Gismonda da Mendrisio/Atto quinto
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ATTO QUINTO.
SCENA I.
IL CONTE E RICCIARDO.
Il Conte.Oh funesta vecchiezza! Oh me dolente
Che l’egro braccio nella zuffa il core
Più non seconda! Disarmato io fui.
Datemi un altro ferro, un altro ferro!
Che simile a’ miei padri, armato io mora.
Ricciardo.Ritraggi il passo in queste sale. È speme
Ancor; fedeli sono i tuoi guerrieri;
Ed Ariberto vidi uscire illeso
Per una porta del casello, e tutti
Chiamare all’armi i villici. Qui intanto
Anima ai prodi è Gabriella. Il figlio
A niuno osa affidar: ella medesma
Con un braccio stringendolo, combatte
Valorosa coll’altro.— Ah, tu ferito
Sei....
Il Conte. Tocco appena è della destra il carpo:
Colla sinistra ancor pugnar potrei.
Ma da stanchezza domo io son.1 — Tu, vanne;
Securo parmi questo loco. Addoppia
Il tuo coraggio, o fido mio; difendi
Gabriella e suo figlio. Ove t’incontri
Nell’empio Erman, combattilo, ma pensa
Ch’egli pure è mio sangue. — E se Ariberto
Entro il castel co’ villici prorompa,
Della gioia guerriera alzate il grido,
Che all’orecchio mi giunga e mi conforti.
SCENA II.
IL CONTE.
Oh sventura! oh delitto! Una mia nuora
A’ nemici mi vende! E un figlio mio,
Quel lusinghiero Erman, ch’io tanto amava,
Per tenerezza verso cui, cessato
Io d’esser padre ad Ariberto aveva,
Al miglior de’ miei figli, Erman s’unisce
Co’ miei nemici, e dispogliarmi agogna!
SCENA III
ERMANO, GUERRIERI E DETTI
Ermano.Di qua, di qua, guerrieri!
Il Conte.2O vil, t’arresta;
Ove corri? Quel brando scellerato
Entro qual seno infigger brami? In quello
Del fratel tuo?
Ermano.De’ traditori tutti
Che contro a me combattono, che obbrobrio
Fatti si son del nome nostro alzando
Contro all’insegna imperïal le spade.
Lasciami.
Il Conte. 3Ferma, o traviato. Ascolta
Gli ultimi detti di tuo padre. Infame,
Esecrabile è il calle in cui t’avventi.
Sete sfrenata di comando e invidia
A vilipender le canute chiome
Del genitor ti spinge. Andran deluse
Le tue inique speranze. In me l’acciaro
Puoi scagliar parricida e calpestarmi,
Ma agli spregiati genitori è in cielo
Un vindice terribile e securo.
Quegli t’attingerà. Quegli Ariberto
Che pria di te, ma con men grave oltraggio,
Mia canizie offendea, gettò in estrema
Miseria disperato a’ piedi miei.
Ed Ariberto in più giovanili anni
Errato avea: gl’intenti suoi non giusti
Erano forse, ma abbaglianti. A obbrobrio
Tu, peggiore del suo, tratto sarai.
Che s’io non vivo per vederlo, e innanzi
A me non curvi la superba fronte,
Se passegger trionfo a te sorride,
Tu in abbominio a’ popoli o a’ baroni,
A quello stesso imperador cui rechi
Tanto e sì reo di servitù tributo,
Como tradivi il padre tuo, tradito
Sarai da tutti; e la tua tomba i prodi
Mostreranno col dito inorridendo
E diran: «Colà giace il parricida.»
Ermano.È tardi, è tardi: il cominciato calle
Necessità vuol ch’io fornisca, o muoia.
Chi serve al signor suo serve all’onore!4
SCENA IV.
IL CONTE.
Oh a tutte imprese scellerato manto!
Onor s’ostenta d’ogni dritto a scherno
E servo al signor tuo vantarti ardisci?
Primo signor non è a’ figliuoli il padre?
Ma qui Gismonda....
SCENA V.
GISMONDA e detto.
Il Conte. O perfida, ti scosta:
La vista tua miei mali accresce.
Gismonda. Ah ch’io,
Se qui lo stuol sacrilego penètra,
Scudo almeno ti faccia! Ah ch’io un istante
Cessi d’essere iniqua e maledetta,
E pio ti renda filïale uffizio!
Il Conte.Oh del mio lutto abbominevol causa!
Che mi val tua pietà? Tu de’ miei figli,
Tu delle torri mie spogliarmi ardevi.
In che t’aveva offeso io mai? Le guerre
T’avean rapito e il padre tuo e gli averi,
Ed io t’accolsi come figlia; io sposa
A mio figlio ti diedi; io t’onorai
Per l’amor che a tuo padre un dì mi strinse,
Per la virtù che in te fulger sembrava,
E per le tue sfortune. Empia, mi lascia;
Le cure tuo detesto, il pianto tuo
Maggiormente m’adira.
