Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos/Capitolo II

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Capitolo II

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II.


Il golfo di Suez — Pioggia e grandine presso lo stretto di Giabal. — Marosi fosforescenti. — Gebel Teer — Il Samhar e la terra dei Danakil. — Avvenire di una stazione marittima e commerciale nella baia d’Assab. — II sistema coloniale inglese è quello da preferirsi. — Costituzione fisica del territorio d’Assab. — I sultani danakil ed i loro seguaci. — Aspetto, indole, costumi, idioma dei Danakil. — Presa di possesso del nuovo territorio italiano. — Visita a Berehan, sultano di Reita, ed acquisto dell’isola di Darmakié. — L’Africa rimane incagliata sopra un banco. — Pesca nelle acque di Darmakiè. — Partenza per Aden.


L’Africa si pose in viaggio l’indomani del nostro arrivo, cioè il 2 marzo, alle 4 pomeridiane.

Appena usciti dalla rada di Suez osservammo un gran numero di uccelli marini, fra i quali primeggiavano gabbiani e sterne, e vedemmo poi un immenso stuolo di questi volatili che seguiva due barche peschereccie per cibarsi dei residui gettati in mare dai pescatori.

In quel giorno e nel seguente scorgemmo sempre le due rive del golfo di Suez, qua basse e lievemente ondulate, là sollevate in maestose catene erte di picchi scoscesi e lacerate da profondi burroni. All’altezza di Tor salutammo sulla costa asiatica il gruppo imponente del Sinai, e sulla opposta le vette sublimi dell’Acrab. Queste, come tutte le montagne che sorgono sulle rive del Golfo Arabico, somigliano ad immani scogliere logorate da un antico mare prosciugato, e presentano un aspetto loro proprio, dovuto forse alla loro costituzione geologica ed alla assoluta mancanza di vegetazione. La vivida luce onde sono illuminate e la trasparenza dell’aria ne fanno risaltare a gran distanza i contorni e le anfrattuosita con mirabile nitidezza; di più, secondo lo stato dell’atmosfera e l’ora del giorno, [p. 19 modifica]i raggi del sole si riflettono su quegli aridi gioghi in vaghissime e mutabili tinte azzurre, violacee, rosee o porporine.

Il Mar Rosso volle anch’egli mostrarsi a noi nel suo corruccio. Mentre eravamo all’imboccatura del golfo di Suez, l’oscurarsi del cielo ed un repentino cangiamento di vento segnarono il principio di un piccolo temporale. Infatti cominciò tosto una pioggia dirotta, che di tanto in tanto alternava con fitta e grossa grandine 1, e verso sera, crescendo l’impeto del vento e l’agitazione del mare, la procella raggiunse il suo parossismo. Salendo allora sulla tolda, fui colpito da uno spettacolo che la penna è impotente a descrivere. I marosi scintillavano di vivida fosforescenza 2, e spargevano, frangendosi, sprazzi di luce, lasciando poi sulla coperta una traccia, luminosa del loro passaggio. Per strano consenso anche il cielo, vestito di nera gramaglia, risplendeva pel bagliore di continui lampi, che sembravano irradiare da un centro comune, talchè a momenti pareva che cielo e mare avvampassero d’un medesimo incendio. Prima di mezzanotte la fantastica scena si dileguava ed allo scirocco sottentrava il maestrale, apportatore di un tempo più propizio al nostro viaggio.

Nei giorni successivi perdemmo di vista la terra e continuammo a navigare nelle migliori condizioni, senza che avvenisse nulla di notevole; senonchè un Buphus coromandelicus ed un Lanius rufus, posatisi imprudentemente sugli alberi della nave, pagarono colla vita la troppa confidenza.

L’8 marzo, il mare, non più increspato dalla brezza, divenne placido come olio e presentò una bella tinta verdastra, segno di acque basse. Attorno alla nave brulicavano allora animali marini di molte specie, come salpe, fisalie, meduse, pesci volanti, squali ed altri, e galleggiavano numerosi sargassi. Intanto l’aria si ripopolava d’uccelli tra i quali si videro, oltre ai soliti gabbiani, alcune sule e due fetonti.

Il giorno stesso, nella zona di calme quasi costanti che divide la regione delle brezze prevalentemente settentrionali da quella [p. 20 modifica]dei venti di mezzogiorno 3 avvistiamo l’isoletta di Gebel Teer, vulcano (così dice la carta di Moresby) di 900 piedi d’altezza. Lasciate indietro le rupi di Zabaier, passiamo l’indomani a ponente di Zoggur o Zachur, della grande e della piccola Harnish, formate di adusta lava.

Ma tutti gli sguardi si volgono ora alla terraferma, il cui profilo indeciso già si scorge tra i vapori dell’orizzonte. In breve si disegnano distintamente i contorni dentellati di una lunga ed alta catena, i cui estremi si perdono nella nebbia; compariscono poi, all’innanzi, alcune eminenze coniche di colore oscuro, col comignolo mozzo, la cui forma caratteristica rivela l’origine ignea. Tra queste e la catena, che forma il fondo del panorama, si interpongono altri monti, alcuni dei quali (i più meridionali) presentano una forma tabulare, come fossero troncati presso la base.

