L'isola misteriosa/Parte terza/Capitolo I

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Parte terza - Capitolo I

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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L’ISOLA MISTERIOSA



PARTE TERZA


CAPITOLO I.


Salvezza o rovina? — Ayrton richiamato — Discussione importante — Non è il Duncan — Bastimento sospetto — Precauzioni da prendere — La nave s’avvicina — Una cannonata — Il brik getta l’ancora in vista dell’isola — Scende la notte.

Da due anni e mezzo i naufraghi del pallone erano stati gettati sull’isola Lincoln, e fin allora nessuna comunicazione era stata possibile tra essi ed i loro simili. Una volta il reporter aveva tentato di mettersi in rapporto col mondo abitato affidando ad un uccello una notizia che conteneva il segreto della loro condizione; ma non bisognava contare seriamente su questa speranza. Solo Ayrton, e nelle circostanze che sono note, era venuto ad aggiungersi ai membri della piccola colonia. Ora, ecco che in quel giorno medesimo (17 ottobre) altri uomini apparivano inaspettati in vista dell’isola su quel mare sempre deserto.

Non si poteva più dubitarne! Una nave era là. Ma passerebbe essa al largo o verrebbe a costa? Fra poche ore i coloni dovevano uscire dall’incertezza.

Cyrus Smith ed Harbert avevano subito chiamato Gedeone Spilett, Pencroff e Nab nella gran sala del Palazzo di Granito, e li avevano messi al fatto di quanto accadeva. Pencroff, pigliando il cannocchiale, [p. 6 modifica]percorse rapidamente l’orizzonte, arrestandosi sul punto indicato, vale a dire su quello che aveva prodotto la macchia impercettibile della prova fotografica.

— Per mille diavoli! è proprio una nave! diss’egli con voce che non denotava una soddisfazione straordinaria.

— E viene essa alla nostra volta? domandò Gedeone Spilett.

— Impossibile affermare nulla ancora, rispose Pencroff, perchè solo l’alberatura appare sull’orizzonte, e non si vede scafo.

— Che si ha a fare? domandò Harbert.

— Aspettare, rispose Cyrus Smith.

E per gran tempo i coloni stettero silenziosi in preda a tutt’i pensieri, a tutte le commozioni, a tutte le paure, a tutte le speranze che poteva far nascere in essi quell’incidente, il più grave che fosse avvenuto dopo il loro arrivo sull’isola Lincoln.

Certo i coloni non erano nella condizione di naufraghi abbandonati sopra un isolotto sterile, i quali contrastano la loro miserabile esistenza ad una natura matrigna, e sono di continuo divorati dal bisogno di rivedere le terre abitate. Pencroff e Nab, sopra tutti, si trovavano così felici e così ricchi, che non avrebbero lasciato senza rammarico la loro isola, tanto più che s’erano avvezzati a quella vita nuova in mezzo a quel dominio che la loro intelligenza aveva per così dire incivilito! Ma la nave recava ad ogni modo notizie del continente; era forse un pezzo della patria che veniva loro incontro, portava creature simili ad essi, ed è naturale che il loro cuore sussultasse vedendola.

Ogni tanto Pencroff ripigliava il cannocchiale e s’appoggiava alla finestra, d’onde esaminava con estrema attenzione la nave, che era distante ben venti miglia nell’est.

I coloni non avevano adunque verun mezzo di se[p. 7 modifica]gnalare la loro presenza. Una bandiera non sarebbe stata veduta, nè si sarebbe intesa una detonazione, e neanco un fuoco non sarebbe stato visibile.

Pure era certo che l’isola dominata dal monte Franklin non aveva potuto sfuggire agli sguardi delle sentinelle della nave. Ma perchè mai quel bastimento dovrebbe approdare!

Non era un semplice caso che lo spingeva in quelle parti del Pacifico, dove le carte non menzionano al cuna terra, tranne l’isolotto Tabor, anch’esso fuor delle vie seguite dalle navi di lungo corso della Nuova Zelanda e della costa americana!

A questo quesito fu subito fatta una risposta da Harbert.

— Se fosse il Duncan! esclamò egli.

Il Duncan, come ognuno ricorda, era lo yacht di lord Glenarvan, il quale aveva abbandonato Ayrton nell’isolotto e doveva tornare a riprenderlo un giorno. Ora, l’isolotto non trovava tanto lontano dall’isola Lincoln, che una nave diretta all’uno non potesse passare in vista dell’altra. Cento cinquanta miglia soltanto li separavano in longitudine e settantacinque miglia in latitudine.