Gismonda. Ah, il sangue gronda
Dalla tua man. Con questo lin....
Il Conte. T'arretra.
Veleno son le bende tue. Squarciato,
Al modo ch’io queste tue bende squarcio,
È ogni vincol fra noi.
Gismonda. Dritt’è. Squarciato
Ogni vincolo sia fra gli altri umani
E questa derelitta. Il fallir mio
Fu tale amore ond’ogni alma non vile
E non perversa inorridisce. Io vile
Amai colui che mi spregiava. Io vile
E perversa ancor l’amo; ed a me stessa
Più che imprecarmi altri non possa, impreco.
Il Conte.Ira e pietà mi desti. Onde il pensiero
In te sorgea del tradimento?
Gismonda. Ahi lassa!
Chi m’appon tradimenti? Altro delitto
È quello di Gismonda.
Il Conte. E che? Non data
La fatal chiave era da te agli Svevi?
Gismonda.Sì. — Me infelice! Non v’è obbrobrio dunque
Che sovra il capo mio piombar non debba?
Mio Dio, tu vedi lo mie colpe. Ah forse
Come al guardo degli uomini, al tuo guardo
Sì scellerata non son io. Da loro
Non sarò perdonata: e tu, perdona;
Adeguata al martir dammi la forza.
Il Conte.D’iniquità il linguaggio esser può questo?
Gismonda, ascolta, dimmi. Oh ciel! qual lampo
Mi splende agli occhi? Il traditor.... fu Ermano.
Gismonda.Misero vecchio! No, non creder: io,
Io sôn l’iniqua. — Oh ciel! s’appressan l’armi,
Vieni, fuggiamo.
Il Conte. Ah! Gabriella il figlio
Combattendo sottrae dalla rapace
Destra dell’invasor.
SCENA VI.
GABRIELLA col figlio in braccio; IL MARGRAVIO la insegue.
I precedenti, indi RICCIARDO e Guardie.
Gabriella.5 Ohimè, cessate!
Pietà di questo pargoletto! Io nulla
Se non camparlo anelo.
Il Conte. E non vergogni,
Tu d’Augusto guerrier, tu cavaliero,
Anco una donna d’inseguir?
Margrav. M’è noto
Il prezzo di voi tutti. In mia balía
D’uopo è che restin d’Ariberto il padre,
La donna e il figlio.
Il Conte.6 Respingiamlo.
Gismonda.7 Indietro!
Margrav.E tu pure, Gismonda?
Gismonda. Aita, aita,
Accorrete, o fedeli: ecco il Margravio.
Ricciardo.(Con un drappello di guardie investe il Margravio.)
Margrav.Ah, dove sono i miei seguaci?
Il Conte. Ei fugge.
SCENA VII.
IL CONTE, GABRIELLA, GISMONDA, il Bambino.
Gabriella.Ei dalle man già mi strappava il figlio,
E tu, Gismonda, a lui lo ritoglievi.
Da te il racquisto: il ciel ti dia rimerto,
E rallenti il flagel che meritato
Han tuoi delitti.
Gismonda. Ognun m’insulta, ognuno,
Pur s’una lode è astretto darmi, orrore
Sente di me. Superba! hai tu nel fondo
Letto de’ cuori e misurato i gradi
Delle lor colpe, e le sciagure, e i casi
Inevitati che ad errar talvolta
Trascinan tal ch’esser non volle iniquo?
Con qual dritto mi spregi? Ov’è quel santo
Pudor che vanti? Orgoglio è il tuo, villana
Presunzione di virtù. Un amato
Perduto avevi tu com’io? Gran lotta
Sostenesti com’io per obliarlo?
Per costringere il cor d’amarne un altro,
Non mai potendo, e il primo ognora amando?
Or che sai tu, s’io quella vil, quell’empia,
Che la tua farisaica ira percuote,
Tutto quel ch’era in poter mio non feci,
Affin d’adempier miei doveri, e s’io
Forze maggiori delle tue non ebbi,
Sebben di te men pura e men felice,
E men plaudente a me medesma?
Gabriella. Ignoro
Quai sien tue scuse al folle amor; più ignoro
Come effetto d’amor sia collegarsi
Cogl’inimici dell’amato e addurli
Perfidamente nel suo tetto. O forse
Perchè dopo il misfatto eranti sprone
I cocenti rimorsi a confessarlo,
Quel tradimento non sarà misfatto?
Non misfatto esser causa delle angosce
Di tutti i nostri cuori? Ascolta. Ahi! ferve
Pugna per ogni dove! E chi la mosse?
Gismonda.Chi?
Il Conte. Cessa, Gabriella. Ahimè! un sospetto
Doloroso mi prese: ella salvarci
Forse volea, senza accennarne il vero
Autor del tradimento. A nostre spade
Forse indicarlo non volea.
Gabriella. Quai grida!
Il Conte8Le grida della gioia. Eccolo: il veggio,
Col nuovo stuol si scaglia il mio Ariberto.
