Silenzio (favola)

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Edgar Allan Poe 1837 1930 Ulisse Ortensi Indice:Poemetti e liriche di Edgar Poe, Carabba, Lanciano, 1930.pdf Racconti Silenzio Intestazione 7 maggio 2024 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Poemetti e liriche di Edgar Poe


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SILENZIO

(FAVOLA)


Dei monti i gruppi dormono
e le balze e i declivii
e le convalli e quanti
nutre la terra animali....
. . . . . . . . . . . . . . . .
hanno chiuse le ciglia.
                    ALCMANE1


Odi," disse il Dèmone, a mi posò la mano sul capo. “Presso le rive del fiume Zaira, nella Libia, è la malinconica terra di cui parlo e là non è quiete, non è silenzio. Le onde del fiume hanno l’aspetto di acque malsane tinte di croco e non si gittano nel mare, ma scorrono, scorrono sempre sotto l’occhio di fuoco del sole, in tumultuosa convulsione. Molte miglia lungo i margini del fangoso letto si stende un pallido prato di ninfee gigantesche, che in quella solitudine, sospirando l’una all’altra, tendono verso il cielo i lunghi spaventevoli steli, con tremule le immortali corolle. E da quelle ninfee un mormorio confuso, come d’impetuose acque sotterranee, si diffonde intorno. E l’una all’altra sospira.

“Ma il loro reame ha un limite – la foresta tenebrosa, orribile, l’alta foresta. Come il mare intorno alle Ebridi, la bassa selva continuamente ondeggia: ma niun alito di vento muove l’aria. Le alte piante primordiali, perpetuamente quassate, mandano croscianti e possenti suoni. E dalle loro eccelse cime ad una ad una stillano gocce di eterne rugiade. Ai loro ceppi giacciono strani fiori velenosi che si contorcono in irrequieto sonno. E in alto, le nubi cineree, frusciando fragorosamente, si slanciano verso l’occidente, sempre, finché come una cateratta, affondano dietro l’orizzonte infocato. Ma nel cielo immenso non c’è soffio di vento, e presso le rive del fiume Zaira non è quiete, non è silenzio. [p. 148 modifica]

“Era notte: pioveva, e la pioggia era tale mentre cadeva, ma diventava sangue appena caduta. Io stavo nella palude tra le alte ninfee, e la pioggia mi bagnava e le ninfee sospiravano l’una all’altra nella loro solenne desolazione.

“Allora rapida la luna uscí dalla nebbia rada e orribile ed era di color cremisi. Apparve al mio sguardo l’enorme rupe nericcia alta presso la sponda del fiume, rischiarata dal bagliore lunare. La rupe era nericcia, orrenda e alta – la rupe era nerastra. Di fronte v’eran lettere incise nel sasso; traversai la palude delle ninfee, m’avvicinai alla riva per leggere quel che c’era scritto; ma non potei. Me ne tornavo alla palude, quando la luna splendé di luce rossa piú viva; mi volsi, guardai di nuovo la rupe e le lettere; le lettere dicevano: Desolazione.

“Guardai in alto; un uomo stava sulla vetta della rupe; mi nascosi tra le ninfee per spiare i suoi atti. Era di maestoso aspetto, chiuso in un’antica toga romana dal capo ai piedi. Non si distingueva il suo profilo — ma le forme eran quelle di un Dio; perché il manto della notte, della nebbia, della luna e della rugiada, avevan lasciato scoperto il volto di lui; aveva in fronte la nobiltà del pensiero, ma gli occhi erano strani per l’affanno; nelle rughe del viso lessi leggende di dolore, di tedio, di nausea per l’umanità, e un’ardente brama della solitudine.

“Sedeva sulla rupe, il capo poggiato alle mani e guardava la desolazione. Guardava la bassa agitata selva e in alto le antiche piante e piú su il cielo frusciante e la luna cremisi. Io gli stavo vicino nascosto tra le ninfee e spiavo i suoi atti. L’uomo in quella solitudine tremava; ma la notte scorreva ed egli stava sulla rupe.

“Poi volse gli occhi al tetro fiume Zaira, alle sue acque gialle e orribili e alle pallide schiere delle ninfee. Ascol[p. 149 modifica]tava i sospiri di queste e il mormorio che di tra esse usciva. Io stavo nascosto a spiare l’uomo, che in quella solitudine tremava — ma la notte scorreva ed egli sedeva sulla rupe.

“Allora m’inoltrai nella palude, la guardai tra la strana solitudine delle ninfee, chiamai gli ippopotami che colà vivono negli acquitrini e, udito il mio richiamo, vennero insieme col behemoth sino alla rupe o ruggirono spaventevolmente alla luna. Io stavo nascosto a spiare l’uomo, che in quella solitudine tremava — ma la notte scorreva ed egli sedeva sulla rupe.

“Allora maledissi gli elementi con la maledizione del tumulto; e una spaventevole tempesta s’addensò nel cielo dove prima non spirava alito di vento. E il cielo divenne plumbeo pel violento uragano e la pioggia percosse il capo dell’uomo e le acque del fiume cominciarono a muoversi — spumeggiarono — le ninfee stridevano nelle loro culle — la selva era schiantata dal vento — il tuono brontolava cupamente – la folgore guizzava e la rupe vacillava dalle sue radici. Io dal mio nascondiglio spiavo gli atti dell’uomo, che in quella solitudine tremava — ma la notte scorreva ed egli sedeva sulla roccia.

“Allora, adirato, maledissi con la maledizione del silenzio, il fiume, le ninfee, il vento, la selva, il cielo, il tuono e i sospiri delle ninfee. Cosí maledetti non si mossero piú. La luna non tremolò piú pel suo sentiero celeste — il tuono tacque — il lampo non guizzò — le nubi s’arrestarono nella immobilità – le acque s’abbassarono come prima e cosí stettero — gli alberi non furono piú quassati — le ninfee non sospirarono piú – e il mormorio che da esse emanava piú non s’udí, né piú ombra di suono in quell’immenso sconfinato deserto. Allora guardai ciò ch’era scolpito sulla rupe e vidi ch’era altro; vi si leggeva: Silenzio.

“Guardai l’uomo: il suo viso era pieno di terrore. [p. 150 modifica]In fretta levò il capo, si protese in avanti sulla rupe e si mise ad ascoltare. Ma non una voce nell’immensa landa senza fine e la parola che si leggeva sulla rupe era: Silenzio. L’uomo rabbrividí di terrore, si ritrasse indietro, fuggí lontano rapidamente e non si vide mai piú.”

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Nei libri dei Magi si leggono bei racconti — in quei volumi tetri, legati in metallo. Son splendide storie del Cielo, della Terra, del Mare possente, e dei Genii che reggono il Mare, la Terra e l’alto Cielo. C’era anche grande sapienza nelle sentenze delle Sibille; e sacre, sacre cose furono una volta udite intorno a Dodona, dalle fresche tremolanti foglie; ma, come vive Allah, la storia che il Dèmone mi narrò mentre sedeva al mio fianco nell’ombra del sepolcro, credo sia la piú straordinaria del mondo. Quando il Dèmone ebbe finito il suo racconto, ricadde entro il sepolcro e rise.

Io non potei ridere con lui e però mi maledisse. Ma la lince che in eterno abita nel sepolcro, uscí e si fermò ai piedi del Démone e lo fissò negli occhi.

Note

  1. Trad. Fraccaroli.