Mentre la terra si avvicina, le più alte giogaie rimangono occultate dai monti meno elevati e più prossimi a noi, alle cui falde si estende fino al mare un’angusta striscia di terra vestita di vegetazione. L’Africa entra allora nella baia d’Assab e va a dar fondo nell’ancoraggio di Buia. Siamo arrivati!

Per mala ventura il giorno volgendo al suo termine, ai naturalisti impazienti di principiare le loro ricerche non fu concesso di scendere a terra. Ma il loro desiderio fu invece soddisfatto nella seguente mattina.

Prima di render conto delle mie escursioni nella terra dei Danakil, mi si conceda dire qualcosa della sua posizione e dei suoi limiti.

Sotto il nome di Samhar o Samhara i geografi distinguono il tratto del littorale africano compreso fra il capo Calmez 4 e lo stretto di Bab-el-Mandeb e separato dagli altipiani della Nubia, dell’Abissinia e del paese dei Galla da una serie di alte montagne che si scinde localmente in parecchie distinte catene parallele. [p. 21 modifica]Questa regione, nella quale da un estremo all’altro si verificano presso a poco le stesse condizioni fisiche e climatologiche, è popolata di abitanti fra loro differenti per tipo, per linguaggio e per costumi.

Nella sua parte settentrionale vivono i Bisciari, sui quali l’Egitto esercita il suo dominio; dal capo Calmez al golfo d’Aduli (o di Annesley, come piace chiamarlo gli Inglesi) e nell’isoletta di Massaua vi ha una popolazione mista di Abissini e di Arabi, parimente soggetta all’Egitto. Finalmente dal detto golfo allo stretto si trovano i Danakil (al singolare Dankali), stirpe indipendente, ignota ancora agli etnologi, che sembra alfine a quella dei Galla 5. Il loro territorio si estende dalla latitudine di 15° 12 a quella di 12° 50, per una lunghezza di circa 250 miglia geografiche, ma con larghezza comparativamente assai scarsa, poichè le alte catene montuose che corrono parallelamente alla costa lo separano dal confinante paese dei Galla. Si deve peraltro avvertire in proposito che il confine geografico non corrisponde all’etnologico, e che l’uno e l’altro non furono mai esattamente determinati. Mentre, come già dissi, la terra dei Danakil si confonde a settentrione col Samhar abissino, a mezzogiorno è limitata dalla regione dei Somali, alla base del grande sperone africano che si termina col capo Guardafui.

A 12° 50 di latitudine, a circa 20 miglia sopra lo stretto di Bab-el-Mondeb, il littorale dankali si protende in un piccolo capo (Ras Senthur), diretto dal sud-est al nord-ovest, alla cui estremità si trovano, allineate colla orientazione medesima, alcune isole basse e arenose, tra le quali Darmabah e Fartmar 6 sono le principali. Il capo ed il piccolo arcipelago formano il contorno orientale di un’ampia insenatura circoscritta nel lato opposto da un arco del littorale. È questa la baia d’Assab o di Saba, sulle cui rive l’Italia acquistò un territorio, collo scopo di fondarvi, in un avvenire non lontano, una stazione marittima in servizio dei bastimenti [p. 22 modifica]nazionali ed esteri naviganti nell’Eritreo, e particolarmente per quelli che mettono in relazione i nostri porti coll’estremo Oriente 7.

Il futuro stabilimento italiano di Assab deve aspirare, mercè la sua felice posizione, ad essere qualche cosa di più che un semplice scalo marittimo. Diviso da un braccio di mare di sole 35 miglia dal lido di Moka, potrebbe trarre a sè, almeno in parte, il commercio del prezioso caffè del Jemen che ora affluisce sul mercato di Aden; prossimo a quell’esteso e vergine campo di produzione che è la terra dei Galla, è lecito sperare ne diventi l’emporio ed il porto, mentre d’altra parte non è improbabile che colà trovino un esito vantaggioso alcune delle nostre derrate; finalmente nulla osta a che possa competere con Massaua qual porto d’imbarco per le merci delle provincie occidentali e meridionali d’Abissinia, specialmente dello Scioa e dell’Amara.

Da Assab si può raggiungere l’Abissinia propriamente detta per tre vie: la prima passa pel lago di Aussa, distante quattro giorni dal mare, e seguendo il corso del fiume Aussa conduce ad Aliù Amba, il quale ultimo tratto si percorre in 15 giorni. Questa, che è il mezzo di comunicazione più diretto fra le provincie meridionali dell’Etiopia ed il mare, fu abbandonata per la strada assai più lunga di Berbera, la quale ha però il vantaggio di far capo ad un porto. La seconda, che è quella di Angot, collega l’Abissinia centrale con Assab per Zobel, ove oltrepassa la catena etiopica, il lago di Assalbad ed il fiume Kualima. La via dell’Agamié, la più settentrionale, passa per Bailul, Endolot, Dessa, ed ascende fino ad Addigrat.

Allorchè si penserà ad utilizzare a vantaggio del commercio e della navigazione il territorio acquistato, sarà utile attirare, per queste strade, in Assab qualcuna delle carovane che mettono ora a Zeila e a Massaua.