— Bisogna avvertire Ayrton, disse Gedeone Spilett, e chiamarlo immediatamente; egli solo ci può dire se sia o no il Duncan.

Fu tale il parere di tutti, ed il reporter, dirigendosi all’apparecchio telegrafico che metteva in comunicazione il ricinto ed il Palazzo di Granito, mando questo dispaccio:

«Venite subito.»

Alcuni istanti dopo Ayrton rispondeva:

«Vengo.»

Poi i coloni continuarono ad osservare la nave.

— Se è il Duncan, disse Harbert, Ayrton lo riconoscerà facilmente, poichè ha navigato a bordo di esso per un certo tempo. [p. 8 modifica]

— E se lo riconosce, aggiunse Pencroff, quanto sarà commosso!

— Ma ora Ayrton, disse Cyrus Smith, è degno di risalire a bordo del Duncan; e faccia il Cielo che sia veramente lo yacht di lord Glenarvan, perchè di qualunque altra nave avrei timore. Questi mari sono mal frequentati, ed io temo sempre la visita di qualche pirata malese alla nostra isola.

— La difenderemo! esclamò Harbert.

— Senza dubbio, rispose l’ingegnere sorridendo, ma è meglio non aver bisogno di difenderla.

— Una semplice osservazione, disse Gedeone Spilett. L’isola Lincoln è ignota ai naviganti, poichè non si trova nemmeno sulle carte più recenti. Non pare anche a voi, Cyrus, che questo sia un motivo perchè una nave, trovandosi all’improvviso in vista di questa terra nuova, cerchi di visitarla, anzi che fuggirla?

— Certamente, rispose Pencroff.

— Lo credo anch’io, aggiunge l’ingegnere; si può anzi affermare che è dovere d’un capitano segnalare e venire a riconoscere ogni terra od isola non ancora registrata, come appunto è l’isola Lincoln.

— Ebbene, disse allora Pencroff, ammettiamo che questa nave approdi e getti l’ancora là, a poche gomene dalla nostra isola... che faremo noi?

Questo quesito proposto bruscamente, stette dapprima senza risposta, ma Cyrus Smith, dopo breve meditazione, rispose colla sua solita pacatezza:

— Ciò che noi faremo, amici miei, ciò che noi dovremo fare, eccolo: comunicheremo colla nave, c’imbarcheremo al suo bordo e lasceremo la nostra isola dopo averne preso possesso in nome degli Stati dell’Unione, poi torneremo con quanti vorranno seguirci per colonizzarla, e dotare la Repubblica americana d’una stazione utile in questa parte dell’oceano Pacifico.

— Evviva! esclamò Pencroff; e non sarà già un [p. 9 modifica]regalo da nulla quello che faremo al nostro Paese. La colonizzazione è quasi compiuta. Tutte le parti dell’isola hanno il loro nome, vi è un porto naturale, vi sono strade, una linea telegrafica, un cantiere, un’officina, e non si avrà a far altro che inscrivere l’isola Lincoln sulle carte.

— E se ce la pigliano durante la nostra assenza? fece osservare Gedeone Spilett.

— Per mille diavoli! esclamò il marinajo; rimarrò io solo per farle la guardia, e in fede di Pencroff non me la ruberanno certo come un orologio dalla scarsella d’uno scimunito.

Per un’ora fu impossibile dire in modo certo se il bastimento segnalato facesse o non facesse rotta verso l’isola Lincoln; s’era, è vero, accostato, ma con quale andatura navigava! È quanto Pencroff non potè riconoscere; siccome però il vento soffiava da nord-est, era verosimile l’ammettere che quel bastimento navigasse con le mure a tribordo. D’altra parte, il vento era buono per giungere ad approdare nell’isola, e con quel mare placido non poteva temere di avvicinarsi, benchè gli scandagli non fossero notati sulla carta.

Verso le quattro, vale a dire un’ora dopo l’avviso avuto, Ayrton giungeva al Palazzo di Granito, ed entrava nella gran sala dicendo:

— Agli ordini vostri, signori.

Cyrus Smith gli porse la mano come era uso fare, e conducendolo presso alla finestra, gli disse:

— Ayrton, vi abbiamo pregato di venire per un grave motivo. Una nave è in vista dell’isola.

Ayrton sulle prime impallidì lievemente e gli occhi suoi si turbarono un istante, poi curvandosi fuor della finestra, percorse l’orizzonte, ma non vide nulla.