Gabriella.Ah, ch’io voli al suo fianco! Il figlio mio,
Deh, custodisci, o padre.
Il Conte. E te protegga
Col suo scudo invisibile l’Eterno.9
SCENA VIII.
IL CONTE, GISMONDA, il Bambino.
Gismonda.Allo scampo del tuo sposo t’avventi,
O generosa fortunata. Ognuno
Benedirà al tuo nome, ognun sublime
Chiamerà l’amor tuo. Ma generosa
Esser che val, che vale amore, ad altra
Che non sia fortunata? Ah sulla terra
Non v’è dunque giustizia, e gl’infelici
Dunque empi son, perchè sono infelici?
Il Conte.10Chi vincerà? Misero me! Da quella
Parte combatte un figlio mio, da questa
Combatto un altro. Oh ciechi! oh furibondi!
Fratelli siete, unitevi; i ladroni
Che il tetto nostro invasero espellete.—
Che dico? Ov’è quel tempo in che alle insegne
Imperïali avrei tutto immolato,
E il figliuol che aborriale io rigettava?
Ed ora, or sol perchè m’offendon, empie
Son divenute? E ch’è giustizia? L’uomo
Spesso nol sa. Doveva io maledirti,
Dunque, Ariberto mio, perchè giustizia
Allora a te, non dove a me, apparía?
Frutto non son del mio furente zelo
Di que’ fratelli or le discordie, e il sangue,
Ond’ambo iniqui intridono le soglie
Ove son nati?
Gismonda. Ohimè! Vince il nemico.
Ohimè! Ariberto incalzano le lance.
Gabriella, difendilo, e felice
Possa tu al lato suo viver lungh’anni,
E vieppiù amata ed a valenti figli
Che lo somiglin glorïosa madre;
Mentre appo il mio sepolcro il viandante
Passerà con ischerno, e nominata
Da que’ tuoi figli e da Ariberto stesso
Mai non sarò senza spavento! — Iddio,
O Gabriella, ti rimerti! — Padre,
Non vedi? Benedicila: salvato
Ella ha Ariberto, ella ha respinto i ferri
Che lo cingean.
Il Conte. La benedico, e seco,
Ah, benedir te potess’io, Gismonda,
A cui dal cor sì generosa irrompe
D’affetti piena! A terra ecco il Margravio;
Ermano fugge. — Oh misero! Cessate!
Non lo uccidete: Ermano è figlio mio!
Per quelle volte ei si ritrae. La scala
Salisse almen, qui ricovrasse! Oh truci,
Non lo uccidete, anch’egli è figlio mio!11
SCENA IX.
GISMONDA e il Bambino.
E s’ei morisse? — Oh sposo, io tua rovina
Oprato avrò? Ne raccapriccio... Eppure
Allor cessai d’esser malvagia, allora
Che disvelai tuo tradimento, e il padre
Ed il fratello tuo salvar tentai!
Oh, che sento? Quai gemiti? Chi viene?
Ermano!
SCENA X.
ERMANO ferito sorretto dal CONTE e da RICCIARDO, e detti.
Il Conte. Oh mio figliuolo! oh sciagurato!
Qual funesto delirio a questo fino
Ti trascinò?
Ermano. Ascondetemi, ch’io il volto
Del vincitor non vegga. Eccolo.
SCENA ULTIMA.
ARIBERTO, GABRIELLA e detti.
Ariberto. Oh vista!
Il Conte.12Barbaro, mira: il furor tuo l’ha spento.
Ariberto.No, padre: il ciel n’attesto; Erman n’attesto.
Ei quattro volte mi chiamò codardo,
Perch’io delle fraterne armi evitava
Il sacrilego scontro, e quattro volte
La taccia di codardo io sopportai.
Ermano.Ah, dice il vero.... io ’l provocava.... ei pio
La sfida ricusò. — Per altri acciari
Dio mi punì. — Deh, a mia furente invidia,
Padre.... fratello.... perdonate.
Il Conte. Oh figlio,
Così perdoni a te il Signor!
Ariberto. Fratello,
Nemico m’eri: io te non odïava.—
Mira, Gismonda scellerata, or quale,
Gli Svevi introducendo entro lo mura,
Opra compivi: ei muore.
Ermano. Alla infelice
Perchè tali rampogne? Oh! in qual inganno....
Fratel..... sei tu!... Dal tradimento volle
Me Gismonda distorre.... io lo compiei!
Ariberto, Gabriella.
Egli?
Ermano. Gismonda.... io moro.
Gismonda. Oh sventurato!
Gabriella.Sorella, ah sorgi, vieni! Eterno oblio
Copra nostre discordie. Eravam nate
Per compiangerci e amarci.
Gismonda. Ah! per amarci
Forse nate eravam: ma convenia
Ch’io fatalmente, pria di te, Ariberto
Amato non avessi. Or forza è ch’io
Voi tutti fugga. — O padre, ultimo prego
Ti fa l’indegna nuora tua: la pace
D’un monister mi seppellisca al mondo.