Si è messo in dubbio da taluno che la baia d’Assab fosse dotata dei requisiti desiderabili per fondarvi una stazione commerciale e marittima. Io ritengo che se non li ha tutti, possiede almeno i più essenziali: offre cioè buoni ancoraggi ed acque sufficien[p. 23 modifica]temente profonde por le maggiori navi; è ben riparala dai venti, e segnatamente da quelli di mezzogiorno e di sud-ovest che dominano in quella parte del Mar Rosso; l’aria vi è, a quanto pare, salubre e pura; il clima, comunque caldissimo, è sembrato a noi tutti più tollerabile di quello d’Aden, e d’altronde l’ombra dei ciuffì di palma dum e dei boschetti d’acacia mitiga sulle sue rive l’ardore del sole.

Vero si è che quando il mare è molto agitato, sebbene i bastimenti non abbiano a soffrirne, diventa difficile o pericoloso l’approdo delle barcaccie e delle lancio; ma questo difetto si può correggere colla formazione di una piccola gettata e colla costruzione di opportuni scali.

Di più l’acqua dolce è scarsa e poco buona nel territorio di Assab; peraltro, sarebbe cosa facile ottenerne in maggior copia e di miglior qualità praticando pozzi profondi e cisterne, secondo insegna l’esperienza. Sotto tale aspetto gli altri porti del Golfo Arabico che ho visitati, sono anche meno favoriti dalla natura. Infatti a Massaua, a Suakin e a Gedda l’acqua dolce si porta, con grave dispendio, dalla distanza di parecchie miglia, e in Aden si beve acqua marina distillala.

In alcune sue parti, e in ispecial modo nelle adiacenze dell’isola di Darmakié, la baia d’Assab è sparsa di secche madreporiche, condiziono codesta comune a tutti i porti, a tutte le rade dell’Eritreo, senza eccezione, alla quale però non si deve attribuire soverchia importanza, imperocchè i pericoli che ne derivano per la navigazione cesseranno appena i fianchi sommersi saranno esattamente determinali e indicati con acconci segnali.

Qual sistema sarebbe a tenersi per creare in Assab una stazione navale ed un emporio commerciale? Se tale domanda, mi venisse fatta, risponderei che siccome il nostro territorio africano si trova per posizione geografica, natura del suolo, clima, nelle condizioni di Aden, dovremmo imitare possibilmente ciò che gli Inglesi hanno fatto colà, con sì felice sucesso. Vorrei in primo luogo che si eseguissero in un punto acconcio della baia gli opportuni lavori per agevolare lo sbarco e l’imbarco delle merci e dei passeggieri, cioè un molo ed una banchina, e che si munisse il nuovo porto di un fanale e di segnali per indicare ai bastimenti la via da seguirsi per entrare ed uscire di [p. 24 modifica]giorno come di notte; che si fabbricassero altresì un certo numero di capanne da concedersi gratuitamente ai coloni, almeno nei primi tempi. Desidererei che si scavassero pozzi, si tracciassero strade e piazze, e sopratutto che si offerissero tutte le possibili agevolezze agli Arabi, ai Baniani, ai Somali e ai Danakil, affinchè venissero a stabilirsi nella nuova città; e perciò bisognerebbe adottare un sistema coloniale che assicurasse a tutti libertà intera e protezione, e non incepasse il commercio con dazi e balzelli.

Il governo, a parer mio, dovrebbe mantenere nella baia un vecchio bastimento da guerra stazionario, il quale insieme ad una piccola guarnigione di 50 o al massimo di 100 uomini, dovrebbe bastare a proteggere la colonia da qualunque eventuale attacco.

Converrebbe poscia esplorare i paesi circonvicini che ancora in gran parte sono terre incognite e stabilire amichevoli relazioni con i capi indigeni, invitarli a mandar i loro prodotti ad Assab per essere venduti o permutati con manifatture europee; e finalmente richiamare al nuovo porto alcune delle carovane che ora fanno capo al golfo d’Aden o a Massaua.

Pochi agenti di case commerciali italiane basterebbero da principio a promuovere un notevole movimento d’affari, che diventerebbe poi assai importante, se una società nostrana di navigazione imprendesse, come ne aveva formato il progetto, un servizio a vapore di cabotaggio lungo le coste del Mar Rosso e scegliesse Assab per punto estremo delle sue corse.

Il paese d’Assab, tanto in ragione del suo clima quanto per la natura del suolo, non sarà mai una colonia agricola, e non diventerà mai sicuramente un centro considerevole di popolazione europea. La sua importanza è relativa ad un altro ordino di idee. Oltre all’interesse che presenta quale stazione navale e militare, esso deve considerarsi come una via per la quale la nostra influenza potrà penetrare ed estendersi nell’Etiopia meridionale, come un nuovo sbocco aperto ai traffici. Ed a coloro che lamentano la mancanza di possessi coloniali italiani atti ad accogliere la nostra emigrazione, dirò che Assab è la porta di una regione poco distante dal mare, nella quale sono vasti altipiani ricchi di svariatissime produzioni, con terre feraci innaffiate da acque correnti e clima mite e salubre; regione [p. - modifica]Acquaiole di Muncullo; un santone. [p. 25 modifica]popolata da scarso tribù quasi selvaggie, che assai facilmente cederebbero il luogo a colonizzatori europei.