— Pigliate il cannocchiale, disse Gedeone Spilett, e guardate bene, Ayrton, perchè potrebbe darsi che quella nave fosse il Duncan, venuto in questi mari per ricondurvi in patria. [p. 10 modifica]

— Il Duncan! mormorò Ayrton... diggià!

Quest’ultima parola sfuggì per così dire involontariamente dalle labbra di Ayrton, il quale lasciò cadere la testa fra le mani.

Dodici anni d’abbandono sopra un isolotto non gli sembravano dunque un’espiazione sufficiente? Il colpevole pentito non si sentiva egli perdonato ancora sia ai suoi propri occhi, sia agli occhi degli altri?

— No, disse, non può essere il Duncan.

— Guardate, Ayrton, disse allora l’ingegnere, giacchè importa sapere come regolarci.

Ayrton prese il cannocchiale e lo appunto nella direzione indicata.

Per alcuni minuti osservò egli l’orizzonte senza muoversi, senza proferir parola, poi disse:

— È veramente una nave, ma non credo che sia il Duncan.

— Perchè? domandò Gedeone Spilett.

— Perchè il Duncan è uno yacht a vapore, ed io non vedo alcuna traccia di fumo nè sopra nè vicino à quel bastimento.

— Forse naviga solamente a vela, fece osservare Pencroff; il vento è buono per la strada che sembra seguire, e a quel bastimento deve importare il risparmio del carbone, essendo tanto lontano dall’Inghilterra.

— Potete aver ragione, signor Pencroff, rispose Ayrton: forse quella nave ha spenti i fuochi; lasciamola adunque venire a costa e sarà tolto ogni dubbio.

Ciò detto Ayrton andò a sedersi in un cantuccio della gran sala e vi stette silenzioso. I coloni discussero ancora circa la nave incognita, ma Ayrton non prese parte alla discussione.

Tutti si trovarono allora in una condizione di spirito che non avrebbe loro permesso di continuare i lavori. [p. 11 modifica]

Gedeone Spilett e Pencroff non potevano star fermi; Harbert provava invece più curiosità che inquietudine; il solo Nab conservava la sua placidezza consueta: il suo paese non era forse là dove era il suo padrone? Quanto all’ingegnere, se ne stava assorto nei proprî pensieri, ed in fondo temeva più che non desiderasse l’arrivo della nave.

Frattanto il bastimento s’era avvicinato un poco all’isola e coll’aiuto del cannocchiale era possibile riconoscere ch’era una nave di lungo corso, non già uno di quei praos malesi di cui sogliono servirsi i pirati del Pacifico. Era dunque permesso di credere che le apprensioni dell’ingegnere fossero fallaci e che la presenza del bastimento nelle acque dell’isola Lincoli non minacciasse alcun pericolo. Pencroff, dopo minuzioso esame, credette di poter affermare che quella nave era attrezzata da brik, che correva obliquamente alla costa colle mure a tribordo e colle basse vele, le vele di gabbia e di pappafico; il che fu confermato da Ayrton; ma continuando quell’andatura doveva presto sparire dietro la punta del capo Artiglio e per osservarla doveva essere necessario andare sulle alture della baja di Washington, presso il porto Pallone; spiacevole cosa, poichè erano già le cinque di sera e il crepuscolo non doveva tardare a rendere impossibile qualsiasi osservazione.

— Che faremo noi quando sia giunta la notte? domandò Gedeone Spilett; accenderemo un fuoco per segnalare la nostra presenza sulla costa?

Grave quesito, eppure, per quanti dubbi conservasse l’ingegnere, fu sciolto affermativamente. Nella notte la nave poteva sparire, allontanarsi per sempre; e scomparsa quella, quando mai un’altra sarebbe tornata nelle acque dell’isola Lincoln? e chi poteva prevedere l’avvenire?

— Sì, disse il reporter, noi dobbiamo far conoscere a quel bastimento, qualunque esso sia, che l’isola è [p. 12 modifica]abitata. Trascurare la speranza che ci ha offerto, sarebbe crearci rammarichi futuri.

Fu dunque deciso che Nab e Pencroff si recassero al porto Pallone, e colà, giunta la notte, accendessero un gran fuoco che attirerebbe l’attenzione dell’equipaggio del brik.

Ma al momento in cui Nab ed il marinajo si preparavano a partire, il bastimento cambiò andatura e mosse direttamente incontro all’isola, dirigendosi verso la baja dell’Unione.

