Ode su le nozze di Giulia e di Manlio

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latino

Gaio Valerio Catullo I secolo a.C. 1807 Luigi Lanzi Indice:Collezione d'opuscoli scientifici e letterarj 4.djvu Odi letteratura Ode su le nozze di Giulia e di Manlio Intestazione 4 ottobre 2010 100% Odi

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ODE DI CATULLO

SU LE NOZZE DI GIULIA E DI MANLIO

TRADOTTA IN CANZONE

DALL’AB. L.... L....


O Tu che ’l poggio ombroso
     Abiti d’Elicona
     Gentil prole d’Urania,
     Per cui si tragge, e dona
     5La verginella al destinato sposo;
     O Imeneo Imene,
     Imene o Imeneo.
T’avvolgi al crine intorno
     Be’ fior colti allo stelo
     10Dell’odoroso amaraco,
     Togli ’l fiammante velo,
     E ’l bianco piè di giallo socco adorno;
     Quà pien di gioja, e festa,
     Quà per venir t’appresta.
15E in te giorno sì ameno
     Estro febèo destando,
     Canta in suon dolce armonico
     Nuzial inno, e danzando
     Percuoti de’ be’ piè l’umil terreno,
     20Scuoti con man la face
     Di pin chiara, e vivace.
Poichè a Manlio sua fede
     Giulia promette, e a lui
     Tal và qual venne a Paride
     25Ne’ gran litigj sui
     L’alma Ciprigna, che in Idalio siede;
     E a lei buona, felici
     E buon ridon gli auspici.

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Tal par leggiadra, e bella
     30Pianta d’asiaco mirto
     Tra ramuscelli teneri,
     Cui nudrimento, e spirto
     Dan l’Amadriadi Dee, versando in ella
     Per sollazzo odorosi
     35Freschi umor rugiadosi.
Su via dunque ver noi
     Volto il cammin, t’affretta
     Della petrosa Tespia
     A lasciar l’altra vetta,
     40E l’Aonie spelonche, ove de’ suoi
     Fonti le limpid’ onde
     Aganippe diffonde.
E Madonna ne invita
     Del nuovo sposo accesa
     45Alla sua casa, e al talamo,
     Tutta nel cor compresa
     D’amor, siccome a tronco ellera unita
     Quà, e là serpendo il cinge
     D’ogni lato, e ’l distringe.
50E voi per cui sta presso
     Giorno, e pompa simile,
     Voi pure, intatte Vergini,
     In concerto gentile
     Movete il canto, e dite a un tempo stesso;
     55O Imeneo Imene,
     Imene o Imeneo
Onde se fia restìo,
     Da tai voci, e sì care
     Più volentier udendosi
     60A’ suo’ ufficj chiamare,
     Degli onesti piacer quà vegna il Dio,
     Egli che lega i cori
     In dolci, e casti amori.

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Quale, deh qual fra’ Numi
     65Più disiar si debbe
     Dall’alme amanti, e tenere?
     Qual Nume ogni uom devrebbe
     Con più voti placar, con più profumi?
     O Imeneo Imene,
     70Imene o Imeneo.
Te il genitor cadente
     Per la cara famiglia
     Invoca; a te la vergine
     Il sen si disabbiglia1
     75Del molle cinto; a te l’orecchie intente
     Timoroso, e smarrito
     Porge il novel marito.
Tu dalle patrie sedi
     Togli, e dal sen materno,
     80Nel suo bel fior la vergine;
     E ’l suo freno, e governo
     A vivace garzone in man concedi.
     O Imeneo Imene
     Imene o Imeneo.
85Senza te cor piacere,
     Cui favorevol grido
     E sante leggi approvino,
     Non può la Dea di Gnido;
     Ma può, se lei seconda il tuo volere.
     90Chi fia che a Nume tale
     Osi tenersi uguale?
Senza te por germogli
     Nulla casa potria,
     Nè il genitor col figlio
     95D’un lignaggio saria;
     Ma ben questo esser può, qualor tu vogli.
     Chi fia, che a Nume tale
     Osi tenersi uguale?

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Terra ’ve tu non sogli
     100Onori aver divini,
     Per se fornir di presidi
     Mai non potrà i confini;
     Ma ben questo esser può, qualor tu vogli.
     Chi fia, che a Nume tale
     105Osi tenersi uguale?
Schiudan la porta omai
     I cardini tenaci;
     Ecco appressa la Vergine.
     Vedi come le faci
     110Scuoton l’aurate chiome, e vibran rai?
     Sposa, che tardi ancora?
     Spento è ’l giorno; vien fuora.
Rossor è che la sforza
     Così tardar, e l’ange:
     115Più che con lui consigliasi,
     Più si sgomenta, e piange,
     Però che rimaner non è in sua forza.
     Sposa che tardi ancora?
     Spento è ’l giorno; vien fuora.
120Tergi pur, tergi ’l pianto!
     Già pericol non v’è,
     Auruncleja, che femmina
     In cui maggior che in te
     Di perfetta beltà riluca vanto;
     125Veggia dal mar profondo
     Spuntare il dì nel mondo.
Quale il vago giacinto
     Sorge tra mille fior
     In colto giardin vario
     130Di possente Signor,
     Tale l’altrui dal tuo sembiante è vinto.
     Sposa che tardi ancora?
     Spento è ’l giorno, vien fuora.

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Vien fuor, se udir omai,
     135Sposa, pur ti compiaci
     Gli accenti nostri (or eccola).
     Vedi come le faci
     Scuoton l’aurata chioma, e vibran rai?
     Deh non si tardi ancora:
     140Nuova Sposa vien fuora.
Alto i doppier lucenti,
     Garzonetti, levate;
     Venir veggio il vel croceo.
     Ite, e ’nsieme cantate
     145In musica ragion gli usati accenti:
     Viva Imeneo Imene,
     Viva Imene Imeneo.
Di Manlio ecco, Madonna,
     Ove sorge il palagio,
     150Deh come ricco, e splendido!
     Che (non dubbiar) d’ogni agio
     Ti servirà qual suo sostegno e donna.
     Viva Imeneo Imene,
     Viva Imene Imeneo.
155Infin che la nevosa
     Decrepita vecchiaja
     Le già fiorite tempie
     Sì ti scuota, che paja
     Che d’affermar dia segno in ogni cosa:
     160Viva Imeneo Imene,
     Viva Imene Imeneo.
Or la soglia sormonta
     Col piè d’oro vestito,
     E sia con lieto augurio;
     165E nel terso forbito
     Uscio t’inoltra omai spedita, e pronta.
     Viva Imeneo Imene,
     Viva Imene Imeneo.

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Prego che un Torquatino
     170Presto in grembo alla Madre
     Scherzi, e le sue man tenere
     Indi porgendo al Padre,
     Dolce rida ver lui con labbricino
     Mezzo fra chiuso, e aperto,
     175Già in conoscerlo esperto.
Porti nel volto espressa
     Del Genitor l’idea,
     E per prole di Manlio
     Anche chi nol sapea
     180Tosto il ravvisi alla sembianza istessa,
     E l’onestà materna
     Nel suo volto si scerna.
Dalla Madre pudica
     Tal grido abbia la prole
     185Di sua non dubbia origine,
     Qual è l’onor, che suole
     Per la gran Madre sua donare antica
     Fama al figlo d’Ulisse
     Tanto dapoi ch’e’ visse.
190Or voi l’uscio chiudete,
     Vergini, assai cantammo:
     E voi, Coppia gentil, lieti vivete.

Note

  1. Termine che non è nella Crusca; ma in vigor della prefazione di essa par che possa starvi.