui fiamme
Viene arida la terra, arida l’aura;
365Felice allor, chi d’un gelato rivo
Può dare al petto il cristallino umore.
Ora innalza le ciglia, e venir mira
La nave, che Ocean solcò primiera,
Ed osò disprezzar l’alte procelle
370D’Anfitrite ne i campi. Io sull’arena
Passeggiava una notte, e lungo il mare
Ascoltava di lei per simil guisa
Cantar soavemente alma Sirena
A vaghe Ninfe; già guardossi in Coleo
375Per acerbo tiranno un vello d’oro,
Altiero arnese, e sua gentil ricchezza
Di molti duci il desiderio accese:
Al fin con mille Eroi sorse Giasone,
E fabbricò d’abeti eccelsa mole
380Sovra cui dell’Egeo soverchiò l’onde
Nocchiero invitto, e del gran Fasi al fine
Giunse alle sponde: ivi terribil mostri
Ebbe all’incontra, tori alto mugghianti,
E per gran corna di metallo orrendi:
385Forte a pensar, che delle fiamme Etnee
Spandeano intorno minacciosi incendi;
Nè men dal grembo dell’arata terra
Germogliaro guerrier, prole di Marte,
Che aste temprate con tartarei canti
390Vêr lui vibrava, e l’assaltava in guerra;
Vedeasi sposto a rio morir, se vaga
Di lui Medea non diveniva amante,
E di campar non gl’insegnava l’arte.
Costei figliuola del tiranno, e maga
395Trasse cotanto ardor dal re straniero,
Che arse per ogni vena; alto contrasto
Ella ben fece alquanto al suo pensiero;
Ma vinta al fine abbandonò sè stessa
Per duo begli occhi, e dispregiar dispose
400Ed i parenti, ed il paterno impero:
Quinci domò le ciglia al gran serpente,
Che da Cimmerio orror non si vincea,
Lo cosparse di sonno; e l’aurea spoglia
Entro la man del peregrin ripose,
405E seguitollo nella terra Achea.
Misera lei! che in breve tempo apprese
Siccome Amor nelle Caucasee selve
D’orrida tigre rasciugò le mamme,
E fiero crebbe fra terribil belve;
410Egli a lei madre de’ figliuoli il sangue
Spargere consigliò, malvagia madre!
Malvagia madre, o pure atroce Amore?
Atroce Amore, e tu malvagia madre,
Che a tanto scempio rivolgesti il core.
415Così dicea del mar la bella Diva;
Indi seguì, che l’onorata nave
Collocossi nel cielo a render chiari
I gran viaggi della gente Argiva.
Poscia vedesi l’Idra, e seco il Corbo,
420Il Corbo già sì negro, ora sì chiaro;
E seco insieme la gioconda coppa,
La coppa di Leneo: seco ella mena
Il padre Autunno pampinoso i crini;
Lietissima stagion, che l’alme avviva,
425Che tra le cure acerbe il cor serena.
Non chiniamo le ciglia; il buon Chirone
Ecco sen viene: al germe di Peleo,
E d’Esculapio, alla più fresca etate,
Ei dottrina d’onor diede in Tessaglia.
430A colui cinse il brando, e disse come
Correr dovea tra le falangi armate,
Onde lo scorse fulminar Scamandro,
E dare ad Ilïon crudel battaglia:
Infaticabile, implacabil spinse
435All’atro inferno le Dardanie torme;
Ed al fin, di disdegno altiero esempio,
Sferzò d’intorno alle trojane mura:
E trïonfo sovra l’Ettoreo scempio:
Ah fiero petto, ed ove rabbia il tira?
440Per li campi d’Assaraco travolve
Lui, che fu della patria alto sostegno:
Ne lo commove Andromache, che il mira.
Ad Esculapio raccontò d’ogni erba
L’alma virtute, e fe’palese quale
445In sè possanza richiudesse ogni onda,
Onde guardo da morte ogni mortale:
Nè gli bastò, che di Cocito i gorghi
Recossi a vile, e fe’ di Teseo il figlio
Abbandonar la regïon profonda;

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450Ma dall’ombre d’Inferno il gran Tonante,
Sdegnando in vita alcun mortal tornarsi,
L’operator di così gran virtude
Arse fra’ lampi fulminosi, e spento
Precipitollo alla Letea Palude.
455Chi crederia, che nelle rote eccelse
Splendesse il Lupo? E tuttavia vi splende
Di varie stelle infra le fiamme chiare:
Ma dentro quattro luci, ed egualmente
Fra lor distanti, e ben disposte in quadro
460Si scorge stelleggiato un ampio altare:
Scorgesi poscia d’Isïon la rota:
E finalmente il vago pesce appare.
Così del ciel per lo ceruleo smalto
Son posti i lumi, e nell’orror notturne
465Delle stelle l’esercito fiammeggia;
Ma non perchè sian nominate l’Orse,
Ed il Leon Nemeo, ragion consente,
Ch’elle sian colassù creder si deggia,
E che facciano in ciel soggiorno i mostri
470Finto è così, perchè all’umano sguardo
Più chiaramente ogni Astro si dimostri,
E di lui fortemente si rammenti:
Fingesi ancor per accennare altrui
La lor virtute, e come sian quei lumi
475Quaggiuso in terra ad operar possenti;
Nè men per onorar l’alte fatiche
Dell’alme grandi, e rischiarar lor gloria,
In cui mirando le leggiadre genti
Vengano poscia del valore amiche.
480Oh se a’ dì nostri rinnovar memoria
Per tal via fosse dato a’ sacri ingegni,
Quanti di stelle, e d’osservati lumi
De’ gran Medici il sangue avrebbe segni?
Vêr Boóte girarsi altra corona
485Per sè nel mezzo de’ superni ardori
Vedrebbe Cosmo il fondator di regni:
E spargeriasi di più gran splendori
In ciel per Ferdinando eccelsa immago:
Nè dell’inclito erede a i pregi altieri
490Formeriansi nell’alto Astri minori.
Ma per te, gloria delle patrie sponde,
Del chiaro Tebro desiderio, e speme
Carlo, farian le Muse un segno solo?
Certo non già, ma negli eterei fochi
495Ben cento de i più grandi, e foran pochi.