Era un lesto camminatore quel brik, perchè s’avvicinava rapidamente.

Nab e Pencroff sospesero allora la partenza, ed il cannocchiale fu messo fra le mani di Ayrton, affinchè egli potesse riconoscere se fosse o no il Duncan.

Anche lo yacht scozzese era attrezzato da brik; si trattava adunque di sapere se fra i due alberi del bastimento osservato sorgesse o no il tubo della vaporiera.

La nave non distava più che dieci miglia, e l’orizzonte era limpido.

Fu facile l’esame, ed Ayrton abbassò poco dopo il cannocchiale dicendo:

— Non è il Duncan, non poteva essere!

Pencroff, incorniciando di nuovo il bastimento nel campo del cannocchiale, riconobbe che quel brik poteva stazzare da tre a quattrocento tonnellate; che era in forme svelte, d’andatura ardita e fatto apposta per la corsa, e che doveva essere un rapido corridore dei mari. Ma a qual nazione apparteneva? Era difficile determinarlo.

— Eppure, disse il marinajo, una bandiera sventola sul corno, ma non ne posso vedere i colori.

— Prima di mezz’ora li vedremo; d’altra parte, è evidente che il capitano ha intenzione d’approdare, e per conseguenza, se non è oggi, domani al più tardi faremo la sua conoscenza. [p. 13 modifica]

— Non importa, disse Pencroff, è meglio sapere con chi si ha da fare, ed avrei caro di conoscere i colori di quel soggetto là.

E, così parlando, il marinajo non lasciava il cannocchiale.

Cominciava a scendere il giorno, e col giorno anche il vento d’alto mare cessava. La bandiera del brik, meno tesa, s’impigliò nelle drizze, e divenne sempre più difficile l’osservazione.

— Non è una bandiera americana, diceva ogni tanto Pencroff, e nemmeno inglese, perchè il rosso si vedrebbe subito; non ha nemmeno i colori francesi o tedeschi, e non è la bandiera bianca della Russia, nè quella gialla della Spagna. La si direbbe una bandiera di colore uniforme. Vediamo in questi mari che cosa si può trovare più comunemente. La bandiera del Chili, ma ha tre colori, la brasiliana; ma è verde; la giapponese, ma è nera e gialla, mentre questa...

In quel mentre il vento spiegò la bandiera incognita, Ayrton afferrò il cannocchiale, che Pencroff aveva lasciato ricadere, l’appressò all’occhio e con voce sorda disse:

— La bandiera nera! [p. 136 modifica]La bandiera nera!

Vol. V, pag. 13.

Infatti la bandiera nera sventolava al corno del brik, che ormai si poteva considerare come una nave sospetta. Erano dunque fondati i tristi presentimenti dell’ingegnere: era una nave di pirati che percorreva i bassi mari del Pacifico facendo concorrenza a quei praos malesi che li infestano. E che veniva a cercare in quei paraggi? Vedeva essa nell’isola una terra incognita adatta a diventare un nascondiglio di carichi rubati, o veniva a domandare alle sue coste un rifugio per l’inverno! L’onesto domicilio dei coloni era destinato a trasformarsi in un infame rifugio di pirati? Tutte queste idee si presentarono allo spirito dei coloni. Non vi era dubbio, del resto, circa il significato che bisognava dare al colore della bandiera [p. 14 modifica]inalberata. Era ben quella dei predoni del mare, era ben quella che il Duncan doveva portare, se i deportati fossero riusciti nei loro infami propositi.

Non si perdette tempo.

— Amici miei, disse l’ingegnere, forse quella nave vuol solo osservare i contorni dell’isola, forse il suo equipaggio non sbarcherà. Checchè ne sia, dobbiamo fare di tutto per nascondere la nostra presenza. Il molino è troppo riconoscibile; vadano Ayrton e Nab a smontarne le ali, nascondiamo pure sotto fitti rami le finestre del Palazzo di Granito, siano spenti tutti i fuochi e nulla tradisca la presenza dell’uomo in quest’isola.

— E la nostra scialuppa? disse Harbert.

— Oh! rispose Pencroff, essa è al sicuro nel porto Pallone, e sfido quei cialtroni a trovarla.

Gli ordini dell’ingegnere furono subito eseguiti. Nab ed Ayrton salirono sull’altipiano e presero tutte le cautele necessarie perchè ogni indizio d’abitazione sparisse.