Sbarcando sul territorio d’Assab, mi trovai a tutta prima su di una pianura arenosa leggermente ondulata, la quale altro non è che una spiaggia emersa. In questo punto, come in tutto il littorale africano del Mar Rosso, si palesano ad ogni occhio veggente testimonianze irrecusabili di lente oscillazioni del suolo, e sopratutto di un recente sollevamento, in virtù del quale il mare si è ritirato, lasciando allo scoperto tratti più o mono estesi dei suoi bassifondi. Le isole della baia d’Assab, tutte o quasi tutte quelle dell’arcipelago di Dahlac, ripetono evidentemente l’origine loro dal medesimo fenomeno. Tali lenti movimenti del suolo sono intimamente connessi col vulcanismo, della cui passata attività, non ancora del tutto cessata, le rive del Mar Rosso portano evidenti segni 8.

Su quelle aride sabbie vegetano solitarie, o in piccoli boschetti, rachitiche acacie dal tronco bitorzoluto, dai rami spinosi, dalla fronda pallida e grama, spesso associate alla Salvadora persica che loro si abbarbica adornandole di una folta chioma d’un vivissimo verde. Frammezzo alle acacie, il dum 9 dal fusto bipartito leva in alto i suoi ciuffi che spandono intorno benefica ombra e frescura. Questa preziosa palma, vera provvidenza per gli indigeni, somministra loro un liquido fermentabile e dolciastro che geme dai tronchi recisi e si raccoglie in appositi cartoccini, contesti colla foglia della stessa pianta; e quel che è più, un frutto buono a mangiarsi, e foglie che, disseccate e divise in lacinie, servono a tessere stuoie 10

In certi luoghi il territorio d’Assab è coperto di grandi masse di una roccia nera scabra e cellulosa alla superficie, che si prolungano fino alla riva del mare. Sono queste colate di lava te[p. 26 modifica]frina che sembrano sgorgate non già dai coni vulcanici che si innalzano poco lungo, ma dalle adiacenze loro. Si osserva inoltre che il terreno sottoposto alle lave si trova spesso alterato, cotto, in una parola metamorfosato 11 dal qual fatto devesi ragionevolmente inferire che le colate sono posteriori alla formazione delle spiagge emerse 12, e però geologicamente recentissime. Altrove il terreno è tempestato di frammenti di lava, di bombe vulcaniche e di lapilli, la cui copia è tale in qualche punto, da escludere ogni vegetazione e da coprire interamente il suolo sottoposto.

Procedendo dal Capo Luma verso l’interno, normalmente alla costa, il terreno si va gradatamente innalzando e cresce la quantità dei detriti sparsi alla sua superficie. Sorge poscia, preceduta da basse colline rotondeggianti, una catena di tre vulcanetti, che dominano la baia, denominata Monte Ganga. Il più prossimo al mare, cioè il Ganga settentrionale, presenta la sommità mozzata ed un fianco in gran parte minato. La sua altezza sul livello del mare mi sembra dover oltrepassare di poco i 300 metri. I materiali di cui è costituito sono, per la massima parte, lave frammentarie, pomicose e rossastre, scorie, lapilli e ceneri. Verso la base una squarciatura del monte mette allo scoperto le testate di potenti stratificazioni, lievemente inclinate dall’alto al basso, d’una pietra bigia omogenea, compatta, la quale, comunque a prima vista si possa confondere con una roccia metamorfica, è però una vera lava, come lo attenta la sua composizione e la struttura cellulosa che assume in alcune parti degli strati. Il più distante dal mare, dei tre coni, che è anche il più elevato, fu, a cagione della sua forma, chiamato la Sella.

Il 10 di marzo rimasi a terra quasi tutto il giorno, esplorando col più vivo interesse le adiacenze del Capo Luma e raccogliendo qua e là poche conchiglie, insetti coleotteri 13, saggi [p. 27 modifica]di roccie, mentre i miei compagni attendevano l’uno alla caccia, l’altro a sbarbicar piante.

L’indomani di buon mattino vediamo accoccolati in circolo sulla riva alcuni indigeni neri e scarni, armati di lunghe lancie; sono i sultani danakil Ibrahim ed Hassan col loro seguito, i quali, informati del nostro arrivo, sono venuti dal villaggio di Mergabl per concludere l’atto di cessione del territorio d’Assab. Una lancia dell’Africa li conduce a bordo, e preceduti da un nauseante olezzo di burro rancido, salgono in coperta.

