I versi latini di Giovanni del Virgilio e di Dante Allighieri/Egloghe/Egloga responsiva

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Giovanni del Virgilio

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Dante Alighieri, Giovanni del Virgilio - I versi latini (1319)
Traduzione dal latino di Filippo Scolari (1845)
A Dante Allighieri, Egloga responsiva
Egloghe - Egloga I Egloghe - Egloga II
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GIOVANNI DEL VIRGILIO

A DANTE ALLIGHIERI.

Egloga responsiva.

Mopso.


 
     Sott’esso a caso ai colli irrigui, dove
     Macchiata variamente il niveo crine
     Ninfa procace la Savena incontra
     Il verde Reno, addentro il nativo antro
     5Chiuso m’aveano — I giovani torelli
     A lor posta pascean le rive erbose;
     L’agne mordean le tenerelle fronde,
     I capri i dumi, ed io che far potea...,
     Se in quella selva io solo era, e garzone?
     10Amor di liti alla città condotti
     Avea ben altri a turba, ed a quel tempo
     Nè Nisa a me, nè rispondeva Alessi,
     Usi a seguirmi entrambi; io col ricurvo
     Ferro le canne idrauliche temprava,
     15Solo conforto alle mie cure — ed ecco
     Titiro risuonar lunghesso il lido
     D’Adria, fra il rezzo dell’ombre gradite,
     Che i densi pini in lungo ordine posti,
     E levandosi al ciel, gittan sui prati,
     20Al genio sacri del loco natio,
     Mentre spargon di mirto olezzo, e il suolo
     D’erbe odorose e fior vestono a nembo;
     Là ’ve il monton fluviatile non lascia

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     Asciutte mai l’arene, e va del mare
     25Colle morbide lane a cercar l’onde;
     Ei stesso mi recò dell’aleggiante
     Euro il leggero sibilo, per cui
     Sulle cime del Menalo soave
     Spandesi l’armonia, che dell’udito
     30E balsamo, ed in bocca il latte stilla,
     Tal che premuto non ricordan mai
     Della gregge i pastor, che pur d’Arcadia
     Sono già tutti. In ascoltar quei versi
     Gli Arcadi intanto esultano, e le Ninfe
     35E i pastori, ed i bovi, e gli agni, e l’irte
     Caprette, e gli asinelli, che pur essi
     Dansi a correr qua e là con tese orecchie:
     I Fauni stessi del Liceo pei gioghi
     Danzan giocondamente.

M.                                Io fra me stesso:
     40Se canta, dissi, Titiro le agnelle,
     E tragge dietro a sè capri ed armenti,
     Perchè cantasti tu di civil carme
     Nella città sedendo, quando mai
     Un tempo del Benaco la zampogna
     45Con suono pastoral presse il tuo labbro?
     Te pur bifolco oda cantar ne’ boschi.
     
     Nè più ci volle, le maggiori canne
     Deposte, dò di piglio alle mezzane,
     Ed a rigonfie labbra il fiato infondo.

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     50Così, vecchio divin, così sarai,
     Da lui venuto, un altro lui (che certo
     Tu se’ il medesmo o il pari a lui, se al samio
     Vate creder dobbiam) e tanto a Mopso
     Sia conceduto, quanto e’ fu concesso
     55A Melibeo. Ahimè! che tu ten giaccia
     Sott’esso polveroso e rozzo tetto,
     E sdegnoso a ragion, che tu sospiri
     Tolti alla greggia tua dell’Arno i paschi,
     Dell’ingrata città con vitupero,
     60Non dirlo a Mopso, e non voler che versi
     Le gote ad irrigar di pianto un fiume!
     Non tormentar te stesso, ed egli insieme,
     Di cui tanto è l’amor, tanto ti stringe,
     Mel credi pure, amabil veglio, al seno,
     65Quanto legasi intorno ad olmo eccelso
     Con cento nodi la pampinea vite.
     Oh! se giorno verrà, che a te ridoni
     Nel tuo fonte veder la tua canuta
     E sacra chioma biondeggiar di nuovo,
     70Dalla tua stessa Fille in ordin posta,
     Quanto stupor di tue capanne algose
     Ti prenderà! Tu nel frattempo or dunque
     Togliti al tedio, e alla letizia attendi.
     Vieni con me, che il puoi, vieni a posarti
     75Degli ozii miei negli antri amati, e meco
     Prendi a cantar; noi canteremo entrambi.
     Io con lieve zampogna, e tu con grave;
     Maestro mi sarai, come s’addice
     All’età di ciascun. Vedi, egli stesso