Mentre attendevano a quella bisogna, i loro compagni andarono al lembo del bosco del Jacamar d’onde portarono gran quantità di rami e di liane, che dovevano ad una certa distanza rappresentare una vegetazione naturale e nascondere così le aperture della muraglia di granito.

Al medesimo tempo le munizioni e le armi furono disposte in guisa da poter servire all’istante in caso d’improvvisa aggressione.

Com’ebbero prese tutte quelle precauzioni, Cyrus Smith disse:

— Amici miei — ed in così dire la sua voce era commossa — se i miserabili vogliono impadronirsi della nostra isola, noi la difenderemo, non è vero?

— Sì, Cyrus, e se sarà necessario morremo per difenderla.

L’ingegnere porse la mano ai compagni, che la strinsero con effusione. [p. 15 modifica]

Ayrton soltanto, rimasto nel suo cantuccio, non si era unito ai coloni; forse egli, l’antico deportato, se ne sentiva tuttavia indegno.

Cyrus Smith comprese quanto accadeva nell’animo di lui, e movendogli direttamente incontro, gli domandò:

— E voi che farete?

— Il mio dovere, rispose Ayrton.

Poi andò a collocarsi presso alla finestra, e spinse gli sguardi attraverso il fogliame.

Erano allora le sette e mezzo. Il sole era scomparso da venti minuti circa dietro il Palazzo di Granito, e perciò l’orizzonte all’est si oscurava sempre più. Il brik continuava ad avanzarsi verso la baja dell’Unione. Non ne distava allora più di otto miglia e si trovava in faccia all’altipiano di Lunga Vista, per che dopo aver virato all’altezza del capo Artiglio, era stato spinto nel nord dalla marea crescente. Si può anzi dire che a quella distanza esso fosse già entrato nella vasta baja, poichè una linea retta tirata dal capo Artiglio al capo Mandibola gli sarebbe passata all’ovest sull’anca di tribordo.

Il brik sarebbe esso entrato nella baja? Tale fu il primo quesito. Entrato nella baja, vi getterebbe l’áncora? Era questo il secondo. Non si accontenterebbe di osservare la costa e di prendere il largo, senza sbarcare il proprio equipaggio? Lo si saprebbe fra un’ora. I coloni non avevano dunque a far altro che aspettare.

Non senza una certa ansietà Cyrus Smith aveva visto il bastimento sospetto inalberare la bandiera nera. Non era forse una minaccia diretta contro l’opera che i suoi compagni e lui avevano finora compiuta così bene? I pirati (non si poteva dubitare che i marinaj del brik non fossero tali) avevano già abitato quell’isola, poichè approdando avevano issato i loro colori; vi avevano forse fatto qualche sbarco prece[p. 16 modifica]dentemente (il che avrebbe spiegato certi particolari rimasti misteriosi finora), o esisteva nella parte non esplorata qualche complice pronto ad entrare in comunicazione con essi?

A tutti questi quesiti che si proponeva fra sè e sè, Cyrus Smith non sapeva che rispondere; ma sapeva però come la condizione della colonia fosse posta a grave rischio dall’arrivo di quel brik.

Nondimeno egli al par dei suoi compagni era deciso a resistere fino all’estremo. I pirati erano poi numerosi meglio armati dei coloni? Questo sarebbe stato importante sapere; ma come arrivare fino ad essi?

Era scesa la notte, la luna nuova era scomparsa, una profonda oscurità avvolgeva il mare. Le nuvole massicce che s’addensavano nel cielo non lasciavano penetrare alcun bagliore. Il vento era cessato interamente col crepuscolo; nè una foglia si moveva sugli alberi, nè un’onda mormorava sul greto. Nulla più si vedeva della nave i cui fuochi erano tutti spenti, e se pure era ancora in vista dell’isola non si poteva sapere in che direzione fosse.

— Chissà, disse allora Pencroff, forse quel dannato bastimento avrà fatto rotta durante la notte e non lo troveremo più all’alba.

Come in risposta all’osservazione del marinajo, balenò una viva luce e si udì una cannonata.

La nave era sempre là ed aveva dei pezzi d’artiglieria a bordo.

Erano passati sei secondi tra il bagliore ed il colpo.

Dunque il brik era ad un miglio e un quarto circa dalla costa.

Al medesimo tempo si udì un rumore di catene che correvano stridendo attraverso le cubie.

La nave aveva gettato l’ancora in vista del Palazzo di Granito.