Nel caso che il lettore bramasse conoscere un po’ più intimamente questi nobili rappresentanti della stirpe danakil, gliene traccerò uno schizzo alla lesta. Essi sono piccoli di statura, oltremodo asciutti e magri, della persona assai disinvolti, di color cioccolato più o meno intenso. La loro testa, piuttosto piccola, offre una forma intermedia fra quella del tipo brachicefalo e del dolicocefalo, ed è ornata di una folta zazzera nerissima e crespa, immagine perfetta di una vergine foresta. Il loro viso allungato, angoloso, largo in corrispondenza degli zigomi, inferiormente assottigliato, non rammenta in nulla, fuorchè nella tinta, la razza negra: la fronte è sporgente e rotondeggiante, il naso piccolo, ma non schiacciato, la bocca piuttosto ampia, le labbra sono un po’ tumidette, nelle occhiaie infossate scintillano occhietti neri e penetranti, che esprimono ad un tempo astuzia e fierezza; i baffi e la barba, quando non mancano, sono brevi e radi. Hanno le natiche prominenti, sottili e scarni gli arti, mani e piedi piccoli; le loro gambe mancano quasi di polpacci. Negli abitanti dell’interno questo tipo subisce profondi mutamenti e passa talora al negroide 14.

La veste abituale di codesti sultani non è che una fascia di tela bianca che si avvolge intorno alla vita. Ma quando vennero a bordo del nostro legno, trattandosi di una circostanza solenne, avevano indossato la tenuta di gala, vale a dire una sorta di manto di cotone bianco, ornato alla base di una larga striscia rossa, distintivo della loro dignità. Essi erano armati, del pari che i loro seguaci, di un’asta a cuspide di ferro, che serve tanto [p. 28 modifica]ad uso di lancia quanto come giavellotto, e di una sorta di pugnale arabo a lama larga, curva e tagliente, con impugnatura breve, senza guardia, e fodero guarnito di metallo. In battaglia si muniscono anche di uno scudo tondo, prominente nella parte centrale, fatto di pelle d’elefante.

I Danakil, musulmani annacquati, non hanno moschee, non imani, non muezzino, e sono quindi i meno fanatici tra i figli del profeta. Quando il sole si leva raggiante al di là del mare, ed allorchè si nasconde dietro i loro monti, rivolti verso la Mecca, profferiscono una breve preghiera e si prostrano dinanzi ad Allah, ciò bastando ad appagare la loro fede. I numerosi tumuli sepolcrali che s’incontrano per ogni dove nel loro territorio, e segnatamente presso le capanne, fanno supporre che professino il culto dei morti.

Dei loro costumi, del modo di vivere, poco o punto si sa. Certo è che in Assab e nei paesi circostanti sono dediti specialmente alla pastorizia; a Ras Bailul e nell’isola Dissee sono invece pescatori e naviganti; ovunque pigri, inetti al lavoro, fieri e bellicosi. Offrono tali analogie con gli Arabi del Jemen, che farebbero presumere una parentela fra le due stirpi, se i loro idiomi non fossero differentissimi. Il dankali (lingua dei Danakil), che, per quanto credo, non fu mai studiato dai filologi, suona assai dolce all’orecchio 15. [p. 29 modifica]

Alcuni viaggiatori vantano la buona fede, la semplicità, il candore dei popoli selvaggi, tra i quali non sono penetrati ancora i vizii e la corruzione della civiltà europea. In verità queste doti non appartengono ai Danakil, che per astuzia e rapacità darebbero punti ad un vecchio causidico. Essi tentarono con ogni mezzo di alterare a vantaggio loro le condizioni già stipulate per la cessione del paese d’Assab, e soltanto in seguito a lunghe e fastidiose controversie, il professor Sapeto riuscì ad ottenere che non mancassero ai patti. Si convenne di comune accordo tra le due parti che il territorio venduto sarebbe limitato sulla costa da due punti (distanti circa tre miglia l’uno dall’altro), situati il primo dinanzi all’isoletta di Darmakié ed il secondo di fronte a Sennabiar, e raggiungesse in larghezza la vetta del monte Ganga (a un dipresso due miglia).

Un’altra difficoltà si presentò nell’atto del pagamento. I Danakil, non conoscendo altra moneta che i talleri austriaci coll’effigie di Maria Teresa, non vollero accettare la somma che loro si offeriva, in lire sterline. Ma il professore ottenne, mercè qualche regalo, una dilazione che gli permettesse di recarsi in Aden per cambiare il suo denaro in talleri, ed intanto lasciò loro una piccola anticipazione.

Il 12 marzo, esaurita ogni formalità e compiuto l’acquisto, [p. 30 modifica]echeggiò nella baia il tuono delle artiglierie per festeggiare il lieto avvenimento e per salutare la bandiera tricolore che per la prima volta sventolava sulla nuova terra italiana. Possa all’ombra di quella bandiera popolarsi il deserto lido e diventare un rifugio al navigante, un campo fruttifero alle imprese del commercio, una oasi libera e prospera in mezzo alla schiavitù ed alla miseria che lo circonda!

Nei giorni successivi, ogni qualvolta il mare permise di ammainare le lancie, visitammo ora quel punto, ora questo della baia, non trascurando di osservare quanto riflette la storia naturale del paese o le sue produzioni, e non tralasciando di raccogliere qualunque oggetto interessante ci venisse fatto d’incontrare.

Le nostre ricerche, le quali in gran parte erano dirette alla zoologia ed alla botanica, non sortirono esito molto fortunato, perchè la vita animale e la flora sono assai miseramente rappresentate ad Assab e nelle terre circostanti. La zoologia marina presenta un campo d’indagini più fecondo assai e meno esplorato; ma richiede, per essere coltivata con frutto, mezzi ed agi che a noi in quel momento mancavano. Quanto alla natura inorganica, non porge colà al naturalista che un numero limitatissimo di minerali e di roccie.