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     80T’invita il luogo mio; l’umido fonte
     Dentro irriga lo speco, a cui fa tetto
     Grosso macigno, ed i virgulti ombrello.
     L’origano all’intorno olezza, e induce
     Il papavero al sonno, onde un oblio
     85Che i sensi molce, di serpillo un letto
     Alessi stenderà dove corcarti.
     Io stesso Coridon perché lo chiami
     Ne pregherò; Nisa a lavarti i piedi
     S’accingerà gentile, indi la cena
     90Appresterà. Da Testili conditi
     Saran con pepe i funghi, e ben difesi
     La mercè d’aglio molto, a caso mai
     Che l’imprudente Melibeo n’avesse
     Mal trascelto talun nei florid’orti.
     95Con lor grato ronzio l’api frattanto
     Il mele t’offriranno; e tu corrai
     Tra le poma le belle; altre gustate
     Di Nisa le dirai pari alle guance;
     D’altre, difese dalla gran bellezza,
     100Farai conserva, e non saran le meno.
     Ed ecco serpeggiar colle radici
     L’ellera all’antro sopra, a farti un serto:
     Nè qui manco verrà diletto alcuno.
     Or vieni, e qui saran quanti vederti
     105Hanno desio, pastor giovani e vegli,
     Ch’ardono d’ammirar i nuovi carmi,
     E apprender l’armonie del verso antico.
     Eglino a te selvatici capretti,
     Eglino t’apporran terga rotonde

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     110Quali al tuo Melibeo piacean, di linci.
     Or vieni, e non temer, Titiro mio,
     Delle nostre foreste, e gli alti pini
     Dalle cime commosse, e tengon fede
     E gli arbusti, e le quercie, e fin le ghiande.
     115No, quivi insidie, e quivi ingiurie, quante
     Tu credi, non vi sono: a me che t’amo
     Non vuoi fidar te stesso? I regni miei
     Forse ti sembran vili? Eppure a sdegno
     Non ebber d’abitar quest’antri cavi
     120Gli Dei medesmi. Il dica l’Achillèo
     Chirone, e, anch’ei pastore, il dica Apollo.

     Mopso, folleggi? Non sai tu, che Jola
     È cortese e gentil; ma non l’assente.
     Ei sa che sono rustici i tuoi doni,
     125E de’ suoi tabernacoli per ora
     Il tuo speco non puoi dir più sicuro,
     Tal che sen possa ricrear. Ma quale
     Smania ti prese nella mente accesa?
     Qual nuova ne’ tuoi piè brama destossi?

     130Vede un garzon la vergine e l’ammira,
     Il fanciullo vagheggia l’augelletto,
     L’augelletto le selve, e le foreste
     Il tiepido spirar di primavera;
     Così, Mopso, te sol Titiro ammira,
     135E dalla meraviglia amor germoglia.
     Noi dispregiar; del Muson Frigio all’acque
     Tua sete spegnerò; nè tu il conosci,

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     Uso a bere, qual sei, nel fiume avito.
     Ma che va intanto la giovenca mia
     140Mugghiando intorno? Che la gravin gonfie
     Forse le poppe fra l’umide coscie?
     Lo credo almen; vommene in fretta or dunque
     Di fresco latte a ricolmar le conche,
     Ed ammollirvi poi le dure croste.
     145Vieni a mungere or via; così daremo
     Tanti li vasi a lui, quanti di latte
     Ne promettea Titiro stesso; quando
     Mandarne ad un pastor non sia superbo.

     Mentr’io così diceva, ecco i compagni,
     150E discender con essi il sol dal monte.