I miei compagni, abili cacciatori, muovendo, in vantaggio della scienza, spietata guerra ai quadrupedi ed agli uccelli, uccisero due graziose antilopi, una lepre, un piccolo roditore, ed una trentina di specie d’uccelli che quasi tutte appartengono alla fauna circummediterranea. Nel piccolo numero di quelle proprie alle regioni tropicali, citerò la comune Nectarinia pulchella, il cui corpicino, parte verde metallico ed azzurro, parte giallo, splende come gemma nei boschetti di acacie. Taccio degli animali delle altre classi, da noi osservati, che non offrono alcun fatto speciale degno di nota.

Perlustrando un giorno il confine settentrionale del territorio acquistato, mi imbattei in alcune abitazioni degli aborigeni, situate accanto ad un pozzo, all’ombra di alcuni palmizi. Sono queste costituite di una armatura emisferica di rami d’albero intralciati, sulla quale sono adattate pelli di bue e stuoie di palma insieme unite 16, ed hanno una sola apertura, uscio e finestra ad un [p. 31 modifica]tempo. Internamente, vi si trova una stuoia che serve di letto, un sasso che fa da guanciale e qualche altra rozza suppellettile.

Presso le capanne ebbi occasione di osservare alcune donne, mentre erano intente alle domestiche faccende. Le forme loro sono meno angolose di quelle degli uomini, le fattezze più regolari ed hanno talvolta una espressione di semplicità e di dolcezza che non manca di attrattive.... a distanza, poichè da vicino gli effluvii del burro rancido (almeno per noi Europei) neutralizzano le seduzioni dei loro begli occhi. Esse portano, presso a poco alla maniera delle Nubiane, una sorta di veste di cotone turchino che forma eleganti partiti di pieghe attorno alla persona e lascia in parte scoperto il petto; talora si contentano di avvilupparsi in un pezzo di tela. Amano poi adornarsi il collo di conterie, le orecchie di anella d’argento, le braccia e le gambe di armille di ferro o d’ottone. Finchè sono nubili, tengono infitta nella cartilagine destra del naso, traforato a quest’uopo, uno stecco di legno, cui sostituiscono un anello di metallo tostochè vanno a marito, usanza comune anche alle Abissine e alle donne dei Bogos.

Ridano, signore e signorine, ridano pure e facciano le meraviglie di sì strano costume, dimenticando di aver ori o gemme appesi alle orecchie!

Qui, come in certe provincie d’Italia che pur hanno fama di civili, al sesso debole sono devolute le cure più gravi, i lavori più faticosi: la donna taglia le foglie del dum, le fa asciugare, le raccoglie in covoni e poi ne tesse stuoie; essa, sotto i raggi dell’ardente sole dei tropici, conduce al pascolo gli armenti; essa riduce in farina tra due pietre il dura 17 e prepara la grossolana focaccia che è il pane quotidiano della famiglia. Il suo signore e padrone frattanto, accovacciato sotto un albero, suol forbirsi i denti con un ramoscello di Salvadora 18, e meditare qualche impresa guerresca a danno delle tribù vicine.

Ibrahim ed Hassan, nel concludere la cessione del paese di [p. 32 modifica]Assab, non avevano acconsentito a trattare la vendita della vicina isoletta di Darmakié, il cui possesso era agognato dalla Società Rubattino (che intendeva farvi un deposito di carbone), perchè dicevano che dipendesse da Berehan, capo di una vicina tribù. Il professor Sapeto divisò pertanto di recarsi a Reita presso quel sultano, affine di conseguire da lui medesimo il desiderato acquisto, e con tal disegno partimmo coll’Africa la mattina del 15 marzo e volgemmo la prora verso il piccolo promontorio nomato Ras Dumeira, distante poche miglia dallo stretto di Bab-el-Mandeb.

Giunti in cinque ore di navigazione dinanzi al capo, e sbarcati, non senza difficoltà, a cagione delle secche, i miei compagni ed io scortammo il professore nella sua spedizione fino a Reita. Attraversammo dapprima una delle solite spiagge emerse, coperta di conchiglie subfossili e di madrepore di specie identiche a quelle viventi nel vicino mare, poi un terreno un poco ondulato qua e là, cosparso di grami alberetti e di cespugli, ed in meno di due ore fummo di fronte al villaggio, i cui abitanti, fatti consapevoli delle nostre pacifiche intenzioni, ci vennero incontro per condurci al loro capo.

Reita si compone di poche diecine di capanne, di cui parecchie sono identiche a quelle dei Danakil d’Assab, ed altre, più ampie, di forma rettangolare, sono fabbricate di rami d’albero e di paglia e portano un tetto a due pioventi. Noi fummo introdotti nella maggiore, residenza del sultano. Egli ci aspettava accoccolato sul suo angareb 19 circondato dai suoi più fidi guerrieri, che in numero di 30 o 40 ingombravano la capanna. Al nostro apparire ci salutò con piglio dignitoso e cortese, e ci fe’ sedere; poi, licenziati i suoi cortigiani, s’intrattenne a lungo col professore intorno all’oggetto della nostra visita.

Berehan ha una fisonomia intelligente, espressiva, un nobile portamento, e sembra sotto ogni aspetto superiore a’ suoi sudditi. Egli portava una tunica bianchissima, alla foggia araba, ed un turbante parimente bianco. I suoi seguaci erano soltanto coperti di una fascia di tela avvolta intorno alla vita, e dall’aspetto loro traspariva un’indole fiera e selvaggia. [p. - modifica]Forma predominante nella orografia abissina (il Debra Damo nel Tigré). [p. 33 modifica]

Dall’uscio socchiuso di una capanna attigua a quella del sultano si affacciavano curiosamente le sue donne, belle morette, ornate a profusione di ciondoli e monili luccicanti, e tra di loro sporgevano anche la testolina nera, spalancando gli occhi, parecchi bambinelli ignudi, stupiti per la nostra presenza.

L’indomani, firmato sulla spiaggia di Ras Dumeira, nelle debite forme, l’atto di cessione, scopo della nostra gita, salpammo per Assab, e solamente verso sera, giunti nella baia, demmo fondo presso Darmakié. Questa isoletta, banco di madrepore sollevato a due o tre metri sul livello del mare, lungo poche centinaia di passi, offre su tutti gli altri punti della baia il vantaggio di permettere con ogni tempo l’approdo delle barche.

La mattina del 10 alcuni marinai, lasciati due giorni innanzi sulla riva d’Assab per fabbricare una capanna, tentavano di raggiungere il piroscafo con due lancie, malgrado un tempo assai burrascoso, ed i loro sforzi riuscivano vani per la violenza del vento e l’agitazione del mare. Però l’Africa muoveva loro incontro per soccorrerli, quando sventuratamente, cominciando appena a camminare, diede in secco sopra un banco di coralli e rimase incagliata. Le imbarcazioni arrivarono cionondimeno a salvamento, dopo aver lottato a lungo contro le ondate.

Questo malaugurato accidente ci obbligò a spendere molte ore nell’eseguir manovre affine di liberare il piroscafo; ma finalmente sul cadere del giorno, mercè il gitto di una piccola quantità di carbone, e col favore della marea ascendente, ricominciò a galleggiare.

Accostatici di poi a Darmakié, mentre l’equipaggio del legno metteva in terra alquanto combustibile per la Vedetta, che s’aspettava colà di momento in momento, Antinori faceva strage degli uccelli acquatici e dei rapaci che nell’isola abbondano. Beccari ed io, coll’acqua fino alla cintola, insidiavamo intanto, coi nostri retini, piccoli pesci, testacei, granchietti ed altre bestiuole di mare, delle cui specie non mancherò di far cenno sommariamente, allorchè imprenderò a parlare delle nostre raccolte nel mare di Massaua, che riuscirono assai più felici.

Il 20 marzo abbandonammo coll’Africa la baia d’Assab (che però dovevamo rivedere in breve), diretti per Aden. Sebbene [p. 34 modifica]l’obbiettivo nostro fosse Massaua, eravamo costretti ad allontanarcene momentaneamente, non trovandosi in Assab alcun mezzo di trasporto col quale, tanto per terra come per mare, fosse possibile proseguire il viaggio.

Varcammo, al tramonto, fra la squallida Perim e l’isolotto delle Ostriche, lo stretto degli Arabi, giustamente denominato Porta delle Angustie (Bab-el-Mandeb), perchè le onde vi assalgono con più veemenza che in ogni altra parte i fragili legni, ed i venti vi soffiano con maggior furore.

Ai primi albori comparvero all’orizzonte i monti vulcanici del Jemen, e più tardi l’alto promontorio di lava che s’intitola da Aden. Ai suoi piedi vedemmo con meraviglia il gigante dei mari, il Great Eastern, apportatore della fune telegrafica anglo-indiana, il quale avendo annodato l’India all’Arabia, si riposava dalle gloriose fatiche. Il nostro piroscafo, guscio di noce a fronte di tanto colosso, si ascose sollecitamente negli ultimi recessi del porto, tra i pigmei della sua specie.

Note

  1. Tra i pezzi di gragnuola caduti sulla nave molti erano della dimensione di grosse nocciole. Alcuni erano sferoidali od ovoidi, altri in forma di cono tronco, a basi biconvesse, per lo più opachi o translucidi con minute bolle e screpolature internamente.
  2. Probabilmente dovuta ad animaletti fosforescenti del genere Noctiluca.
  3. Nella parte meridionale del Mar Rosso il monsone di sud-ovest regna per due terzi circa dell’anno, cominciando in ottobre e terminando in maggio o giugno; nei mesi di giugno, agosto e settembre diventano invece predominanti i venti del nord. Nella parte settentrionale le brezze del nord regnano per nove mesi dell’anno, e specialmente in giugno, luglio ed agosto; in ogni tempo vi si fanno sentire per breve durata anche i venti del sud.
  4. Ras Rawai, nella carta di Moresby, ediz. ital.
  5. I cartografi inglesi sogliono comprendere generalmente sotto la denominazione di Abissinia tutta la regione che si estende fra il Nilo Azzurro ed il mare, e da Massaua a Zeila, includendovi i paesi dei Galla, dei Danakil, degli Adaiel. Pei Tedeschi all’incontro l’Abissinia propriamente detta non arriva fino al mare, o soltanto abbraccia le tre grandi provinole del Tigré, dell’Amara e di Scioa.
  6. La prima ha circa 8 miglia di lunghezza, la seconda 3.
  7. Attualmente i nostri piroscafi che esercitano la linea di navigazione fra Bombay e Genova, sono costretti, con grande scapito di denaro e di tempo, a far sosta a Aden, tanto nell’andata quanto nel ritorno, per provvedersi di combustibile.
  8. In tesi generale, credo di potere affermare che lenti ed estesi sollevamenti hanno preceduto periodi di maggiore attività, tanto rispetto ai fenomeni plutonici, quanto riguardo ai fenomeni vulcanici che sono un caso particolare dei primi. Mi propongo di dimostrare in altro scritto la verità del mio asserto.
  9. Hyphœne thebaica.
  10. Secondo le osservazioni del Beccari, le piante più comuni oltre alle accennate sono: una Phœnix, subacaule, una salicornia, una statica, varie zigofillacee, parecchie graminacee, un Cyperus, la coloquintide, un Convolvulus, una o due specie di cassia, un’asclepiadea, una capparidea, una vite.
  11. Ho veduto lungo certi burroni, scavati dalle acque alle falde del monte Ganga, strati di arena convertiti in una sorta di arenaria pel contatto d’una colata di lava.
  12. Queste appartengono al periodo postpliocenico.
  13. Le conchiglie terrestri raccolte sono soltanto due piccole specie di Bulimus. Gli insetti appartengono ai generi: Zophosis (3 specie), Adesmia (2 specie), Sepidium (2 specie), Oenera, Opatrum e Cordiophorus (una specie di ciascuno).
  14. Fra i Danakil interessati nella vendita del territorio d’Assab, ve n’era uno, Abdallah, che somigliava per le fattezze grossolane, e sopratutto pel naso schiacciato e le labbra tumide, ad un negro del Sudan. Costui, figlio del sultano di Anfari, veniva da un paese situato ad otto giorni di marcia nell’interno.
  15. Riferisco alcune voci di questo idioma per farne conoscere, se non altro, i suoni predominanti.
    sole — aganà
    terra — abarù
    acqua — li
    Dio — Rabbi
    buono o bene — mehé
    cattivo — nemehè
    no — sirkal
    mare — bada
    fuoco — gherà
    legna da ardere — behò
    baruffa — maharù
    bacio — bus
    morire — ruba
    mangiare — mahah
    vento — hahà
    amuleto legato alle braccia ed al collo — chitab
    donna — sinamà
    uomo — achboità
    petto — hallili
    dita della mano — honoferà
    dita del piede — hebellà
    bocca — afà
    naso — sanà
    pene — buddé
    bue (carne — sagà
    pecora — maharà
    asino — sanan
    gallina — droità
    ferro — birtà
    pietra — dah
    foglia di palma — angà
    conterie — kundur
    lancia — mahallù
    pugnale — ghilè
    scudo — gobù
    ago — ebra
    filo — asla
    moneta — lochoiù
    tenda — sarharì
    braccio — gabba
    coscie — reari
    gamba — sarbà
    piede — ibà
    occhi — inì
    capelli — amù
    denti — buddenì
    labbra — arhabà
    barba — zoggur
    orecchie — haitì
    uccello — kallida
    conchiglia — hercà
    pesce — kollunto
    palma — eddum
    stoffa — sarò
    corda — hakattà
    cordicella — halbachi
    legno — luhù
    bastone — haddà
    ottone — nahassa
    capanna — halsà
    barca — douà
    pozzo — ali
    vino di palma — harì
    butirro — sebbach
    latte — hana
    biscotto — gaambò
    cassa — sanduk
    tabacco — timbako
    uno — enechì
    due — namehi
    tre — sidahé
    quattro — ferehì
    cinque — honoiù
    sei — leheì
    sette; — malchene
    otto — baharà
    nove — sogalà
    dieci — taban

    Alcuni pochi dei vocaboli precitati sono evidentemente arabi; parecchi provengono dalla lingua galla, e tre o quattro hanno comune il radicale colle corrispondenti parole malesi.

  16. Nel territorio acquistato non si trovano che alcune poche di queste capanne, abitate da quattro o cinque famiglie. Il principale centro di popolazione dei dintorni è il villaggio di Mergabl, nel fondo della baia, che conta più centinaia di abitanti.
  17. Sorghum vulgare, sorta di saggina che tien luogo del nostro frumento sulle rive del Mar Rosso.
  18. Pianta assai ricercata dai Danakil per questo uso.
  19. Mobile molto usitato in tutto l’Oriente, e che serve di sofà e di letto. Consiste in un telaio di legno che porta una rete di lacinie di cuoio o di paglia, ed è sorretto da quattro colonnette di legno greggio ed ornato d’intagli.